Capitolo 6
"Incontrala e dille che forse Sapphire non ha avuto un incidente." Mi preoccupai.
Così seguii rapidamente il suggerimento di Martha e contattai Elisabeth, quando la conobbi la donna mi ricordò mamma. Con i suoi atteggiamenti sicuri e dignitosi. Le dissi ciò che mi aveva detto già Martha e lei decise che avrebbe controllato suo figlio.
"Suo padre non è mai arrivato a picchiarmi. È anche vero che avevo il coltello dalla parte del manico. Mio padre pace all'anima sua, quando mi sposai ci tenne a mantenere i miei interessi separati dal mio matrimonio e Oscar è sempre stato passivo con me, l'importante era che potesse tradirmi a piacimento. Andrew temo di averlo viziato troppo anche io, con l'esempio poco virtuoso del padre poi non è cresciuto per niente bene. Ma sta' tranquillo, mi assicurerò che Sapphire e tuo figlio stiano bene."
Sospirai. "Io purtroppo devo partire, a fine agosto nascerà il mio primo genito e ho promesso a mio fratello che sarei tornato a Monaco. Posso però lasciarle un recapito nel caso voglia scrivermi." Le dissi.
"Certo, mi farebbe piacere poterci scambiare opinioni. Ho sempre amato avere rapporti epistolari, lei stesso. Thomas mi scriva qualsiasi cosa le passi per la testa."
"Grazie Elisabeth. Parto più tranquillo sapendo che veglierà su chi amo. Le scriverò con piacere, anche delle sciocchezze se le fa piacere."
Cominciò così il nostro periodo epistolare. Elisabeth si trasferì a casa di Saph mentre partii per Monaco.
C'era chi trascorreva agosto al mare e chi come me attendeva la nascita del proprio primogenito in Germania.
Però sembrava che Gabriel si lasciasse attendere, i conti di Inga terminarono il ventotto agosto. Ma di contrazioni ancora non se ne parlava. Il medico ci disse che era normale, soprattutto quando si trattava del primo figlio, che si usciva dai conti prestabiliti. Agosto cedette così il posto a settembre, passarono giorni e un'altra settimana. Il pomeriggio del nove settembre Inga ebbe le prime vere contrazioni.
La portammo in ospedale e dopo un travaglio di quindici ore, la notte del dieci settembre venne al mondo mio figlio Gabriel Edgar Keller. Era scuro proprio come me e aveva una gran voce. Lo immaginai in una vita serena con me e col figlio in grembo a Sapphire, ma sapevo che era giusto crescesse anche con sua madre.
"Londra e Monaco non sono lontani. Due ore di volo e sarò subito da voi. Soprattutto i week end." Dissi a Taddheus quando il diciannove settembre una telefonata di Ebony mi avvertì del parto prematuro di Sapphire.
"Vai, non preoccuparti. Anche noi possiamo raggiungerti a Londra se solo lo vogliamo." Mi disse.
Una volta a Londra non mi fu concesso di incontrare Sapphire in ospedale. Martha ed Elisabeth però mi attendevano fuori la nursery e felici mi portarono a conoscere mio figlio.
"È il bambino biondo. Quello che ancora urla come un pazzo, tra un po' un'infermiera te lo farà vedere." Disse Martha. "Ha i colori di Sapphire, ma non somiglia a lei da piccola."
Fissai il bambino che piangeva. No, non assomigliava a Saph, quelle urla poi le conoscevo benissimo. Un'infermiera arrivò a prenderlo e lo tirò su dalla sua culletta per poi rivolgerlo verso di noi. Era stupendo ed era identico a mio figlio Gabriel.
"È identico al fratello, anche per come urla." Dissi emozionato, non riuscivo ad abbandonare lo sguardo dal bambino.
"Sapphire ha chiesto di chiamarlo Thomas." Disse Martha.
"Potete mettergli anche il nome di un angelo? Rafael o Uriel, Daniel, Samuel..." chiesi guardando le due donne. "Potete anche mettere che sono io il padre. Vorrei tanto prenderlo in braccio." Dissi.
"Purtroppo non si può entrare nella nursery. Mi dispiace Thomas." Mi disse Martha.
"Va bene così." Affermai.
La nascita di Tom, che ebbe Uriel come secondo nome, cambiò le mie giornate. Ripresi a lavorare senza lena in Inghilterra ed aprii una seconda filiale della T- consulting a Manchester. Avrei voluto vedere Tom qualche volta, ma forse Andrew comprese che ero ancora in giro poiché non lasciava mai la casa di Kensington. Amareggiato tornai in America, affrontando mio padre e consegnandogli tutti i tabulati delle T-consulting. Mio padre accettò, tabulati davanti di assorbire quella di Londra e quella di Edimburgo, le due più proficue. Mi disse anche che, con quei numeri, ero pronto per la presidenza. Rifiutai.
Se su tre agenzie di consultazione, solo due erano passate vuol dire che ancora dovevo lavorarci su.
"Hai ragione." Mi disse papà. "Arriva ad averne cinque e riparliamone. Vai dove vuoi tu, qui a Boston dove ho la KCG o altrove."
Sorrisi accettando. Sarei stato uno stolto se avessi accettato di aprire lì. Con la Keller consulting group dietro l'angolo non sarei mai decollato. "Vado nel vicino Connecticut." Gli dissi.
"Aspetto i tuoi profitti figliolo." Mi disse papà, i suoi vivaci occhi castani mi sfidavano. Io non assomigliavo a mio padre, ero identico a mia madre. Ero l'unico dei tre figli ad assomigliare a lei, sia per colore dei capelli che degli occhi. Il carattere invece era tutto di papà, la mia vita era una sfida come lo era stata la sua.
Così partii andando Connecticut. Scelsi ovviamente la capitale, Hartford mi accolse con la sua vivacità e i giovani in cerca di un futuro. Tra questi il primo collaboratore che cercai fu qualcuno che potesse farmi da assistente e di cui potermi fidare. Doveva essere qualcuno a cui avrei potuto lasciare in mano le redini della mia società una volta che fossi partito. Perché non mi ero dimenticato dell'Inghilterra, di Thomas, di Gabriel in Germania.
Io dovevo tornare in Europa, volevo che la T- Consulting di Manchester salisse di livello. Volevo controllare Edward Cooper, adesso che si erano trasferiti in Scozia. Il percorso di guarigione dell'uomo era iniziato, ma volevo seguire da vicino la famiglia di Saffi. Volevo proteggere le persone che mi erano care. Trovai una persona di fiducia, era più grande di me, aveva 10 anni se non di più, di me. Quando ebbi sottomano il codice fiscale di Karla Cohen per l'assunzione, scoprii che aveva 37 anni un'ottima carriera come bancaria e soprattutto era single. Non che cercassi una relazione, ma cazzo Karla era una bella donna alta, capelli castani, occhi verdi. Era molto affascinante e durante il periodo che stetti lì ad Hartford iniziammo una relazione, sia di lavoro che sessuale. Non ci concedevamo altro né di conoscerci personalmente.
La notizia della seconda gravidanza di Sapphire arrivò in quel periodo e il sesso riusciva ad annebbiarmi la mente. La cosa importante era la società che ebbe un picco di successi incredibile, Karla mi presentò inoltre altri consulenti da inserire nella società, alcuni suoi colleghi di altre banche, suoi coetanei ma anche più giovani. Mi consigliò anche di continuare a sfruttare il Connecticut come meglio volevo per la T-consultig, spostarmi a New Heaven e approfittare dei giovani laureandi a Yale. Fu effettivamente una bellissima idea non c'avevo pensato inizialmente, ma proseguii. Così da Hartford mi diressi a New Heaven ad aprire la seconda sede.
Non ebbi amanti in quel periodo, ero troppo preso dalla carriera che mi dava grande soddisfazione a differenza della mia vita privata.
La mia consolazione era il rapporto epistolare che si creò con Elisabeth Preston Davis. Mi raccontava qualsiasi cosa ed anche io presi a scriverle di tutto.
Gli aggiornamenti che mi arrivavano su Gabriel li passavo anche a lei. Ricevetti anche una lettera di Molly, dove mi riferiva che Lynn era partita e mi ringraziava per aver intercesso con l'accademia di cucina.
Lasciai il Connecticut, sicuro che Karla avrebbe gestito bene le filiali, decidendo di voler rischiare e aprire la consuling in un paese non proprio agevolato. Così mi trasferii in Brasile, a Rio de Janeiro per l'esattezza.
Qui conobbi Laura Moreiro e Julio Sanchez. Rispettivamente segretaria e ragioniere di uno studio amministrativo dal quale si erano licenziati. Laura era bella, molto bella! Mora, pelle scura e capelli ancora più neri. Il fisico era di quelli invidiabili. Iniziavo a comprendere il motivo per cui Simon Thompson fosse rimasto folgorato da Manila. Negli occhi scuri di Laura c'era un fuoco indescrivibile, sicuramente lo sapeva anche il marito dal momento che portava una bella fede al dito.
Evitai proprio di sedurla, però con lei e con Julio avviai la T-Consulting che anche tentennando riuscì a partire. A suo favore la società aveva il pregio di non avere rivali nel paese, la gente ancora poco si affidava a fare investimenti sicuri se non erano del settore. Ed io ero lì per loro. Non cercavo infatti i ricchi per poterlo fare una clientela sicura, ma il comune cittadino. Anche in questo mi aiutarono Laura e Julio, a trovare la giusta clientela.
Dopo un mese di assiduo lavoro, mi sorpresi ad essere sedotto io stesso da Laura. Eravamo rimasti soli in ufficio e Julio aveva raggiunto la moglie. Lei era rimasta. Mi chiesi il motivo, ma non mi aspettavo che mi saltasse addosso.
"Laura... sei una donna sposata." Le dissi.
"Sono una donna e con mio marito sono mesi che non abbiamo rapporti." Mi disse. "Lui è stato in chemioterapia e non ha molta voglia. Thomas per favore... solo per stasera." Mi disse baciandomi timorosa il collo.
Avvertii il mio uccello farsi duro. Cazzo se era bella ed eccitante. Però mi fermai. "Tuo marito è malato... non so Laura, non posso. Non mi intrometto nei matrimoni , figuriamoci se tuo marito è malato." Le dissi.
Mi guardò e quando scoppiò a piangere non riuscii a trattenermi. La strinsi cullandola. "Scusami! Non volevo ferirti."
"Allora fallo! Fammi sentire una donna ti prego. Pablo non lo scoprirà ed io mi sentirò di nuovo viva." Mi disse ritornando a baciarmi. Questa volta con passione, leccò le mie labbra e sollevandosi la gonna si mise cavalcioni su di me. Così non potevo resisterle decidamente. Le sue mani mi carezzavano il torace fino a scendere al cavallo dei pantaloni. Poteva avvertire la mia eccitazione.
La sollevai di scatto e spostando tutto dalla scrivania la presi lì, sul piano duro. Ero un bastardo. Mi stavo facendo la moglie di un malato terminale. Dopo l'amplesso guardai la donna. Cazzo se era seducente.
"Laura... non farlo più." Le dissi. "T-tuo marito." Lei singhiozzò. "Adesso sta bene ma... scusami Tom! Scusami... io..."
"Non piangere." Le dissi scostandomi. Le rassettai la gonna e mi misi io stesso in ordine. "Non lo volevi veramente." Le dissi.
"Amo molto Pedro." Disse ancora in lacrime. "Karla dice che sei un ottimo amante e che non chiedi relazioni serie e volevo provare." Mi poggia al muro disperato.
"Ma tu non sei Karla. Lei è una donna indipendente, non credo neanche sia innamorata."
"In realtà lo è! Convive con una persona." Mi rivelò.
Donne! Giustamente tra loro si parlavano anche a chilometri di distanza. "Ok! Stammi a sentire. Questa cosa non deve più accadere, so che sei giovane. Ma tu e tuo marito dovete trovare un modo... la malattia non deve allontanarvi, anzi deve...."
"Unirci. Lo so... Grazie Tom." Mi disse. "Ti giuro non si ripeterà più."
Annuii. "Lo spero." Le risposi.
Così fu! Mantenemmo un rapporto sereno dopo quella volta. Quando Pedro fu dimesso dopo l'ennesimo ricovero, Laura mi invitò addirittura a casa loro per conoscerlo. Scopro che Pedro Suarez era stato un calciatore e che negli ultimi tre anni gli era stato diagnosticato più di un tumore. Prima al fegato, aveva subito un intervento e dopo la chemio si pensava potesse stare bene. Poi ne era uscito un altro ai polmoni, aveva iniziato da poco un altro ciclo di chemio.
"Che ne dite di raggiungere Karla in Connecticut? Secondo me avete altri pareri e cure più avanzate può aiutarvi." Proposi.
"Noi non possiamo. Ma grazie." Mi disse Pedro. Li guardai. "Voi potete. La T-consulting è stata assorbita dal gruppo KCG e questo prevede l'assicurazione sanitaria per tutti i dipendenti della società." Disse secco comprendendo le loro reticenze.
La coppia mi guardò felicemente sorpresa. "Sei serio? Ci sarebbe quindi modo di vedere altri medici?" Chiese Laura. "Si, ci sarà modo." Risposi. "Io dovrò partire a breve per la Germania. Ma vorrei che vi sentiate con Karla per organizzavi." Dissi.
Loro annuirono. Io per una volta mi sentii con l'anima in pace, forse con quell'azione volevo mettermi in pace la coscienza per essere stato con Laura. Ma mi sentivo bene.
Partii per la Germania più sereno, ma prima chiamai Karla dicendole di mandare la pratica di Rio de Janeiro alla KCG e di non dire a Laura che le cure al marito le avrei pagate io personalmente.