4.
L’interno del vagone era tutto in legno.
Una grande scrivania piena di fogli stava vicino alla finestra.
Era tutto un unico ambiente; due paraventi in stoffa gialla facevano da muro divisore con la zona letto, e non lontano da essi vi era la zona toletta.
Sulle pareti c’erano alcuni manifesti ingialliti dal tempo.
Su uno di questi era scritto “Zor, il grande fachiro”. Sotto la scritta vi era raffigurato un uomo di bell’aspetto con dei grandi baffi neri e riccioli all’insù.
“Eravate un fachiro?” chiese incuriosito Calloway.
“Sí, ormai è passato del tempo. Ma sì, ero il grande Zor,” rispose Glenn Johnson con un sorriso malinconico.
“Come mai avete smesso?” domandò quasi di istinto l’avvocato, spinto da una curiosità che non sapeva spiegarsi.
“Beh, il tempo passa. Le mie ginocchia e i miei piedi non mi permettevano di fare più certi numeri.
La mia esibizione non funzionava bene come un tempo. Poi, cinque anni fa, Mark mi propose di prendere il suo posto come presentatore dello show.
È così che ho smesso di essere Zor il fachiro e sono diventato Glenn il cerimoniere,” disse l’uomo dai baffi all’insù, sorridendo.
“Capisco,” ribatté laconico Calloway. “Da quanto tempo lavoravate per il signor Bearer?”
“Oh beh, da quasi ventisei anni ormai,” rispose Johnson, sedendosi sulla sedia vicino alla scrivania e accendendosi con un fiammifero una sigaretta.
“Sono il terzo per anzianità. Prima di me ci sono Jacob e naturalmente Madame Burchill.”
“Madame Burchill?” chiese Calloway, che stava iniziando quasi a confondersi con tutti quei nomi.
“Avvocato, permette una domanda?” disse Johnson, notando la confusione sul viso del suo ospite.
Calloway rispose con un cenno del capo e un mugugno.
“Voi cosa sapete di questa bottega?”
Per un attimo, Calloway restò in silenzio.
Non gli era mai passato per la testa di informarsi sulla bottega dei sapori esotici.
Il suo lavoro consisteva nel dover leggere un testamento; non gli sembrava importante sapere chi o cosa trattasse il defunto.
Ma aveva la sensazione che questa volta fosse tutto diverso. Decise comunque di rispondere con sincerità.
“In verità nulla, signor Johnson. Solitamente non ha importanza sapere per filo e per segno cosa tratta l’attività di un cliente.
Senza offesa, ovviamente,” concluse Calloway, cercando di mettere le mani avanti.
“Nessuna offesa, avvocato. È solo che questo rende tutto un po' più complicato.
Speravo almeno che lei fosse stato un nostro cliente in passato, ma mi sembra chiaro che non è così,” ribatté Johnson, continuando a fumare quasi nervosamente.
“Scusi, ma cosa intende per complicato?” domandò l’avvocato, che stava iniziando a spazientirsi.
“Vede, avvocato, questa bottega è la casa per molte persone che normalmente non potrebbero entrare neanche in una sala da thè o in una birreria delle zone periferiche di Londra.
Qui ci sono quelli che la gente della società definisce fenomeni da baraccone, deviati, depravati.”
Per un attimo, il silenzio piombò sulla stanza.
Calloway era sorpreso da quello che aveva appena sentito; aveva intuito che Bearer fosse un uomo particolare, ma quello che gli si profilava dinanzi ora era qualcosa che lo spaventava.
Cosa avrebbero detto in città se avessero saputo che era in un posto simile? Cosa avrebbe pensato Laura?
“Sono qui per leggere le volontà testamentali del mio cliente, signor Johnson, né più né meno,” disse l’avvocato con freddezza.
“Mi sembra giusto. Allora le devo comunicare che, per volontà del signor Bearer, il suo funerale si svolgerà tra due giorni a mezzanotte e che il testamento potrà essere letto solo alle dieci della mattina seguente.
Inoltre, vi devo consegnare questa.”
Johnson estrasse da un cassetto della scrivania una busta bianca da lettera e la porse a Calloway.
“Non intendo rimanere così a lungo qui. Non lo ritengo opportuno e nemmeno necessario,” protestò l’avvocato.
“Sarei anche d’accordo con lei, ma prima di morire Mark mi ha dato alcune cose, tra cui tre buste.
In una c’era una lettera per me. Nella seconda vi erano queste disposizioni, con in più l’avvertimento che se non avessimo rispettato queste imposizioni non le avrei potuto dare l’assegno da 4 mila sterline che il signor Bearer le doveva, e che è custodito nella terza busta,” ribatté con fermezza Johnson, non cambiando posizione e tenendo ancora in mano la lettera indirizzata a Calloway.
“Capisco la sua frustrazione; Mark è sempre stato machiavellico.”
Mugugnando, Calloway prese la busta e lesse la lettera a lui indirizzata.
“Caro Calloway,
mi scuso per le modalità con cui questa lettera vi sarà recapitata.
Sono sicuro che per voi tutto questo sarà una sorpresa, e non credo che la consideriate al momento una sorpresa gradita.
Ma ho il desiderio che prima di leggere il mio testamento parliate con tutti i miei artisti, che cerchiate di capire quello che abbiamo creato.
Sperando che alla fine possiate comprendere.
In fede, il vostro amico
Mark Bearer
P.S. Se non accetterete queste condizioni, il nostro contratto mi può definire risolto e non avrete diritto alle 4 mila sterline che avevamo pattuito.”
“Un ricatto bello e buono,” disse Calloway, digrignando i denti.
“Bene, intendo onorare i miei impegni, signor Johnson.
E quindi farò il mio dovere come richiesto dal mio cliente. Nella lettera c’è scritto che devo parlare con tutti i membri della bottega.
Domani mattina vorrei iniziare da lei, se non le dispiace.”
“Ma certamente, avvocato. Con piacere,” rispose ridendo sotto i baffi Johnson.
“Ora, se c’è un posto dove dormire, vorrei andare a riposarmi; è stato un viaggio provante,” disse Calloway, balzando in piedi.
Johnson, con tutta calma, aprì un cassetto della scrivania e ne estrasse una grossa chiave in ottone.
“Uscite da qui e andate a destra; vi è un vagone con la porta azzurra. Qui c’è la chiave.”
“Molto bene,” disse l’avvocato, prendendo la chiave. “Buonanotte, signor Johnson.”
“Buonanotte, avvocato,” rispose colui che una volta era Zor il fachiro.
Mentre Calloway usciva, guardò una foto che aveva sulla scrivania, dove c’era lui da giovane insieme a Bearer.
Non poté fare a meno di sorridere pensando tra sé e sé: “Ne hai combinata un’altra delle tue, vero Mark?”