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Capitolo IV

Durante il tragitto mi sentii in colpa. Mi vergognavo per quello che era accaduto, temevo le eventuali conseguenze, ma, più di tutto, mi sentivo a disagio la consapevolezza di quanto avessi apprezzato il rapporto.

Mentre camminavo percepii una leggera sensazione di umidità tra le natiche. Non mi chiesi se fossero state le sollecitazioni appena ricevute o lo sperma che colava.

Non ero interessato, mi bastava sapere che l’effetto era gradevole. Cominciai a sculettare e quando tornai a casa non mi feci il bidè, anche se servì a poco. L’orifizio anale aveva nel frattempo ritrovato la sua secchezza naturale.

La mattina dopo mi svegliai di buonumore, come sempre. Naturale che appena aperti gli occhi la mia mente volasse alla sera precedente.

Ebbi un principio di erezione, ma la tenni a bada. Non intendevo masturbarmi ripensando all’amplesso nell’erba fresca. La mi determinazione visse il breve lasso di tempo che passò prima di rimanere solo in casa.

Quando l’auto dei miei lasciò il giardino di cemento che attorniava la nostra villa, e che fungeva da parcheggio, ero già nel bagno nudo dall’inguine in giù.

Inforcai il membro che divenne duro nella mia mano quando ripercorsi, con la mente, l’istante della completa penetrazione. Il momento preciso in cui il cazzo di Francesco era entrato del tutto in me.

Sentii un impulso meraviglioso, stavo per venire. Ma frenai l’istinto e continuai a far scorrere nella testa, secondo dopo secondo, tutto ciò che era successo la sera prima quando il mio compagno di banco andava avanti e indietro nel mio culo disteso su di me.

Giunto all’attimo in cui mi aveva irrigato le viscere ordinai al cazzo di espellere il suo entusiasmo. Ero in piedi, di fronte allo specchio, puntai il membro al centro del lavandino e lo imbrattai di sborra.

La seconda volta che venivo. E come la prima avevo deciso io il quando. In seguito quella caratteristica sarebbe stata utile, ma allora lo ignoravo.

Mi gettai sul letto con l’intenzione di leggere un libro. Non riuscivo a concentrarmi, però. Attendevo una telefonata, magari una visita inaspettata.

Niente di tutto questo. Francesco non si fece vivo in alcun modo, per più di un mese. Iniziai a riflettere e pensai che l’avvenimento per il quale aveva vissuto una vigilia lunghissima non si sarebbe più ripetuto.

Ebbi anche il tempo di considerare che lui, sveglio e astuto, avesse notato la mia totale refrattarietà nel frequentare l’altro sesso e, in più, forse aveva percepito un certo interesse nei miei occhi la mattina della lezione di filosofia.

Questi due fattori lo avevano convinto che poteva soddisfare le sue voglie approfittando del mio sedere, e così era stato. Ma anche che non intendeva ritornare sull’argomento.

Tanto per cambiare mi sbagliavo. Una mattina, con l’estate ormai agli sgoccioli, sentii bussare al campanello della porta d’ingresso. Aprii e lo vidi sorridente.

«Ciao Piero, ho il motorino fuori. Andiamo a farci un giro.»

Anche se non era stato un invito, accettai lo stesso. Presi le chiavi di casa e uscii. Presi posto sul sedile posteriore, di ferro, del piccolo ciclomotore e mi lasciai portare ovunque lui desiderasse. Il vento mi impediva di parlare, gli feci solo una domanda.

«Ma dove sei stato?»

«In vacanza.» Risposta secca ed essenziale.

Stavo iniziando a capire che quando bighellonavamo in giro per la città era discorsivo e brillante. Se era intenzionato a fare l’amore diventava taciturno. Soffriva di doppia personalità? Non l’ho mai capito.

Percorse qualche chilometro, la distanza necessaria per raggiungere una zona periferica che io non conoscevo, lui sì. E pure bene. Era evidente che ci fosse già stato.

Parcheggiò il motorino vicino a un canneto. Con lo sguardo mi segnalò una stradina. Lo seguii. Ci addentrammo in quella che mi apparve come una campagna ma che in realtà era un luogo abbandonato, quindi sicuro.

Mi cinse i fianchi, ma non ebbe bisogno di parlare. Ero disteso a terra prima ancora che me lo ordinasse. Slacciò i pantaloni, i suoi prima dei miei, poi sentii le mie mutandine scivolare sulle natiche, verso il basso.

Fui scosso da un brivido quando sentii il sedere scoperto del tutto, quindi a sua disposizione. A quel punto immaginai che per penetrarmi impiegasse la stessa dose di tempo utilizzata la prima volta. Fu più veloce, invece. E meno delicato.

Ebbi un sussulto e, d’istinto, mi irrigidii, e contrassi l’orifizio anale. Ascoltai la sua voce, tranquillizzante, ma roca per il desiderio.

«Rilassati.»

Ubbidii. E gli consentii di incularmi per bene. Andava avanti e indietro mantenendo un ritmo costante. Sentire il suo cazzo scivolare fino in fondo e poi retrocedere per metà mi inebriò.

Ma quando sentii che gli affondi cominciavano e essere meno lunghi compresi che stava per eiaculare. Il suo respiro aumentò di frequenza, il mio no. Venimmo insieme, ma lui non si accorse di me.

Ci aggiustammo i pantaloni e ritornammo sulla strada. Il motorino era parcheggiato dove l’avevamo lasciato. Segnale di quanto fosse poco frequentata quella zona. A Napoli anche pochi minuti sono sufficienti per far sparire un mezzo di trasporto, grande o piccolo che sia.

Non c’è che dire. Francesco era perspicace. Molto più di quanto lo fossi io. Forse più del lecito. Ma non m’importava. Io soddisfacevo lui e in cambio ricevevo un piacere doppio.

A conti fatti entrambi raggiungevamo l’orgasmo, io, in più, godevo nel prenderlo dietro. Dal mio punto di vista provavo un appagamento superiore al suo.

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