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6.

“Prima avete detto che la bottega è un bordello di alto borgo, giusto?” chiese Calloway dopo aver bevuto il bicchiere d’acqua con foglie di melissa.

“Si, esatto. Abbiamo anche fatto spettacoli privati in alcune delle grandi corti europee,” rispose Johnson sorridendo.

“Quindi aspetti, quando ieri sera ha detto che la Granduchessa Sofia era impazzita per Jacob, non scherzava?” domandò Calloway, tra lo stranito e il divertito.

“Ma certo che no. Per Jacob facevano la fila, l’uomo dal pene gigante,” disse divertito il cerimoniere, osservando la faccia sorpresa del suo ospite.

“Pene gigante?” quasi urlò Calloway.

“Beh, non so voi, ma io non so come chiamare altrimenti un pene da più di 60 centimetri,” rispose ridendo di gusto Johnson.

“Sessanta centimetri?!” esclamò Calloway a voce alta. “Oh cielo. E la gente pagava per vederlo?” chiese, dopo aver ripreso un po’ di autocontrollo.

“Oh sì. Pagava profumatamente. Il numero di Jacob era quello di sollevare alcuni oggetti con la sola forza del pene. Credo che il suo record fu cinque chili,” rispose Johnson, accendendosi un’altra sigaretta.

“Cinque chili? Ma come è possibile… e anche voi facevate un numero del genere?” fece Calloway, cercando un appiglio e sperando di far tornare la conversazione su binari più “normali”.

“No, no. Il mio numero era completamente diverso. Io facevo un normale numero da fachiro, camminando sui carboni ardenti e sui vetri rotti. Niente di particolare. Fu Mark ad inventarsi il fatto che il grande Zor avesse talmente tanta resistenza da poter possedere una donna stando sopra i carboni ardenti,” disse Johnson con una certa malinconia.

“Funzionava, che ci crediate o meno. Ho fatto sesso con centinaia di donne stando sui carboni ardenti. Sono stato Zor, il fachiro del sesso, per quasi vent’anni. Ne ho fatte di cotte e di crude, credetemi.”

“Quindi mi state dicendo che il signor Bearer vi ha spinto a prostituirvi?” fece preoccupato Calloway.

“No, no, avvocato, avete inteso male. Mark non ha mai spinto nessuno a prostituirsi; ha solo trovato il modo più efficiente per vendere il suo prodotto, ed io sono sempre stato d’accordo. Tante cose si possono dire su questo posto, ma qui non troverete nessuno costretto a prostituirsi. Almeno non qui,” ribatté prontamente Johnson.

“E voi, come ci siete finito qui, signor Johnson?” domandò Calloway, che non riusciva più a capire se il suo cliente fosse un santo o uno sfruttatore.

“Sono nato in una famiglia di girovaghi; ho imparato a fare il fachiro da mio padre. Quando avevo quindici anni, i miei morirono di colera. Il circo dove ero cresciuto ebbe molte vittime e si sciolse.

Io girai da solo per diversi anni, fino a che a Valencia non mi imbattei in Bearer e nella sua bottega. In città non si parlava d’altro; non potendomi permettere il biglietto, mi dovetti intrufolare per vedere lo spettacolo.

Non avevo mai visto nulla del genere: non era solo uno spettacolo, era un modo di essere, un modo di essere liberi, liberi veramente di essere sé stessi.

Una volta finito lo spettacolo, andai da Bearer e gli chiesi di prendermi con sé. Lui non esitò un attimo e volle vedere il mio numero da fachiro. Quando ebbi finito, mi disse: “Sei bravo, ragazzino. Non so ancora come farti entrare nello spettacolo, ma nel frattempo stai qui con noi e dai una mano. Fino a quando non trovo una soluzione, fatti crescere i baffi; quelli piacciono sempre.”

Raccontò, scavando nei suoi ricordi, Johnson, per poi prendere dalla sua scrivania la cornice con la foto sua e di Bearer insieme. “Per me è stato un secondo padre.”

“Capisco. E per i vostri numeri venivate pagato?” chiese Calloway, guardando il grande sorriso che era sui volti nella foto.

“Si, certo. Ogni nostra prestazione veniva scritta e documentata. I soldi venivano divisi equamente in tre parti: una andava per le spese della bottega, una all’artista e una in un fondo comune, del quale però nessuno di noi sa nulla. Mark diceva che era per il suo grande progetto, ma non ci ha mai detto di cosa si trattava. Spero vivamente che nel testamento ci sia una risposta a questa domanda,” rispose Johnson, spegnendo la sua sigaretta.

“Perché non avete chiesto prima di questi soldi?” domandò Calloway.

“Era scritto nei contratti, avvocato. Per entrare a far parte della bottega dovevi sottoscrivere un contratto e in una delle clausole c’era l’accordo di non chiedere mai di quella parte di soldi del fondo comune,” ribatté prontamente Johnson, come se si aspettasse quella domanda. “Posso darle un consiglio?”

“Si, certo,” rispose subito l’avvocato.

“Io sono stato il braccio destro di Mark per tanti anni. Credo che prima di fare altro dobbiate parlare con Madame Burchill, a tutti gli effetti il braccio sinistro di Mark,” disse Johnson, gettando lo sguardo fuori dalla finestra, dove ormai il sole del mattino si stagliava su un cielo azzurro e senza nuvole, nonostante la stagione.

“Si, forse avete ragione,” fece Calloway alzandosi. “Sapete, prima di venire qui ho conosciuto la signorina Iris; si è offerta di farmi conoscere tutti i membri della bottega.”

“Iris è una ragazza speciale, avvocato. Non c’è persona migliore per farvi conoscere gli altri, ma vi prego, prima di andare da Madame Burchill. Troverete il suo vagone andando a sinistra; non potete sbagliare, è di colore viola,” chiosò Johnson, alzandosi anche lui in piedi e accompagnando il suo ospite alla porta.

“Vi chiedo un favore, avvocato. Cercate di avere la mente aperta e ricordatevi quello che vi ho detto: questo è un luogo per chi non sarebbe accettato nemmeno nelle peggiori bettole delle città.”

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