Il prigioniero
Tornai a casa la sera, ero sfinita, ma il mio cuore era felice. Ero felice di averlo rivisto almeno un’altra volta nella mia misera vita.
Mi arrivò una chiamata sconosciuta, non risposi. 10 minuti dopo chiamo di nuovo. Feci un sospiro, “Questi call center chiamano anche a quest’ora” imprecai e risposi.
La voce dall’altra parte era profonda, di un uomo potente. Era lui. Colui che mi aveva provocato tanto dolore nel corso degli anni.
“Mmm vedo che mi hai dimenticato” disse.
“Ti troverò presto, così come ho rintracciato il tuo numero, non avrai scampo”. Rise maleficamente. Chiusi la chiamata, ero terrorizzata, in preda al panico.
Rimasi immobile per molti minuti, prima che il mio campanello suonasse.
Guardai attraverso lo spioncino della porta, tirai un sospiro di sollievo e aprii. Era Marco, l’autista di Nathan.
A “Salve”
M “Buonasera Signorina, ha dimenticato la sua sciarpa in ufficio e il capo mi ha chiesto di riportargliela”
Lo ringraziai sospirando.
M “Tutto bene signorina? La vedo un preoccupata”
Avrei voluto parlare a qualcuno della mia situazione, ma come potevo farlo. Era troppo difficile, volevo sparire.
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Nathan
Guardai l’ora, erano le 22.47, Jonas avrebbe dovuto aver finito il suo incarico. Presi il bicchiere di whisky e lo tracannai.
Guardai fuori il cielo, era limpido, si potevano vedere tutte le stelle, ‘chissà se lo sta guardando anche lei’ pensai ‘ah ma cosa sto pensando, ho cose più importanti di cui occuparmi’.
Posai il bicchiere sul tavolino e uscii.
Mi diressi verso la mia stanza oscura, che di oscuro aveva solo lo scopo. Le pareti e il pavimento erano bianchi, non c’erano finestre, la porta bianca inclusa la serratura. Era perfetta per le torture mentali e anche fisiche. Perfino la sedia dove poggiava il mascalzone era bianca. Tutto, tranne le persone, il secchio posizionato, a fianco della sedia, e degli attrezzi.
Mi misi di fronte a quest’uomo, non sembrava terrorizzato, anzi, nonostante il labbro rotto col sangue che fuoriusciva e dei lividi in volto, aveva un sorriso beffardo.
‘Che sfacciato’ pensai.
N “Sai chi sono?”
Lui rise “So chi sei”. Mi guardò alzando a malapena la testa e continuò “Non ti dirò niente, pensi che le tue torture mi facciano cambiare idea?”
N “Lo vedremo” lo scrutai per vedere da dove iniziare, mmm aveva le mani legate ai poggioli, ‘potrei cominciare con le dita’.
Presi un punteruolo che aveva un ago lungo, ‘perfetto’, sorrisi in preda all’emozione di fare del male e ordinai “Tenetegli ferma la mano destra”.
I miei sottoposti ubbidirono subito e gli presi un dito, l’indice per l’esattezza, iniziando ad infilare la punta affilata nella terminazione dei sui polpastrello, proprio davanti e molto lentamente.
Emise un gemito di dolore, ma quando iniziai a rotearlo nel suo dito, scavando più a fondo, strillò come una pecorella in preda alla paura. ‘Che suono sublime’.
Feci lo stesso con altre due dita della stessa mano, svenne. Gli fu lanciata addosso dell’acqua ghiacciata dal secchio perché si riprendesse.
N “Allora…sicuro di non voler parlare?”
“Io…io…non avevo scelta”
N “Lavori per Arturo?”
“Non parlerò” disse gemendo.
N “Lo sai che nei paesi orientali, ai ladri viene mozzata la mano? Ma io sarò più crudele”
Così presi un paio di cesoie molto affilate, i miei uomini lo tennero fermo e ‘zac’, il suo pollice cadde a terra, con il sangue che schizzava dando un po’ di colorito alla stanza. Lui svenne di nuovo.
Guardai l’ora, erano quasi le 2 di notte, il giorno dopo avevo una riunione importante.
N “Curatelo e tenetelo quel tanto che basta in vita” dissi ai miei uomini e tornai in casa.
Mi fiondai nella doccia, l’acqua calda mi lavava dalle mani il sangue schizzato dal mio prigioniero e i miei muscoli si rilassavano.
Presi un asciugamano, lo passai sui capelli e me lo legai in vita, sedendomi sul bordo del letto e guardando fuori dalla finestra, pensai di nuovo a lei.
La sua pelle bianca, i suoi grandi occhi verdi, le sue mani minuscole, il modo gentile che aveva di accarezzarmi in passato, nonostante fossi stronzo con lei.
‘Ah cosa mi sta prendendo?’ Un movimento istantaneo avvenne tra le mie gambe, solo pensandola mi venne duro. Avrei voluto possederla, toccarla, sentire il sapore delle sue labbra di nuovo.
‘Cosa mi stai facendo Arte’.