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Capitolo 4

4

Un nome esotico. Una malattia inspiegabile.

Le ultime due settimane erano trascorse lente e fiacche. Il caldo improvviso, e anticipato, aveva intorpidito anche i delinquenti, che si erano concessi un periodo di pausa.

Almeno questa era l’impressione di Toracca, che svanì appena iniziò a leggere la delega a indagare tramessa alla Polizia di Stato da due procure diverse, ognuna per la propria competenza.

Il fascicolo, infatti, era stato aperto dal Tribunale di Benevento, città nella quale si era verificato il decesso, ma trasmesso ad Avellino, perché se la morte era stata causata da avvelenamento, come sembrava, tutto aveva avuto origine nel territorio di Cervinara, dove la defunta aveva vissuto e lavorato.

Toracca approfittò della presenza in commissariato dell’Ispettrice Santucci e la chiamò al telefono.

Prima spense la sigaretta, però. Lui cercava di non fumare in ufficio, ma durante la lettura dell’informativa l’aveva accesa senza rendersene conto, o quasi.

È sempre un quasi a complicare le cose, e lui lo sapeva bene. Quando, da giovane promessa del calcio, era piombato su quel pallone lo aveva fatto con l’irruente certezza di farlo suo prima dell’avversario. Se allora non avesse trascurato il valore di quell’avverbio la sua vita sarebbe stata diversa, o quasi.

Talia Santucci entrò nella stanza accompagnata dal suo scarso fascino, che recuperò con un sorriso di cortesia.

«Mi dica, dottore.»

«Dottoressa, a quanto sembra ci è stata affidata un’indagine che si presenta complessa. Le farò un resoconto, poi leggerà il fascicolo e comprenderà meglio. Prima, però, se non sono indiscreto le posso chiedere se il suo nome di battesimo ha origini straniere?»

«Viene da lontano, ma non dall’estero. Mia nonna paterna si chiamava Italia, nome a lei poco gradito. Quando mio padre, in ossequio alle tradizioni, le disse che intendeva battezzarmi come lei, la nonna si ribellò e acconsentì solo a condizione che venisse tolta la vocale iniziale. Ammetto che mai una sottrazione fu tanto efficace.»

La donna si concesse un attimo di riflessione, poi continuò a parlare.

«Adesso che ho soddisfatto la sua legittima curiosità ne ho una io: perché questa domanda solo oggi? È un po’ tardiva, non le pare?»

«Sarò sincero. Credevo di non piacerle.»

«Buona questa. È la stessa impressione che ho avuto io. Se il nostro fiuto è questo saranno felici tutti i malfattori che operano nei paraggi.»

«Bene, Talia. Mi dispiace ammetterlo, ma la colpa è tutta mia. Diciamo che all’inizio della mia permanenza ero chiuso in me stesso e, come spesso accade, ho riversato sui colleghi il mio turbamento. Non è mai troppo tardi, però. Prima di parlare del lavoro che ci attende una breve premessa: da oggi ci daremo del tu. È un ordine.»

«Signorsì, Alberto. Adesso descrivimi cosa troverò nell’incartamento.»

«Con piacere. Tutto è iniziato tre settimane fa. Un lunedì sera la signora Esterina Gallo è stata accompagnata, dal marito, al pronto soccorso del Fatebenefratelli di Benevento affetta da dolori addominali.

I medici hanno disposto il ricovero ma nei giorni a seguire non sono riusciti a comprendere le cause dei disturbi. Dalle analisi non risultava nulla di indicativo. La poveretta peggiorava, però. Tanto da subire un arresto cardiaco, che non è stato l’unico: ne ha avuti altri tre prima di morire. La cosa peggiore è che tra una crisi e l’altra ha sofferto dolori indicibili. I medici, perplessi per l’evoluzione della malattia, hanno chiesto al marito di autorizzare l’autopsia. L’uomo ha dato il consenso senza difficoltà. Risultato? Avvelenamento da colchicina.»

L’Ispettrice, o meglio Talia, sbarrò gli occhi, accrescendo la propria simpatia, poi emise un’esclamazione che le rese angelica.

«Dio furetto! Ha un nome angosciante, tanto da uccidere!?»

«Infatti. Sarebbe il principio base di un medicinale usato per curare la gotta. In dosi eccessive, però, è un veleno letale, a quanto ho appreso oggi.»

«Alberto, vorrei dare un’occhiata al fascicolo.»

Il Commissario le porse la cartella con un sorriso.

«Leggilo con calma. Se non ti dispiace fai fare qualche copia e distribuisci il malloppo anche agli altri. Vorrei che tutti partecipassero.»

La poliziotta ritornò nell’ampio salone che fungeva da ufficio del dirigente dopo mezz’ora, accompagnata da tutti i colleghi in servizio.

Toracca notò l’eccitazione nei volti di ognuno di loro. Era riprovevole anche il solo pensarlo, ma indagare su un omicidio è l’aspirazione massima di ogni investigatore.

In ogni caso l’assemblea durò poco. Tutti concordarono che bisognava iniziare ascoltando il marito della vittima. L’Ispettore Ferretta si offrì volontario e uscì dal commissariato per andare a rintracciarlo.

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