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03

Il signor Ego

"Non sai mai quando sei in pericolo, finché non incontri uno sguardo così vuoto da non far affiorare la minima emozione, tranne l'ego in quei blu che incantano l'adorazione".

Distesa in posizione fetale, con lo sguardo perso in un punto, svogliata, senza voglia di vivere, mi guarda appena, ma non c'è alcun bagliore nei suoi occhi. Non so se un giorno si riprenderà, mi fa star male vederla così. D'altra parte, mi solleva sapere che è viva, una volta è successo che l'ho lasciata sola per qualche minuto, sono andata al mercato a prendere delle cose, quando sono tornata l'ho trovata a letto quasi senza polso, e ho dovuto chiamare un'ambulanza. Si è scoperto che si trattava di un'overdose, sono passati alcuni mesi e ora la tengo d'occhio più da vicino. Non voglio mentire, il terrore mi assale ogni volta che devo lasciarla sola. Se dovesse succedere di nuovo, potrebbe significare che non ne uscirà indenne come la prima volta. Non voglio che faccia di nuovo la stessa cosa. Non mi fido di lei, non in questo stato di instabilità, e lei si oppone all'aiuto. Secondo lei gli antidepressivi non servono e ha smesso di prendere quelli che le aveva prescritto il medico.

-Come stai? -mi chiede, con voce flebile.

Mi siedo sul bordo del letto e prendo la sua mano nella mia. Un sorriso mi sfiora le labbra. Questo deve rassicurarlo che ho fatto bene, che un futuro migliore è dietro l'angolo.

-Ho ottenuto il lavoro, guarda", le mostro il foglio. Mi hanno dato il programma di lavoro, inizio domani, mamma.

-È una buona notizia", dichiara con un lontano soffio di felicità.

-Lo è, non devi preoccuparti, andrà tutto bene". -La rassicuro, passandole una mano sui capelli.

-Non è giusto che tu debba assumerti la responsabilità da sola, cercherò un lavoro, ti aiuterò", sussurra.

-Troverò un lavoro, ti aiuterò", sussurra. Non devi sentirti in ansia per ora e lascia che sia io a occuparmi del resto, ok? -Le do un bacio sulla fronte.

-Grazie, sei così brava, Ary, dovresti studiare?

-Lo so, ma lo farò quando staremo meglio, e questo è il minimo che possa fare per te, mamma, mi hai dato tutto. -Io sono buono perché tu sei buona, ti voglio bene.

-Ti ho dato tristezza, sono un problema, ma voglio cambiare, non posso più andare avanti così, Aryanna. La vita è troppo breve per trascorrerla in questo modo. Io... io sono decisa a superarlo... .... - dice con una potente pausa nella voce.

Dense lacrime mi offuscano la vista, non ha mai suonato così determinata e sentirla così mi fa venire un groppo in gola. Dentro di me c'è un'ondata di emozioni forti, che si scatenano all'impazzata e mi butto tra le sue braccia, senza fermare il pianto convulso che sta arrivando. Il suo palmo è sulla mia schiena, giù e su, l'azione si ripete più volte. È incredibile che anche se la vita le va a rotoli o non ne vede il senso, ha comunque il potere di portarmi in un luogo dove il dolore non mi tocca. Lo lenisce, anche se non trovo che attenui la sua sofferenza; la abbraccio, fingo di darle un po' di quello che lei fatica a dare.

-Hai fatto colazione? -chiedo dopo aver messo un po' di distanza tra me e lei.

-No, non l'ho ancora fatto.

-Lo farai, anch'io non ho fatto colazione", ammetto sorridendo.

Ero così nervosa che non avevo osato mangiare prima di uscire di casa. L'angoscia, l'ansia che si stavano facendo strada in me hanno fatto dimenticare l'appetito feroce che ora imperversa. Sto morendo di fame.

-Beh, lascia che mi prepari.

-Ma sei bellissima", esclamo, e lui scuote la testa, scherzando solo con l'intenzione di strapparmi un sorriso.

-Certo che lo sono", risponde con sarcasmo.

Sembra tutto troppo bello per essere vero, la mamma sta al mio gioco, incoraggiata a scendere a mangiare con me, decisa a darsi una possibilità di vita. La giornata non potrebbe essere migliore, il sole ha iniziato a sorgere. Mi dirigo con i piedi verso la piccola cucina, qui vivo molti momenti. Mariola che muove i primi passi, corre e il papà dietro di lei la avverte che questo non è un posto per giocare. Mi divertiva tanto la sua birichinata, portava allegria alle nostre mattine, ritardava anche il papà quando doveva andare al lavoro, piangeva finché la mamma non gli diceva che il papà sarebbe tornato presto. Ora che sono di nuovo sola, le scene tanto desiderate svaniscono, momenti che non torneranno mai più, ma che ritornano ciclicamente nella mia testa, lasciando un segno che non svanirà mai.

Non c'è abbastanza cibo nella credenza, appena sufficiente per oggi. Due giorni fa ho chiesto un nuovo prestito a Mila, la vicina di casa. Mi vergogno di doverglielo chiedere di nuovo. Sospiro. Almeno adesso posso ripagarla. Prendo quello che è rimasto del pacchetto di panini, cinque fette e basta. Dal frigorifero prendo il barattolo di marmellata mezzo pieno. È rimasto il succo d'arancia di ieri, lo verso in due bicchieri. È sempre meno, sono fiducioso che la situazione migliorerà.

Aspetto un po', ne approfitto per dare un'occhiata al foglio, noto che il mio ingresso sarà dal lunedì al venerdì alle otto del mattino e uscirò alle cinque, tranne il giovedì quando sarò libero alle quattro. Tutto indica che starò lontano da mia madre per molte ore al giorno, il che mi allarma molto.

Mi sposto in sala da pranzo, lascio tutto sul tavolo e aspetto mia madre. Lei si presenta in modo più elegante e mi accompagna.

-Mi parli del lavoro, del suo capo? È stato gentile?

Gentile? Con me è stato un idiota, un po' brusco e scortese. Ma vedo la mamma sorridere, più viva degli altri giorni, e non riesco a dirle la verità. Se è necessario dipingere di rosa e darle una buona impressione di questo Silvain, lo farò.

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