6 UN GIORNO FORTUNATO – nov 2020
https://www.youtube.com/watch?v=5NV6Rdv1a3I Get lucky
Mi sento meglio, decisamente meglio, tanto da decidere di farmi una doccia calda e passare la mattinata sul divano ad accarezzare Fred e tenere un po’ in mano la chitarra.
Mia madre, ieri, ha chiamato al lavoro e non dovrò andare per un paio di giorni. Ha detto che mi ha trovato svenuto, faccia a terra, sul pavimento dello stabile di casa.
Un po’ tragica, ma efficace e soprattutto veritiera.
Mi faccio un tè caldo, sa ancora di quell’infuso del sogno…
Buttato sul divano e coperto da quattro stracci messi a caso provo a strimpellare qualcosa, ma sinceramente non ricordo molto delle lezioni prese tempo fa.
Accarezzo il micetto e lui, quasi infastidito, mi morde un dito e si allontana, arrampicandosi sopra la credenza.
“Faccio schifo pure al gatto”, penso tra me e me.
Chiedo ad Alexa di mettere Get lucky abbassando il volume e rimango per un po’ a guardare la finestra di fronte a me. Non che ci sia chissà che panorama, ma almeno ho un piccolo scorcio di cielo da osservare – anche se coperto, oggi – anziché solo palazzi, panni stesi e traffico.
E nell’osservare il vuoto rifletto sulla mia vita, sulla quotidianità, sul lavoro, su questa casa e sui miei rapporti…
Un senso di voltastomaco si fa strada lungo l’esofago e mi stringe la gola; mi sento insoddisfatto, solo e triste. Vorrei della compagnia, vorrei fare qualcosa che mi faccia sentire entusiasta. Vorrei dei lampi di intuizione, delle sorprese, viaggiare, divertirmi, imparare a fare qualcosa di fico... Sento il bisogno incontenibile di creare qualcosa di nuovo.
Prendo il telefono e mi metto a leggere gli annunci lavorativi: cercasi assistente, commessa, segretaria, estetista, massaggiatrice... Uff!
Get lucky – essere fortunati, se vogliamo – suona ancora, ma io di fortuna proprio non ne vedo.
Apro Facebook e vedo sempre le solite facce, le solite battute scontate, il solito umorismo sciatto... Non c’è via di fuga.
Allora, annoiato e solo come un cane solo in un canile vuoto, mi addormento senza neanche accorgermene.
***
Al risveglio, qualche ora dopo, tutto sembra essere cambiato, incredibilmente. Il gatto fa le fusa, ho due messaggi vocali sul telefono e il sole è tornato a illuminare la stanza. Di scatto afferro lo smartphone e avvio le note, con curiosità, non conoscendo i numeri di provenienza.
«Buonasera – alzo lo sguardo e noto che sono le due del pomeriggio – sono Roberto del dipartimento risorse umane della IIESSEDI, Inserimenti Informatici al Servizio dei Dipendenti, volevo avvisarla che sarà convocato nei prossimi giorni per un colloquio, riguardo la domanda da lei inviataci in data 9 settembre del 2019».
Questo era il primo messaggio vocale. Possibile che mi contattino su Whatsapp? Ma poi chi ha fatto questa domanda? E mi rispondono dopo un anno? Non saprei proprio di cosa si possa trattare…
Avvio il secondo messaggio:
«Ciao, è tanto che non ci sentiamo, come stai? Volevo chiamarti ma forse sei a lavoro... Mi sei venuto in mente, ultimamente... Scrivimi quando puoi, se vuoi. Un bacio...»
«E questa chi è?», mi chiedo.
“Che stia ancora dormendo?”
Provo a dare un calcetto a Fred che, di scatto, fa un balzo e mi attacca i piedi come fossero un acerrimo nemico da squartare. Non sto sognando, no!
Rimango con mille domande in testa e la curiosità di capire di chi si tratti, per ambedue i messaggi.
«Oh cicciooo! Allora stai male davero o è ‘na finta?», sento urlare da sotto casa.
Mi affaccio e apro appena la finestra per non far entrare il freddo. «Mirko! Tacci tua! - esclamo – Sali!». Apro il portone e il vecchio amico d’infanzia sale facendo i gradini a due a due.
Come farà ad avere sempre tutta questa energia?
Mirko lo conosco da quando avevo cinque anni e lui ne aveva sei. Non eravamo migliori amici all’inizio, giusto vicini di casa che spesso giocavano insieme, però poi negli anni, crescendo, ci siamo trovati maggiormente in sintonia, soprattutto da quando, una decina di anni fa, siamo stati fidanzati con due ragazze amiche tra loro. Non erano relazioni serie, di quelle che sai dureranno anni; entrambi sapevamo che sarebbero terminate a breve, però in cuor mio ringrazio sempre di aver vissuto quell’esperienza, che ha consolidato un’amicizia ormai diventata fraterna.
«Tacci Tua!» grida entrando in casa: è il nostro saluto. Mi da una pacca sulla spalla e si lancia di peso sul divano con il rischio di fracassarmi la chitarra.
«I sordi tua co’ na gamba ‘n meno!», esclama guardando le scatole di pizza accumulate sul tavolo, in attesa della raccolta differenziata porta a porta.
Spesso avevo l’abitudine di mangiare pizza, soprattutto quando rientravo tardi a casa e, per non mettermi a cucinare, ordinavo un Glovo al volo.
Mirko, che di soldi in tasca ne aveva sempre avuti pochi, in realtà è uno spendaccione per altri motivi: discoteche, drink, ragazze, motorini che spesso si rompevano, gli rubavano o non so che altro ci facesse, ma soprattutto scommesse online. Si giocava di tutto, dal rugby al calcio, dal lancio di arance in qualche festa paesana a chi avrebbe vinto le comunali l’anno successivo... È uno scommettitore seriale.
«Lo sai chi ho incontrato stamattina?», mi chiede.
«Chi?»
«Raissa! Le ho dato il tuo numero, dice che ti ha pure scritto su Instagram tempo fa, ma non le hai risposto».
«Raissa... Ecco di chi era quella voce della nota vocale. Oddio non l’avevo riconosciuta, è passato un secolo.»
Ho impresso davanti agli occhi il suo volto, il suo sorriso, i suoi capelli legati. L’avevo rivista solo un’altra volta, dopo le estati in riviera romagnola. Solo per un unico, ultimo bacio. Ero andato a cercarla a Prato, in una delle pause da relazione di quel periodo; sarà stato cinque o sei anni fa. Mi aveva accompagnato proprio Mirko in quel vano tentativo di cercare di conquistarla, anche se erano passati tanti anni da quel nostro primo bacio. La cosa strana era che si erano riconosciuti, incredibile! Si erano visti a Rimini, un paio di volte e a Prato proprio di sfuggita, credo. Ma quindi mi pensa ancora? Ma come è possibile... lei è così... bella. Non è possibile, deve esserci qualcosa sotto.
«Ma quindi stai bene, dai!», interrompe così i miei pensieri su Raissa, con quel suo fare schietto e sincero.
«Sinceramente ora sto bene, anche se ieri ero mezzo svenuto sul pianerottolo», mi giustifico, quasi come se dovessi rendergli conto di qualcosa. «Ma un paio di giorni credo di farmeli a casa, alla fine non prendo mai un riposo».
«E fai bene! E chiamala!». Si alza di scatto, mi da uno scappellotto, un bacio umido sulla guancia – che odio – e si sbatte la porta alle spalle.
Gli voglio bene a ‘sto stronzo, penso e, con i pensieri che volano, mi butto sul divano, sentendomi come un adolescente nel corpo di un peloso, nostalgico, quarantenne.
Get lucky. I Daft Punk forse stavolta c’avevano ragione…