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6. Condividere il dolore

Julien andò a visitarla. Gli piaceva molto quella ragazzina, era così dolce e ingenua. E lo commuoveva ogni volta che guardava Yolande, l’amore sconfinato che si leggeva nei suoi occhi.

Dormiva, così lui cercò di rendere un po’ più umana quella stanza. Adesso gli sembrava così fredda, soprattutto in confronto a quel prezioso fiore che riposava sul letto.

"Mamma…"

Stava sognando? Julien si voltò. Sì, anche se non si agitava stava sicuramente facendo qualche sogno. Qualcosa che doveva riguardare la sua infanzia. Restò un po’ lì a guardarla, ma lei non disse altro e scivolò di nuovo in un sonno tranquillo, così lui tornò alla sua occupazione.

"Julien?"

Si voltò. Lei aveva aperto gli occhi e lo scrutava.

"… Ciao. Pensavo che…"

"Eri preoccupato anche tu per me?"

"Bè… non quanto Yolande"

"Lo so. Lei si preoccupa sempre per me. È mia sorella"

"Anche lei la pensa così"

"Mi ha salvato la vita tante volte"

"Ma anche tu a lei"

"No, io no"

"A volte basta poco, per salvare la vita di una persona"

E lei sorrise.

"Sì. Lo diceva anche la mia mamma"

Si intrattenne ancora a conversare con lei, rassicurato del fatto che continuasse a parlargli. Quando poi si riaddormentò rimase seduto al suo fianco, e fu allora che i ricordi lo travolsero.

FLASHBACK

"Julien. Julien! Sei qui?"

Le voci infantili di Louis e Sebastian lo avevano ridestato da quello che sembrava un sogno senza sogni, oppure un delirio. Si era ritrovato sdraiato per terra, accanto al corpo di suo padre. Il professor Guibert era stato sorpreso alla sua scrivania, da vampiri entrati nel suo laboratorio chissà come. Non era bastato che uno di quegli esseri per togliergli la vita, svuotandolo di tutto il suo sangue: e in quel momento Julien era al piano di sopra, dalla mamma che stava lavando i piatti. Sembrava un giorno così normale… eppure in pochi minuti la cucina si era trasformata in un campo di battaglia, e la mamma aveva appena fatto in tempo a gridargli di fuggire.

"Vai da tuo padre, Julien! Corri!"

Lui l’aveva chiamata con tutto il fiato che aveva nel corpo di bambino, gracile nonostante i sette anni, ma lei aveva insistito, così non gli era rimasto che obbedire. Sì, aveva pensato mentre scendeva le scale che portavano al laboratorio, lì insieme al papà sarebbe stato al sicuro. E la mamma l’avrebbe raggiunto al più presto, il tempo di liberarsi di quegli esseri… la sua mente infantile si era rifiutata di registrare, in quel momento, l’urlo agghiacciante che proveniva dalla stanza che aveva appena lasciato.

"Papà, la mamma…"

Aveva trovato la porta blindata del laboratorio spalancata, strappata a viva forza dai cardini. Non era stata necessaria la sua acuta intelligenza per rendersi conto che solo una creatura fortissima avrebbe potuto farlo, considerato che pesava almeno una tonnellata.

Proprio quella stessa intelligenza, che tanto spesso lo metteva in imbarazzo, lo spinse a non farsi sentire, a cercare un luogo dove nascondersi. Era certo che papà gli avrebbe detto la stessa cosa, così Julien aveva smosso la porticina dello studio attiguo, quello che stava sistemando per lui. Quella era intatta, ed era tanto ben mimetizzata nella parete che era impossibile vederla, se non si sapeva dove cercare. Julien si era chiuso dentro, e aveva sentito i rumori nel laboratorio. Passi, oggetti rovesciati con fragore. La voce di suo padre che gridava

"Indietro! State indietro, maledetti!"

Il suo istinto era stato quello di uscire per aiutare il suo papà, ma qualcos’altro lo aveva spinto a tacere, a tapparsi la bocca, a chiudere le orecchie con le mani, disperatamente. Se avesse emesso il più piccolo suono poteva dirsi spacciato anche lui… come la sua mamma in cucina, come il suo papà dietro quella parete sottile. Come tanti altri là fuori, vittime di quei diavoli sanguinari.

Il tempo gli era sembrato dilatarsi all’infinito, ma infine era sopravvenuto il silenzio. Con cautela, Julien aveva appoggiato l’orecchio alla porta. Aveva aperto l’uscio, aveva messo il naso fuori.

Una volta resosi conto che non c’era più nessuno era sgusciato fuori, e aveva visto il padre accasciato sulla scrivania. Aveva provato a toccarlo, a rianimarlo, ma alla fine l’orrore aveva avuto la meglio, e doveva essere svenuto… ed era stato allora che aveva sentito le voci dei suoi amici. Li aveva sentiti parlare fra loro, chini su di lui.

"Secondo te l’hanno morso?" stava domandando Louis, in apprensione.

"No, non mi sembra" aveva risposto Sebastian, che in quel momento era sembrato il più maturo dei tre "Julien! Ci senti? Dobbiamo andarcene, è troppo pericoloso restare qui"

"Mamma…" Julien aveva sperato che fosse tutto un incubo, si rifiutava di aprire gli occhi "La mia mamma…"

"Julien!" uno dei due lo aveva colpito con uno schiaffo "Sveglia! Dobbiamo scappare. Forza, amico!"

In seguito avrebbe saputo che quel ceffone, che era servito a svegliarlo e in definitiva gli aveva salvato la vita, era venuto proprio da Sebastian. Si era ritrovato a fissare i due amici con gli occhi sbarrati, gli occhiali leggermente di traverso.

"Andiamo!" Louis lo aveva aiutato ad alzarsi "Casa tua non è sicura"

"Dove… dove andiamo?" aveva chiesto lui, smarrito. Mentre i due ragazzini lo sorreggevano ai lati, scortandolo fuori, lui si era stretto in modo un po’ infantile al braccio di Sebastian "Ragazzi…"

"Andrà tutto bene" aveva risposto lui, con dolcezza "Da me saremo al sicuro. Lì non sono arrivati"

"Mamma…"

Aveva continuato a piangere, in silenzio, per tutto il tragitto fino alla casa di Sebastian. Quasi tutte le abitazioni erano state “visitate” dai vampiri, pur se ancora non così numerosi: e chi invece era riuscito a salvarsi non aveva fatto altro che scrutare, al sicuro dietro le finestre, quei tre bambini che si muovevano abbracciati senza apparentemente sapere dove andare. Nessuna porta si era aperta anche solo per domandare loro se stessero bene, se avessero bisogno di aiuto, anche se era ormai mattina e i vampiri si erano ritirati nei loro rifugi. Julien non aveva visto nulla di tutto questo e neppure gli importava: Louis osservava quei visi, un tempo familiari, e non comprendeva perché nessuno si muovesse.

"Sebastian… non dovremmo chiedere aiuto a qualcuno?" aveva chiesto al compagno "Julien potrebbe avere bisogno di cure…"

Lo sguardo di Sebastian, che aveva saettato quelle facce immobili, gli era sembrato quello di uno sconosciuto, e senza dubbio molto più adulto dei suoi sette anni.

"Non abbiamo bisogno dell’aiuto di nessuno" aveva detto, freddamente "Possiamo cavarcela da soli. Saremo fratelli da oggi, se voi volete"

Ancora a distanza di anni, quelle erano le uniche parole che Julien ricordasse chiaramente di quel giorno. Tutto il resto si era ridotto ad un unico opaco incubo fatto di orrore, dolore e lacrime.

FINE FLASHBACK

E ancora quelle lacrime scorrevano, silenziose, sul viso del ragazzo diventato scienziato. Si sforzò di non fare rumore, di soffocare i singhiozzi, per non disturbare Ariadne: ma lei forse aveva riconosciuto quel dolore così speculare al suo, e aprì gli occhi turbata, le labbra dischiuse.

"Julien…"

Lui cercò di scusarsi, ma non riuscì ad articolare parola. Soltanto i suoi amici lo avevano visto così, ma anche con loro tendeva a nascondersi, a mostrarsi freddo e impassibile: era passato troppo tempo, si limitava a liquidare così l’argomento, con un gesto della mano. Ma quella ragazzina aveva visto il suo vero volto sotto la maschera, con lei voleva mostrarsi fragile. Non gli chiese nulla, non gli domandò se stesse piangendo per lei, perché sapeva già la risposta. Gli prese il viso, gli allontanò le mani con cui stava provando a non farsi vedere, gli diede un bacio. Lo guardò direttamente negli occhi, e annuì.

"Lo so, amore mio. Lo so"

Julien gettò completamente le armi. Lei lo baciò ancora, senza chiedergli nulla.

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