4
Jackson
È passato un mese da quando sono arrivato in Italia e ho iniziato a lavorare come insegnante.
Ho accettato questo lavoro per ottenere uno stipendio fisso per mantenere mio figlio che è rimasto in America. Questa professione mi piace, anche se la sera torno a casa stanco o resto alzato fino a tardi per correggere i compiti. Ho tre classi. Una quinta, una prima e una seconda. Tutte e tre composte più o meno da trenta ragazzi.
Per fortuna sono riuscito a trovare dei ragazzi che amano suonare, e dopo avermi ascoltato mi hanno invitato nel loro gruppo, almeno il sabato sera posso sfogarmi un po' senza pensare ai problemi familiari e lavorativi.
Questa mattina riporto le verifiche corrette, mi siedo sulla cattedra e aspetto qualche secondo prima di parlare.
«Sembra che non siate messi così male. Chiara, vuoi consegnare i compiti mentre faccio l'appello?»
«Certamente, professore!» La ragazza schizza in piedi.
«Chi di voi vuole una spiegazione può venire qui così possiamo discuterne!»
Aspetto qualche minuto e visto che non arriva nessuno decido di chiamare quelli che hanno preso meno di sei.
«Emma, vieni, è il tuo turno».
Chiamo la ragazza e aspetto che si sieda accanto alla cattedra.
«Quindi sei delusa dal voto? Ti aspettavi di più?»
La Marrison mi guarda un po' confusa dalla mia domanda e scuote leggermente la testa.
«Sinceramente non lo so, non immaginavo di prendere cinque e mezzo, pensavo di meno».
Sposta una ciocca di capelli e grazie a questo gesto noto che ha una piccola rondine tatuata dietro l'orecchio.
«Per me questo è un traguardo».
La sua voce mi fa sobbalzare, ma cerco di non farlo notare.
Sorrido, sono felice di aver raggiunto il mio obiettivo.
«Bene! Perché in realtà sarebbe stato cinque, ma ho visto i tuoi compiti dell'anno scorso ed è stato un vero pianto, questo è diverso, ti sei impegnata. Facciamo che al prossimo arrivi al sei o magari un'interrogazione lunedì così hai il fine settima per preparati? Anzi avete tu e gli altri che vogliono RECUPERARE!»
Le faccio cenno di tornare al suo posto.
«Il prossimo a venire al patibolo è Theo. Con te c'è bisogno misure drastiche».
Scherzo.
«Invece di farti venire i calli sulle corde della chitarra, studia, mi ricordi me alla tua età, ma io sono stato più saggio, suonavo alla sera, fai più colpo sulle ragazze». Alzo lo sguardo e noto che le ragazze mi tengono gli occhi addosso.
«Loro escono quando hanno finito di studiare, non prima!»
Torno a guardare il ragazzo.
«Vai a posto, sparisci! Theo, se prendi un voto positivo, puoi portare la tua chitarra».
Molti iniziano a fischiare.
«Silenzio! E fai un bellissimo assolo, ma senza il sei te lo dimentichi».
Lui sorride.
«Grande prof!»
«Dipende da te».
E suona la campanella.
«A lunedì!»
Comunque con i ragazzi mi trovo meglio di quanto sperassi, sono intelligenti e gestibili, non sono i mostri descritti dalla professoressa Rossi, inizio a sospettare che le abbiano messo i piedi in testa.
Parlando del diavolo, eccola che mi sta inseguendo lungo il corridoio.
«Jackson!»
Faccio un respiro profondo e poi mi giro verso di lei.
«Claudia, ciao... Dimmi».
Cerco di sembrare calmo e gentile.
«Stai andando via?»
«Sì, ho terminato per oggi». Un sorriso appare sul suo viso. Chi sa cosa sta pensando.
«Andiamo a pranzo?»
Non so cosa dire, ho sempre rifiutato i suoi inviti.
«A pranzo? Va bene andiamo» Non so se ho fatto la cosa giusta.