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Capitolo 5

Era mattina. Si era fermato a dormire da Emma, dopo aver guardato un film insieme. Avevano riso e si erano addormentati sul divano. La luce di novembre filtrava dalle tende, e lei dormiva tra le sue braccia, rannicchiata sul suo petto. La guardava, pensando a quanto fosse perfetta per lui, lui che portava dentro così tanti demoni, che aveva visto morire la donna che amava, incinta del loro bambino. Aveva assistito alla morte del suo migliore amico e aveva vissuto il dolore in Afghanistan e Iraq, luoghi che per lui erano sinonimo di sofferenza.

Eppure, in quel momento, tra le braccia di Emma, quel dolore sembrava quasi fare un passo indietro. Si mosse leggermente, e lui continuò ad accarezzarla mentre apriva dolcemente i suoi occhi.

“Ciao,” bisbigliò lei.

“Ciao,” rispose lui, baciandola dolcemente sulle labbra, notando però un attimo di perplessità nel suo sguardo.

“Che hai, bambolina?” le chiese, accarezzandole le labbra con il pollice.

“Non mi aspettavo di trovarti qui…” rispose lei, avvolgendogli le braccia intorno al collo.

“Scusami, scusami di nuovo,” disse lui stringendola più forte. “Sono sparito… ho paura. Paura che i miei demoni ti coinvolgano, paura che ciò che non sai di me possa spaventarti.”

Il telefono di Emma squillò per un messaggio, ma lo ignorarono.

“Sono grande, sai? I mostri cattivi sotto il letto non mi spaventano più. E nemmeno quelli dentro al letto,” disse lei con un sorriso. Ancora avvolta nel suo abbraccio, si liberò e si mise a cavalcioni su di lui, accarezzandogli il collo con dolcezza. Si lasciò trasportare dalla sensazione di benessere che lo pervadeva.

Proprio in quel momento, il citofono li distrasse.

“Cavolo! Isa! Le avevo promesso di andare a correre con lei,” disse Emma, alzandosi.

“Ti prego, dimmi di no,” rispose lui, guardando l’orologio. “Sono le 6:30 di novembre, dove pensate di andare? Assolutamente no!”

Emma fece il broncio, ed era un’espressione che avrebbe potuto spingerlo a chiuderla in camera per una settimana e farle urlare il suo nome milioni di volte. “Vengo con voi, non si discute…” disse, baciandola prima che Emma rispondesse a Isa dicendole di salire.

Quando incontrò Isa per le scale, lei lo salutò con un “Hey, fustacchione!”, ma lui non si lasciò distrarre, aprì la macchina, prese il borsone che portava sempre con sé e tornò su. Isa lo accolse con una battuta: “Ora sei il suo bodyguard?”

“Isa, non mordere, per favore. Ci farà compagnia,” rispose lui, dirigendosi verso la stanza dove Emma lo stava aspettando. La trovò in intimo sportivo, ma per lui era sempre intimo. “Copriti, se non vuoi che cacci Isa,” le bisbigliò all’orecchio, e il suo corpo reagì immediatamente.

Dopo essersi cambiato, trovò Emma e Isa pronte sulla porta. “Andiamo?” chiese. Appena scesero, le due amiche scattarono come gazzelle, ridendo mentre correvano, ma lui le superò senza sforzo.

Arrivarono a Villa Borghese, dove ogni passo nella corsa era un incontro con la bellezza e la serenità del parco al mattino. I viali acciottolati, le statue marmoree, e il sole che filtrava attraverso le chiome degli alberi creavano un’atmosfera magica. Ogni respiro lo riempiva di gratitudine per la bellezza che lo circondava.

Ad un certo punto, due ragazzi fischiarono a Emma e Isa. Lui si fermò e li affrontò con calma, ma con fermezza. “Sapete che è maleducazione fischiare a una donna?” chiese, facendo capire loro che non voleva problemi.

Quando tornò da Emma, lei lo affrontò, preoccupata. “Se ti succede qualcosa…” disse, puntandogli un dito sul petto.

Lui prese la sua mano e la baciò. “Forse non hai capito, ma io ho deciso di non abbandonarti più. Io sono qui per prendermi cura di te, in ogni modo possibile,” le disse, stringendola.

Lei cercò di protestare, ma lui la interruppe. “Se fossi stata sola, chissà cosa avrebbero potuto decidere di fare.”

Emma rimase in silenzio per un attimo, poi lo prese per mano. “Isa, è ora di tornare,” disse ridendo, e insieme si avviarono verso casa.

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