1 TUTTI MI CHIAMAVANO GIORGIO – giu 2002 – set 2005
https://www.youtube.com/watch?v=zhl-Cs1-sG4 Giorgio by Moroder
Nel 2002 mossi i miei primi passi come dj estivo a Rimini, in giro tra spiagge, locali e automobili con subwoofer che facevano vibrare pure i pali della luce. Venti ore di musica dance ed elettronica no stop. Un’ora o poco più di rimorchio. Tre ore di sonno. Per quasi quattro mesi. Un inferno, e che inferno…
All'epoca c’era una ragazza che mi girava spesso intorno, si chiamava Raissa. Era sempre accompagnata da un ragazzo più giovane di lei, il cugino, del quale non ricordo il nome e dalla sua amica... Elisa. Io invece, arrivando da Roma da solo, avevo preferito non essere accompagnato da nessuno, salvo qualche amico che, insieme a Mirko, scappando per il fine settimana dalla capitale veniva da quelle parti a saltellare un po' in pista, passare la giornata successiva in spiaggia e tornare nei meandri cittadini e cupi della nostra patria natale.
Raissa era una bellissima ragazza tra lo schivo e il simpatico, mora, abbronzata, slanciata, appassionata di musica dance e commerciale e, per fare colpo su di lei, le mettevo spesso i pezzi che sapevo piacerle di più. Il suo cuginetto ballava come un matto qualsiasi cosa mettessi e sorrideva sempre. Sudava e sorrideva. E poi veniva cacciato dalle due ragazze quando si stava per fare troppo tardi.
Elisa invece mi era antipatica. Era bella anche lei, minuta, biondina e con un fisico invidiabile, ma sembrava essere sull’acido. Poi, cercava di mettersi sempre in mezzo ogni volta che ci avvicinavamo per scambiare due chiacchiere, io e Raissa. Mi guardava strano, era smorfiosa, sembrava una di quelle ragazze viziate di buona famiglia.
Erano entrambe toscane, ma i genitori di Raissa avevano comprato due appartamentini in riviera per venire a godere del mare e della vita notturna. E loro erano ben contente di spassarsela, quelle estati lì, a ritmo di bassi sfonda timpani, rincasate al mattino e baci con la lingua con sconosciuti.
E io lì che picchiettavo su tastiere, consolle e pulsanti vari, come fossi allucinato.
Da una parte adoravo quello che facevo, il dj o presunto tale, dall’altro avrei voluto conoscere meglio quel fiore di ragazza che mi seguiva come un’ombra.
Tra un pezzo e l’altro azzardavo a infilare nella scaletta musicale i miei adorati Daft Punk. Partivo con pezzi più lenti, nei primi momenti di accesso in pista, per poi provare qualcosa di un po’ più duro, come Rollin’ & Scratchin’, così da far sudare un po’ le camice ancora inamidate e far scaldare gli animi. Poi andavo a buttarmi sulla commerciale e la dance a mazzetta, raggiungendo l’apoteosi con One more time dove tutti, ma proprio tutti ballavano e cantavano, sudavano e si strusciavano, bevevano e si baciavano, ballavano e ballavano, fino a che distrutti, dopo vari altri pezzi tosti, si passava alle ultime tracce hardcore, e poi si concludeva abbassando man mano il ritmo.
Avevo trovato la scaletta perfetta. Tutti ballavano, sempre. Tutti bevevano. Tutti sudavano. C’era pure qualche matto che si buttava a mare vestito.
I proprietari dei locali erano contenti e mi pagavano decentemente e io me la spassavo; un giorno con una ragazza, una serata con un’altra, una dormivo in macchina, una a casa di tizia, un’altra in spiaggia con una qualche straniera…
Ma Raissa l’ho baciata solo una volta, in tre anni.
Sinceramente non ne capisco il motivo. Lei mi piaceva tanto, più delle altre. Saranno stati gli occhi, quel fisico pazzesco, i jeans a vita bassa e il top sempre più corto... Oppure il fatto che, nonostante ogni tanto avesse baciato qualche altro ragazzo, sembrava una tipa seria, timida ma intelligente. Sembrava, perché sinceramente le parole che ci siamo scambiati sono state veramente sempre pochissime, un po’ per il chiasso e le casse che pompavano, un po’ perché quella stronza della sua amica si faceva trovare sempre nei momenti meno opportuni e me la portava via.
Dj Giògio era il nome d’arte che avevo scelto per me ma tutti, non capendolo, mi chiamavano Giorgio.
E così tolsero anche l’appellativo di dj davanti al nome, quasi come se volessero defraudarmi dal ruolo che mi avevano assegnato, nonostante li facessi ballare per bene, poi…
Mi ricordo quella volta del bacio con Raissa, avevo scelto di invertire alcune canzoni, cosa che al mio pubblico non piacque poi così tanto, però mi portò sicuramente fortuna.
Le sue labbra erano morbide, quanto mai ne avevo baciate in tutta la mia vita. Morbidissime, gonfie, grandi. E la sua lingua calda e delicata, sapeva di Big Babol. Anche la lingua era timida, ma questo mi piaceva. Per lo meno, il fatto che ci fossimo baciati da sobri, significava che le piacevo e che fosse cosciente di ciò. Non che le altre non lo fossero ma, sotto i fumi dell’alcool, potresti anche baciare un citofono e magari non accorgertene.
E poi non ci siamo baciati solo con la bocca. Ci guardavamo, i nasi si strusciavano e cambiavamo lato, per conoscere un po’ meglio qualcosa dell’altro, e poi ci spingevamo i corpi contro, così che potevo sentire le sue forme, il suo seno premermi addosso. E immaginavo quanto potesse essere bello, simmetrico, abbronzato…
Così decisi anche altre volte di mettere mani alla scaletta vincente ma non si presentò più l’occasione di baciare quella ragazza, anzi mano mano cominciai a vederla sempre meno alle serate finché sparì del tutto, insieme alla sua amica Elisa.
Quando la stagione successiva tornai in quelle zone, i locali per i quali avrei dovuto suonare non erano gli stessi. La cosa non mi spaventava, ma ogni tanto il pensiero andava verso Raissa e sapevo che, forse, cambiando giro, avrei potuto non incontrarla più così spesso.
Un giorno però riconobbi il cugino, accompagnato da una ragazzetta a malapena diciottenne e gli chiesi informazioni.
«Non lo sai? Lo scorso anno, dopo che ti sei baciato con Raissa, lei e Elisa hanno litigato di brutto. Non le disse subito del bacio ma lo scoprì da altra gente, ora non ricordo bene. Comunque, non si parlano più.»
«Ah davvero? Ma che strano... E io che c’entro? Perché hanno litigato?»
«Ma dai non fare lo scemo, lo sapevano tutti che Elisa aveva una cotta per te! Piacevi anche a mia cugina, certo, ma Elisa si era dichiarata subito, appena ti aveva conosciuto».
Rimasi interdetto da quelle parole. Io avevo sempre creduto di stare sulle palle a quella ragazza…
«Va bene dai, ci vediamo in qualche serata», mi disse mentre ero ancora assorto nei miei pensieri.
«Oh, ma dove vai? E quindi ora Raissa dov’è?» chiesi alzando la voce, mentre si allontanava.
«A casa, a Prato! Andrà in vacanza con le amiche in qualche posto tipo Canarie o qualcosa del genere», urlò alzando il braccio accennando un saluto, prima di voltarsi per andarsene definitivamente. Ma appena prima che girasse l’angolo strillai ancora più forte: «E Elisa? Dove sta?»
Non lo vedevo più ma la voce mi raggiunse comunque, tanto aveva alzato il tono di voce: «E che ne so io, mica è amica mia!» Così fu l’ultima volta che lo vidi, quell’estate.
Quella stagione andò male sotto ogni punto di vista. Le discoteche avevano già tutte le serate prese, in spiaggia i locali avevano cambiato gestione e i nuovi gestori erano un po’ rincoglioniti, o troppo giovani per avere lungimiranza. Fu così che tornai a Roma prima del previsto, con meno soldi di quando ero partito, con poche rimorchiate e tanto, troppo alcool scolato.
Finì così l’epica parabola del mitico rimorchiatore seriale Dj Giògio, detto Giorgio anche se mi chiamo Giovanni, con il rimorso di non aver fatto di più. Con Raissa, con la musica, con le ragazze, con i Daft Punk.
Sì, perché nelle sventurate serate in cui provavo alternative alla classica scaletta da me stesso perfezionata, forse più per scaramanzia che per gusto, la cosa che facevo – e me ne accorsi solo tempo dopo – era diminuire i loro pezzi e aggiungere roba un po’ più smielata o più commerciale, cantata. Capii troppo tardi che avrei dovuto rendere intoccabili dei pezzi come Teachers, High Life, Phoenix, Short Circuit, Indo Silver club... e non scegliere un eventuale nuovo bacio con Raissa a loro.