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Capitolo 5

5

Il volto dello sgomento. Umori e rumori.

Pietro Pozzuto entrò nella stanza del Commissario accompagnato dall’agente di guardia. Non disse nulla, si trascinò sulla sedia e fissò l’uomo di fronte a lui. Conservando il silenzio.

Toracca ebbe il tempo di osservarlo. Notò la calvizie che gli aveva risparmiato le tempie, ma l’inestetismo, ammesso che lo fosse, veniva annullato dalla fierezza dello sguardo che accompagnava l’uomo. Un contegno che, forse, gli aveva consentito di superare lo sconcerto di colui che si trova, all’improvviso, vedovo e senza nessuna entità da poter maledire.

Il Commissario chiamò al telefono l’Ispettrice Santucci. Desiderava compagnia.

Quando Talia entrò nella stanza la presentò al convocato e dosò con discrezione la frase che avrebbe dato inizio al colloquio, che intendeva rendere il meno banale possibile.

«Signor Pozzuto, ho voluto incontrarla perché è mia intenzione fare tutto ciò che è in mio potere per capire chi, e come, ha provocato la morte di sua moglie e per assicurarle che la terrò informata sugli sviluppi dell’indagine»

«Grazie, signor Toracca.»

«Mi dica qualcosa.»

«A quale proposito?»

«Nessuno in particolare. Mi parli di ciò che desidera.»

L’oscurità degli occhi di Pozzuto trovò un istante di conciliazione. L’uomo, rilassato al pensiero di non dover rispondere alle tristi e inutili domande rituali, accontentò il funzionario; e sé stesso.

«Era di lunedì. Esterina tornò a casa dall’ufficio alle sei del pomeriggio. Lavorava come ragioniera alla Mursie, la poligrafica di Valle. Mi disse che non si sentiva bene, avvertiva un leggero senso di nausea, che aumentò al punto che decise di evitare la cena. Verso le dieci la situazione peggiorò, iniziò ad avere crampi allo stomaco. Decisi di portarla al pronto soccorso, andammo a Benevento, al Fatebenefratelli. Il medico di guardia dispose il ricovero immediato. La cosa mi preoccupò non poco. Alle tre del mattino ebbe un arresto cardiaco, il primo di molti altri. Per giorni non ha fatto altro che soffrire dolori addominali atroci. Per fortuna solo durante le rare volte in cui riprendeva conoscenza.»

L’uomo si concesse un breve pausa, poi proseguì il racconto. «Io non l’ho mai lasciata sola e nei pochi momenti di tranquillità mi sedevo a riflettere sulla panchina di ferro della sala d’attesa. C’è stato un pensiero che mi ha torturato più di ogni altro: ha un piede nella fossa e l’altro ingessato. Curioso come il nostro cervello scelga momenti così tragici per generare allegorie esilaranti. Non trova?»

«Signor Pozzuto, che mestiere fa?»

«Insegno lettere alle medie.»

«Lo avevo intuito.»

«Spero che la sua perspicacia l’aiuti a trovare una spiegazione per la morte di mia moglie. Per il momento le dico che parlare con lei ha aiutato me. Non le mentirò: il mio malessere è rimasto invariato, però per pochi minuti ho vissuto con la mente scevra dal ricordo di Esterina. Ed è stato gradevole. Commissario, mi dia un foglio. Così le scrivo il mio numero di telefono, caso mai avesse bisogno di me.»

«Me lo dica a voce. Lo memorizzerò nella rubrica. Lei faccia lo stesso col mio. Superfluo aggiungere che potrà chiamarmi quando vorrà.»

«La ringrazio, dottore. Ispettrice, un piacere averla conosciuta.»

Quando l’uomo uscì nella stanza calò un silenzio innaturale. Per un istante Toracca ebbe la sensazione di avvertire il rumore dell’aria. Pozzuto gli aveva lasciato qualcosa dentro: l’amara considerazione che gli avvenimenti meno gradevoli capitano sempre alle persone più pacate.

Poi si rivolse alla collega, rimasta in costante silenzio fino a quel momento.

«Che ne pensi?»

«Hai un modo insolito di interrogare, appartieni ai seguaci della teoria secondo la quale prima di domandare bisogna chiedersi se si ha diritto alla risposta?»

«Nel nostro lavoro sarebbe impossibile. La ragione è che non mi piace estorcere la verità.»

«Nemmeno a me, a volte è indispensabile, però. A ogni modo il professore mi ha fatto una buona impressione, il che non significa depennarlo dai sospettati. Chiederò a Ferretta di parlare con le persone di famiglia.»

«Ottimo. Poi?»

«Mi occuperò dei colleghi di lavoro. Voglio capire che tipo era la donna.»

«Magnifico.»

«Talia, a naso. Cosa credi sia accaduto?»

«Non saprei. L’unica certezza che abbiamo riguarda la causa del decesso. Poi se abbia ingerito il veleno volontariamente o no, lo scopriremo. Spero.»

«Va bene. Domani mattina dopo che sarai andata alla Mursie continueremo il discorso, anche perché qualcosa l’Ispettore Ferretta la tirerà fuori, e quindi avremo una visione meno parziale.»

«Affermativo, grande capo.»

Mentre gli uomini del commissariato iniziavano la loro investigazione a Cervinara cominciava a diffondersi nell’aria il chiasso dei commenti intorno all’accaduto, ormai di dominio pubblico. E l’eco del trambusto avrebbe raggiunto presto Valle, dunque anche le orecchie di chi non possedeva l’udito, ma, in cambio, un’ottima vista.

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