3.
Il viaggio fu più complicato del previsto, non tanto per l’itinerario, ma perché non riusciva a togliersi dalla mente Laura, la sua scollatura, quello sfioramento fatto con il dorso della sua mano.
La cosa stava andando fuori controllo. Anche nella notte aveva sognato la sua futura sposa, o almeno così sperava. Tutto stava prendendo una piega che non aveva mai considerato.
Era stato con altre donne in passato; nelle sue gite a Londra aveva visitato un paio di case di piacere. Per lui, si trattava di una questione più pratica che altro. Non era un frequentatore assiduo dei bordelli; ci andava solo quando sentiva il bisogno di sfogare i piaceri della carne. Ma non aveva mai avuto un desiderio sessuale così acceso in vita sua.
Questa situazione lo straniva, lo preoccupava e lo eccitava allo stesso tempo.
Arrivò alla stazione di Lacros che ormai era già sera. Da lì, prese un vetturino e si recò in Via Moreau. Nella sua immaginazione, si aspettava di trovare un’abitazione, magari a due piani.
Invece, quello che si trovò dinanzi fu un grande spiazzo, delimitato da una grande inferriata nera. Al centro, vi era un enorme tendone, simile a quello di un circo, ma a strisce rosse e nere. Il buio regnava in quel luogo; non c’era una luce accesa. Un grande cancello finemente intersecato con l’inferriata fungeva da entrata. Su di esso era posta un’insegna. Per via del buio, ci mise più di qualche istante a capire cosa ci fosse scritto: La bottega dei sapori esotici di Mark Bearer.
Guardando meglio, vide anche alcuni carri, come quelli delle carovane, più staccati in fondo. Sembrava non ci fosse anima viva.
“C’è nessuno?” disse a voce alta Calloway, nella speranza che qualcuno potesse sentirlo, ammesso che ci fosse qualcuno.
“La bottega è chiusa,” rispose, dopo qualche istante, una voce profondamente gutturale.
“Io sono l’avvocato Calloway. Sono stato chiamato qui tramite telegramma,” fece prontamente l’avvocato, cercando di non farsi prendere dal panico non vedendo il suo interlocutore.
Il suono inconfondibile di un fiammifero che si accende spense il silenzio. Una flebile fiamma danzò nel buio fino ad accendere una lanterna a olio. Finalmente, la luce rivelò la figura a cui apparteneva la voce gutturale. Era un uomo alto, molto alto, il più alto che Calloway avesse mai visto in vita sua. Aveva la pelle che sembrava quasi diafana e indossava un vestito rosso con finiture d’oro.
L’uomo si chinò per scrutare da vicino l’avvocato, che, dal canto suo, sembrava impietrito da quella figura.
“Mi scusi, avvocato. Ero stato avvertito del suo arrivo, ma oramai l’aspettavamo per domani mattina,” disse l’uomo in rosso con tono quasi sonnacchiante.
“Il treno ha avuto un leggero ritardo. Chiedo scusa,” ribatté quasi istintivamente Calloway, cercando di giustificarsi.
L’uomo non rispose, ma tirò fuori dalla tasca dei suoi pantaloni un grosso mazzo di chiavi. Con estrema lentezza, scelse una grossa chiave in ottone e la infilò nella serratura del grande cancello.
“Prego, avvocato. Siete il benvenuto. Vogliate seguirmi,” disse l’uomo in rosso, abbozzando quello che Calloway intese come un sorriso mentre apriva il cancello.
Ora che era più vicino, l’avvocato poteva osservare meglio l’uomo. Gli sembrò di vedere che aveva gli occhi di colore giallo, ma si disse tra sé e sé che doveva essere il riflesso della lanterna a fare quello strano gioco di luci.
Dopo che Calloway varcò la soglia del cancello, l’uomo richiuse subito il cancello. Senza attendere il suo ospite, iniziò a incamminarsi verso le carovane.
Il tutto, ovviamente, avveniva nella sua estrema lentezza. Ogni passo dell'uomo valeva quasi tre di un uomo normale, quindi per Calloway non fu facile tenere il passo.
“Potrei sapere dove stiamo andando?” chiese l’avvocato, mentre cercava affannosamente di stare dietro alla sua guida.
“La sto portando da Glenn, come mi è stato chiesto di fare,” rispose l’uomo senza fermare il suo lento ma inesorabile andare.
Calloway avrebbe avuto altre domande da fare, ma, vista la poca vivacità del suo accompagnatore, il buio e il difficile passo da seguire, decise di rimanere in silenzio.
Dopo qualche minuto, giunsero finalmente alle carovane. Anche lì non c’erano luci accese, tranne in un carro dove sembrava che vi fosse una, seppur piccola, candela accesa. E proprio verso quella flebile luce i passi dell’uomo guidarono Calloway.
L’uomo in rosso, sempre con la sua lentezza, bussò alla porta.
“Chi è?” chiese una voce dall’interno del carro.
Prima che Calloway potesse rispondere, fu l’uomo in rosso a parlare.
“Glenn, sono Jacob. C’è qui l’avvocato Calloway.”
Non ci fu risposta, ma si udì qualche rumore di qualcuno che cercava di rendere più presentabile l’interno della sua abitazione.
In quel frangente, che durò più di quanto l’avvocato si aspettasse, si guardò intorno e vide che i carri erano molto più grandi di quanto sembrassero; sembravano a tutti gli effetti dei vagoni di un treno.
“Avvocato Calloway, ormai la aspettavamo per domani,” disse un uomo sulla quarantina, dai capelli stempiati e dai baffi con i ricci all’insù, aprendo la porta di quella che era a tutti gli effetti casa sua.
“Il treno dell’avvocato era in ritardo. Lui si scusa,” fece l’uomo in rosso.
“Esattamente,” ribatté immediatamente Calloway, per far sentire la propria voce.
L’uomo con i baffi scese dalla scaletta di legno che aveva dinanzi alla sua porta e gli tese la mano.
“Glenn Johnson, avvocato. Molto lieto.”
“Paul Calloway, il piacere è mio,” rispose Calloway stringendogli la mano.
“Puoi andare, Jacob. Grazie mille,” disse Johnson rivolgendosi al custode, mentre ricambiava vigorosamente la stretta di mano con un grande sorriso sul viso.
“Buonanotte, Glenn. Buonanotte, avvocato,” fece l’uomo in rosso, che, senza aspettare risposta e sempre con il suo lento incedere, si riavviava nel buio verso il cancello.
Mentre lo guardava allontanarsi, Calloway non poté fare a meno di pensare che era veramente un uomo fuori da ogni canone a lui conosciuto.
“Ci credereste che lui è l’uomo che ha fatto impazzire la granduchessa d’Austria, Sofia? Ah, la vita alle volte è proprio strana,” disse Johnson, entrando a casa sua e facendo accomodare al suo interno il suo ospite.