Capitolo III
Vivevo perseguitato dai ricordi dei pochi momenti di libidine che avevo vissuto, ed ero ossessionato dal desiderio di conoscere cosa si prova nell’essere penetrato.
Stavo cominciando a comprendere che la vita è composta da tanti capitoli, come un romanzo, e che al termine di ognuno di essi ci si trova a dovere prendere una decisione, dalla quale si esce trasformati. In meglio o in peggio a seconda della scelta compiuta.
Tutto questo processo serve a preparare l’epilogo. La sezione finale, all’interno della quale ognuno di noi è obbligato a stabilire chi è. O chi crede di essere.
Tuttavia, terminato il ginnasio iniziai a pensare che il mio primo capitolo tardava a concludersi, o, forse, che stesse prendendo una strada differente. Ma una mattina di marzo, durante l’ora di filosofia, accadde un evento inaspettato.
Mentre la professoressa si impegnava a spiegarci concetti lontani dalle nostre possibilità di comprendere il mio compagno di banco mi sussurrò un invito.
«Guarda qua.»
Aveva appoggiato in grembo un libro di quelli con la copertina rigida che pesa più dei fogli che contiene. Lo aveva aperto e ci aveva posato, in posizione centrale, il suo bel cazzo, accarezzandolo.
Mi sembrò una follia. Va bene che eravamo seduti all’ultimo banco e che lui era coperto a destra dal muro, a sinistra da me, ma era comunque qualcosa di inopportuno.
Posai gli occhi su quella visione, alternando lo sguardo di fronte a me. Per seguire anche i movimenti dell’insegnante, che era rimasta in piedi dietro la cattedra continuando, ignara dell’esibizione a me riservata, a enunciare complicati sofismi.
Credo che mi abbia messo alla prova. Voleva capire che effetto mi avrebbe fatto osservare il suo membro eretto. Io guardavo. Ero incapace di distogliere lo sguardo. Poi vidi le pagine imbiancate da un liquido schiumoso.
Lo sperma. Era la seconda volta che la mia vista si soffermava su quel liquido. La prima durante la quale lo vedevo sgorgare in tempo reale.
Non ci pensai. Considerai l’evento come una sbruffoneria. O come una dimostrazione di virilità e coraggio allo stesso tempo.
Però non potevo evitare di ricordare, ci tornavo di continuo con la mente. Quella visione era rimasta nitida dentro il mio essere.
L’asta, con quella pelle talmente scura ma attraente. La cappella, con quella forma a cupola e un colore sgargiante che doveva cozzare con il resto, ma che mi aveva ingolosito.
Certo, il mio cazzo era uguale a quello di Maurizio, a parte le dimensioni, il suo era un po’ più grande, ma il fatto era che il mio serviva solo per fare la pipì. Il suo lo avrei voluto nel culo. Se lo sfregare una biglia sul buchetto mi aveva eccitato figuriamoci quella cappella turgida e rossa che si insinuava nel mio bel sedere.
Tornai a casa con quel pensiero impresso nella mente. Attesi che i miei andassero al lavoro e mi distesi sul letto.
Osservavo la parete di fronte a me e vagheggiavo. Ricordavo bene le dimensioni del libro, simile a una computisteria. Il foglio era alto almeno trenta centimetri. La punta del cazzo aveva superato la metà di un bel po’. Quindi Francesco era dotato di una mazza abbastanza lunga.
E di diametro considerevole. Quel ricordo mi indusse a sbottonare i pantaloni. Tirai fuori la mia, che divenne dura all’istante.
Mentre sfioravo il mio membro ripensai alle vene che avevo notato sotto la pelle dell’asta, alla cappella, al liquido fluire dalla punta. Strinsi il mio cazzo e desiderai il piacere.
Fui accontentato subito. Vidi il primo schizzo di sperma librarsi nell’aria per poi finire sulla coscia destra. Abbassai il membro orientandolo verso di me, per venirmi sulla pancia. Ma il secondo getto fu così forte da superare il ventre e depositarsi sulle lenzuola.
Avevo combinato un macello. Ma ero felice. Il mio primo orgasmo era stato gradevole. Diciamo pure stupendo. Sarebbe stato incantevole se non avessi causato i disastri ai quali dovevo rimediare.
Rifeci il letto e riempii la lavatrice di teli inzuppati di una sostanza nel frattempo diventata giallastra.
Non mi preoccupai di eventuali richieste di chiarimenti da parte di mia madre. Lei se ne sarebbe accorta, matematico, e se avesse chiesto delucidazioni le avrei detto la verità.
Credo che per ogni genitore la questione non è se i figli si masturberanno, piuttosto quando. E il mio momento era giunto fin troppo tardi.
Certo non le avrei mai confessato di essermi fatto una sega proiettando, con la mente, un cazzo duro immaginandomelo nel culo. Ma lei non avrebbe voluto conoscere i dettagli, infatti non mi ha mai chiesto del perché avessi cambiato le lenzuola.
Dopo aver concluso l’opera di igienizzazione del talamo mi distesi sulle lenzuola immacolate per concedere al mio corpo il meritato riposo.
Il sonno mi avvolse dopo pochi minuti. Trascorsi a rivivere i momenti dell’orgasmo e, soprattutto, a considerare un aspetto secondario ma non meno importante.
Avevo avuto la percezione, netta, di aver deciso io il momento in cui sarei venuto. Non ci pensai più del dovuto e mi assopii ripensando solo a quanto fosse stato emozionante il godimento provato al culmine dell’orgasmo.
Il giorno dopo andai a scuola senza particolari aspettative. Avevo deciso di attendere le mosse del mio compagno di banco. Che non fece nulla di diverso dal solito, però.
Non accadde nulla quella mattina, né durante le altre che si susseguirono. Francesco aveva ripreso a comportarsi come prima. Sia in classe che fuori.
Nei pomeriggi trascorsi insieme non parlammo dell’evento occorso nell’ora di filosofia. Io evitavo per pudore. Lui per calcolo. Come avrei compreso a tempo debito, ovvero al termine dell’anno scolastico.
Una sera di inizio estate andai a una festa che si teneva nel rione dove abitava Francesco, che mi aveva telefonato nel pomeriggio dicendo che mi avrebbe aspettato tra la folla. La zona non era lontana quindi la potevo raggiungere a piedi. Non amo la moltitudine, ma quel giorno feci un’eccezione.
Ci incontrammo nel viale delle bancarelle, come convenuto. Trascorremmo una bella serata, andammo sulle giostre e mangiammo un panino comprato da un tizio munito di banchetto e griglia per arrostire la carne. Il mio lo chiesi farcito con le salsicce. Scelta premonitoria.
Passata la mezzanotte la sagra era entrata nel vivo e ci attendeva il cantante, ma io avevo sonno e manifestai l’intenzione di rincasare.
«Ti accompagno a casa» disse Francesco «conosco una scorciatoia.»
Mentre camminavamo affiancati sul selciato della strada di campagna si fermò, lasciando che gli dessi le spalle.
Sentii una spinta. Senza che lui dicesse niente mi ritrovai disteso, a pancia in giù, sull’erba che costeggiava la strada.
Le sue mani iniziarono ad armeggiare. Mi stava slacciando la cinta, poi sbottonò i pantaloni e li abbassò. Mentre faceva lo stesso con i suoi, tirò giù le mutandine lasciandomi il culo al fresco dell’aria e alla luce della luna.
Non protestai, non parlai. Mi limitai ad aspettare gli eventi. Quando appoggiò la cappella sul buco del culo sembrò quasi che il calore del glande sciogliesse il freddo che aveva avvinghiato il mio sedere.
Aspettò qualche secondo, non so perché, poi me lo mise dentro. Quando iniziò a muoversi pensai che mi sarebbe dovuto piacere. Ora non avevo una biglia che mi tappava il culo, ma un cazzo vero. Che andava avanti e indietro. Dovevo essere soddisfatto. Non lo ero.
Lui continuò, senza parlare, mantenendo un ritmo costante. Avanti e indietro, avanti e indietro. Qualche volta spingeva a fondo, sentivo i testicoli sul taglio delle natiche, poi ricominciava con la cadenza regolare.
Quando ormai la strada era spianata si muoveva dentro di me con facilità. Il cazzo era durissimo ma non provavo dolore, anzi cominciava a piacermi. Avevo perso i freni inibitori che mi avevano condizionato al principio del rapporto.
Pensai di essere giunto alla fine del primo capitolo, quello in cui avevo compiuto la scelta di essere (passivo?) omosessuale. Anche se, per essere onesti, la decisione l’avevo subita, ma con mio immenso piacere.
Non fui nemmeno sfiorato dal timore che sarebbe potuto passare qualcuno. Non era un problema mio. Il compito di vigilare sul territorio spettava a Francesco.
Non mi voltai per vedere se lui stesse guardando intorno per avvistare eventuali intrusi. Non lo feci quella notte, non l’avrei mai fatto in seguito. Girarsi mentre lo stai prendendo dietro lo consideravo un atteggiamento scortese.
Dopo qualche minuto, sentii il suo respiro aumentare di intensità, mi diede un paio di colpi in sequenza, poi spinse fino in fondo. A quel punto avvertii un’eccitazione incombente, una sensazione parente stretta di quella che avevo provato quando mi ero masturbato sul letto di casa.
Mentre il mio membro iniziava ad aumentare di spessore pensai di invogliarlo a continuare, a spingere il più possibile. Non fiatai, ma lui intensificò gli affondi come se mi avesse letto nel pensiero.
Il mio cazzo s’indurì del tutto. Il suo lo era già dall’inizio dell’amplesso. Diede un’ultima, fortissima, spinta, poi si fermò. E venne.
Sentii gli spruzzi nel culo, fu bello. Per come ero eccitato mi sembrò poco, ne avrei voluto di più. Subito dopo percepii che la cosa che tanto mi aveva deliziato iniziava ad afflosciarsi, poi la sentii uscire.
Altro attimo di delusione. Avrei desiderato che durasse più a lungo. Per estendere il piacere di sentirmi (inculato?) posseduto, e per assaporare il mio orgasmo.
Ciò che avevo atteso per anni si era esaurito in pochi minuti. Ci ricomponemmo. Andai via, senza salutare e reprimendo l’impulso di voltarmi indietro.