Capitolo 6
Francesco fece subito venire un pediatra a casa per capire se Martina stesse bene di salute. Il pediatra ci disse che scoppiava di salute. Sua mamma non gli aveva mai fatto mancare nulla; d’altronde, Francesco se ne era sempre preso cura indirettamente, mandando denaro e giocattoli, cercando sempre di capire come stesse.
La sera che la portammo a casa, decise di metterla lui a letto. Decise anche di voler farle il bagnetto, anche se lei gli disse che ormai era grande per farsi fare il bagnetto. Così, dovemmo restare seduti fuori dalla vasca a guardarla mentre si lavava da sola e giocava con le bolle che Francesco aveva creato nella vasca idromassaggio, dove, fino a poche ore prima, noi eravamo intenti a fare tutt’altro.
Ero lì seduta per terra a lavorare, mentre Francesco era accanto a Martina che dormiva. Ogni tanto mi lanciava qualche occhiata. Le due settimane di ferie stavano quasi per finire; Francesco aveva iscritto Martina a scuola.
Londra ormai era quasi un ricordo lontano. Avevamo deciso di rimandare la partenza; per il momento non era giusto allontanare Martina da quel luogo sicuro che era l’Italia.
È sabato sera quando suonano alla porta. Vado ad aprire: è il padre di Francesco con la sua compagna, suo fratello e, anzi no, il fratello di Francesco, con le braccia piene di giochi.
“Sofia, dai basta, sappiamo tutto, sappiamo che è qui.” Io scoppio a ridere. Dico di aspettare e chiamo Francesco; non sono io a dover decidere se Martina sia pronta a vederli.
Vado in cucina. Francesco e Martina siedono uno di fronte all’altra a farsi le linguacce mentre mangiano un ghiacciolo al mirtillo, controllando quanto le loro lingue siano viola.
Rimango per un secondo a guardarli e scatto una foto mentale. Davvero, Francesco è così. Un secondo prima è in grado di farti venire solo guardandoti, il secondo dopo si fa le linguacce con la figlia, la lingua viola. E io lo amo pazzamente in entrambi i casi!
Lo guardo e capisce subito che deve uscire dalla stanza. Gli faccio cenno di andare alla porta.
POV di Francesco
“Ciao famiglia, non vi aspettavo così numerosi e così pieni di regali! Non dovreste iniziare a viziarla già così! Entrate.” Chiudo la porta e faccio entrare tutta la comitiva.
“Marti, vieni! Ci sono delle persone che vogliono conoscerti.”
“Ma papà, ho la lingua così viola!” esclama lei entrando nella stanza e facendo scoppiare a ridere tutti.
La prendo in braccio, la metto sulle mie gambe e le pulisco il viso.
“Marti, ti presento la tua famiglia: questo è tuo nonno, lei è la sua compagna, questo è tuo zio, e questo è l’altro tuo zio.”
Fa la sua solita faccia perplessa. Li osserva, come per capire un pochino chi siano queste persone nuove. Guarda cosa hanno in mano e sbircia i molteplici regali. Le chiedo: “Hai qualche domanda?”
“Sono per me quelle cose?” chiede.
“Ovviamente!” Mio padre si alza subito dalla sedia e si mette in ginocchio di fronte a noi.
“Vieni, ti faccio vedere, ci sono un milione di giochi!”
Martina salta giù dalle mie braccia e la perdo di vista praticamente per tutto il pomeriggio.
Sono felice che la mia famiglia mi abbia fatto quest’improvvisata. Sono state due settimane intense e piene; Martina si è adattata subito a me e alla nostra nuova vita. Anzi, alla nostra nuova vita in tre, perché lei è la straordinaria donna Sofia che ho accanto. Non ha mollato un attimo, non ha mollato un secondo.
Mi è stata accanto il giorno del funerale e quando ho portato a casa Martina. Avrebbe potuto dire: “Stop, tutto questo è troppo,” e invece no, non si è mossa di un centimetro. Aveva proposto di scappare insieme, di andare a Londra, di laurearsi lì.
E invece abbiamo stravolto di nuovo i nostri piani, per lei, per Martina, per mia figlia, la figlia di una donna che ho amato follemente.
Quando quella sera, in quel momento, mi sono spinto così oltre con lei, non mi sarei mai aspettato di trovarmi qui, in questo momento, con la mia famiglia: Sofia che prepara la cena e Martina che scorrazza intorno a noi.
Un uomo potrebbe essere più felice? No, un uomo potrebbe chiedere oltre? No, eppure continuo ad avere questa orribile sensazione di vuoto sotto i piedi.
Un peso sul cuore che quasi non riesco a respirare. Mi è capitato più volte di svegliarmi, pieno di sudore, con incubi orribili in cui Martina non era di nuovo con me.
Quando ero piccolo, dopo la morte di mia madre, ho sempre avuto incubi e sono smessi quando ormai ero abbastanza grande. Purtroppo, perdere mia madre mi ha cambiato, ha cambiato le mie decisioni, ha cambiato le mie scelte, ha cambiato chi sono e chi ero.
Ora però sono qui e nessuno porterà più via da me Martina, che per me è importante. Ed è importante anche Sofia, questa nuova relazione che sta nascendo. Non voglio fare gli errori del passato; voglio dare tutto ciò che di bello posso, dimostrando quanto queste mie paure siano così infondate che a volte mi viene quasi da ridere.
Mi sveglia da questo mio pensare continuo Martina che grida: “A tavola, famiglia!” e il mio cuore ha un tonfo. Mi guardo con Sofia, che credo abbia avuto la mia stessa identica sensazione. Cazzo, sono pazzo di questa donna! Le mimmo “ti amo”. E lei mi sorride.
“Nonno, tu ti siedi accanto a me,” dice la mia belvetta, decisa, con il cipiglio della nostra famiglia.
Mio padre è già perso, non riesce a dirle di no. D’altronde, come fai a dire di no a un essere così adorabile?
A me ha sempre conquistato, anche quando ci incontravamo per caso, e lei sapeva e non sapeva chi fossi. Io ero innamorato pazzo di lei; ora sono totalmente perso.
Ceniamo tranquilli mentre mio padre racconta tutti gli aneddoti buffi di quando noi eravamo bambini. Martina, sulle sue ginocchia, ride e ride a crepapelle finché non si addormenta, sempre tra le sue braccia. Lui mi guarda come un cucciolo smarrito.
“Vieni, papà, la prendo io,” gli dico, ormai tranquillo nel ruolo di papà.
Lui è sempre stato un po’ un papà poco presente; il lavoro di avvocato lo ha sempre portato distante da noi. Mamma era sempre super presente, super attenta a non farci mancare nulla. Quando però papà tornava, cercava di compensare la sua assenza.
Lo vedo che è un po’ smarrito mentre prendo Martina dalle sue braccia. La avvolgo nella mia felpa e la metto sul divano, poi la copro con una coperta. Mi guarda.
“Perché l’avvolgi nella tua felpa?” mi chiede.
“Non dorme se non ha qualcosa di mio,” rispondo.
Mi guarda come se avessi visto un fantasma e mi dice: “Anche tu, quando eri piccolo e io partivo, non dormivi se non avevi l’orsacchiotto sul quale spruzzavo il mio profumo.”
Mi dà una pacca sulla spalla con gli occhi lucidi. Quel grande uomo, tutto d’un pezzo, davanti a questo scricciolo, si commuove. Questa bambina è un terremoto, nel vero senso della parola.
La serata prosegue tranquilla. Mi avvicino a Sofia, che sta risistemando la cucina mentre tutta la famiglia è intenta a fare qualcosa.
Le bisbiglio all’orecchio: “Potrei usare anche con te un ghiacciolo; mi vengono in mente un milione di modi divertenti.”
Si volta con i suoi occhi, che sono già due pozze di desiderio.
Da quando è arrivata Martina è difficile fare qualcosa; è sempre a dormire con noi nel nostro letto e, per paura di svegliarla, evitiamo. Ma spesso arriviamo distrutti, crolliamo, super stanchi.
Ma non resisto: stasera, dopo che tutti se ne sono andati e Martina è a letto, noi ci chiudiamo in bagno.