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Capitolo 6 Amber

Sul viso di Samuel appare un ghigno. “Vieni con me,” dice, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso il corridoio. Apre la prima porta sulla destra, che, come avevo sospettato, conduce a una stanza privata.

La stanza è tutta in tonalità rosse e oro. Sul lato destro c’è un divano abbastanza grande da ospitare almeno cinque persone. Al centro della stanza c'è un piccolo palco rotondo con un palo al centro, e sul fondo intravedo una tenda rossa tirata giù.

Samuel si avvicina al mobiletto vicino al divano e si versa un bicchiere di whisky. Lo assapora e si volta verso di me. “Allora, mostrami cosa sai fare.”

Lo guardo male, vorrei mandarlo al diavolo. Invece, mi dirigo verso la tenda, la scosto ed entro in un piccolo ripostiglio. Qui trovo una panca con degli appendini sopra e, di fronte a essa, un tavolino con un iPod.

Scorro tra le canzoni e opto per "Good for You" di Selena Gomez. Mentre seleziono la canzone, decido di osare di più. Mi spoglio fino a rimanere in intimo e ringrazio tutti i santi per aver scelto la biancheria sexy questa mattina. Con il mio intimo nero in pizzo, faccio partire la musica, prendo un bel respiro ed esco dalla tenda in punta di piedi.

Arrivo fino al palo, ci ruoto intorno in modo sensuale. Poi mi stacco e vedo che Samuel non mi ha tolto nemmeno per un minuto gli occhi di dosso.

In modo seducente, gli accarezzo le gambe e, con un movimento fluido e sensuale, mi siedo a cavalcioni su di lui. A ritmo di musica, avvicino il mio seno al suo viso, inarco la schiena e mi siedo completamente su di lui. Gli avvolgo le braccia intorno al collo, continuando a ondeggiare, e avvicino il mio viso al suo, tanto che tra le nostre labbra può passare solo uno spillo.

Mi alzo da lui, continuando ad accarezzargli le gambe fino a mettermi tra le sue gambe aperte. Mi volto dandogli la schiena e ondeggiando, poi mi volto di nuovo verso di lui e inizio ad accarezzarmi, partendo dal collo e scendendo fino al seno. Chiudo gli occhi e immagino che sia lui ad accarezzarmi. Quando la musica sta per finire, mi allontano da lui e torno sul palco, ondeggiando e mostrando quello che si sta perdendo.

Quando la musica cessa, sono affannata e lui mi osserva. Il suo sguardo sembra lanciare fiamme. Riesco a leggere sia desiderio che rabbia, il che mi confonde.

“Brava, ora che hai fatto il tuo spettacolo, vestiti. È ora di portarti di là.” Si alza con tutta la nonchalance di questo mondo e si avvicina alla porta. Prima di uscire, mi guarda.

“Comunque, ho visto di meglio.” Detto questo, prende la porta e la sbatte, lasciandomi lì, sola.

Mi vesto e mi risistemo, poi esco dalla stanza e raggiungo Samuel nella stanza principale, vicino al bancone. Lì è girato di spalle e parla con qualcuno. Mi avvicino e noto che sta parlando con la ragazza bionda che si stava scopando prima al club.

“Ah, Amber, eccoti qui. Lei è Sheila,” dice. Lanciando un solo sguardo alla biondina davanti a me, capisco subito che tra di noi è odio puro.

“Sheila, insegnale tutto. Se succede qualcosa, ti terrò responsabile.” Adoro il suo lato cattivo. Samuel si volta e se ne va.

“Seguimi,” dice Sheila senza neanche voltarsi a guardarmi. Vorrei mandarla al diavolo, ma questo lavoro mi serve.

In meno di quaranta minuti, Sheila mi mostra dove si trovano gli alcolici, i vari calici e bicchieri, e mi spiega come funzionano le ordinazioni e i tavoli.

“Ti do la tua divisa,” dice, andando verso gli spogliatoi. Mi indica un armadietto, mi giro per ringraziarla, ma è già sparita. Alzo le spalle e vado a vedere che cosa mi aspetta con la divisa.

Appena apro la busta, scoppio a ridere: ovviamente, il cliché non manca. Trovo un paio di culotte nere, una bralette in pizzo e scarpe con il tacco.

Tutto sommato, la serata fila liscia. Riesco a servire tutti i tavoli senza combinare disastri e guadagno anche centoventi dollari di mancia. Ringrazio Dio di non aver visto Samuel nemmeno una volta, fino ad ora che cammina verso di me.

“Vatti a cambiare, che ti riporto a casa.” Scuoto la testa, rassegnata. Samuel riesce solo a dettare ordini senza nemmeno salutare o fare un complimento. Gli avrei risposto a tono, ma sono veramente stanca.

Decido di ignorarlo e mi dirigo verso lo spogliatoio, dove mi cambio con calma e metto tutto in ordine. Controllo un’ultima volta di aver preso tutto ed esco dall’uscita laterale destinata al personale.

Appena chiudo la porta dietro di me, lo individuo subito seduto sulla sua moto, con una sigaretta tra le dita e un secondo casco nell’altra mano. Mi avvicino e mi tende il casco senza nemmeno dire una parola. Lo indosso e poi guardo la sua Harley completamente nera.

“Bella moto,” dico.

Lui la guarda con soddisfazione. “Lo so, è la mia. Ora sali.” Stronzo come sempre.

Mi aggrappo alla sua spalla e salgo sulla moto. Invece di cingergli la vita, mi aggrappo alle maniglie che si trovano ai lati del mio corpo. Mette in moto e il suono del motore mi fa vibrare. Aumenta la velocità a tal punto che sono costretta ad attaccarmi a lui.

E visto che so essere stronza anch’io, decido di far vagare le mani sul suo addome. Sento il suo corpo irrigidirsi sotto il mio tocco e lentamente scendo fino ad arrivare alla patta dei suoi pantaloni. Lui prontamente mi toglie la mano e la rimette sul suo addome.

In un quarto d’ora arriviamo davanti alla casa dei suoi genitori. Scendo dalla moto, mi sfilo il casco e glielo porgo.

“Ti piace toccare, eh?” mi chiede e gli lancio un sorriso furbo. “Non mi hai fatto finire però.” Si muove a disagio sulla moto.

Lui mi ignora e io scelgo di ignorarlo a mia volta. Mi volto verso la porta, frugando nella borsa in cerca delle chiavi. Impreco perché le ho lasciate a Jenna, che aveva dimenticato le sue nell’armadietto a scuola.

“Mi impresti le chiavi, per favore? Le mie le ha Jenna.”

Lo vedo scuotere la testa. Davvero vuole lasciarmi fuori per tutta la notte? “Scusa, le mie le ha Ben,” impreco di nuovo. Cerco il telefono e provo a chiamare Jenna senza ricevere risposta. Scorro tra i contatti e trovo il numero di Luke.

“Chi chiami adesso?” mi chiede Samuel, vedendomi scorrere tra i contatti. Non lo guardo nemmeno mentre seleziono il contatto.

“Luke,” rispondo. Nemmeno il tempo di far partire la chiamata che il telefono mi viene strappato dalle mani.

“Ehi, che fai? Ridammi il telefono, non posso dormire per strada!” Non risponde. Mi porge il telefono e il secondo casco. “Sali, starai da me.”

E io, eccitata dall’idea, salgo svelta sulla moto prima che cambi idea.

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