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Capitolo 3

3

L’acrobata della Selva.

A Cervinara, quindi anche a Valle, i pignoli, quelli che amano codificare, avrebbero affermato che il mese di aprile avesse sostituito marzo.

Annamaria, poco interessata a calendarizzare le emozioni, osservò il cielo e comprese, con piacere, che la primavera si era impadronita del panorama, e lei adorava la luce che quella stagione si trascinava al seguito.

Era sabato, il suo giorno libero, ne approfittò per fare una corsa al mercato. Doveva comprare qualche abito nuovo, basta coi soliti vestiti abbondanti e dello stesso colore. Uscì da casa e percorse, a piedi, il tragitto che ogni giorno la conduceva verso il suo lavoro.

Dopo una ventina di minuti giunse a Cervinara, altri pochi metri e arrivò nella Villa Comunale, dove c’erano le bancarelle degli ambulanti. Lei cercava quella che vendeva abiti da donna. La trovò e si fermò di fronte al banco, dietro al quale stazionava un ragazzo della sua stessa età. Il giovane l’accolse con un sorriso.

«Buongiorno signorina. Siete nel posto giusto. Cosa posso servirvi per farvi diventare ancora più bella?»

«Vorrei un jeans, ma non ho il tempo per misurarlo. Consigliami tu la taglia.»

Il ragazzo prese il capo che gli era stato chiesto e lo sventolò trionfante.

«Quarantaquattro. Questo ti starà una favola. Collezione ultimo grido.» Le disse passando al tu.

«Spero non di dolore» scherzò Annamaria prendendo il portamonete dalla tasca, poi continuò «quanto costa?»

Dietro al ragazzo c’era un uomo sulla cinquantina, che aveva seguito la trattativa fumando appoggiato a uno scaletto.

L’uomo, il padre del giovane, o forse il principale, bloccò la compravendita alzando la mano destra come un vigile che dispone la fermata di un’auto, poi fissando la cliente negli occhi, fece roteare l’arto da destra a sinistra.

Che fosse muto o provasse avversione per le parole poco importa. Ciò che conta è che si fece comprendere alla perfezione.

Annamaria si voltò e gli mostrò le spalle. L’uomo la osservò con attenzione da dietro, poi sentenziò.

«Dalle una quarantasei. A meno che non vuoi rivederla sabato prossimo. Per il cambio, non perché le piaci.»

Con quella frase lapidaria aveva sciolto tre enigmi e, dunque, chiarito alla cliente che esercitava il mestiere di ambulante insieme a suo figlio, che aveva le corde vocali funzionanti e, soprattutto, di essere in grado di prendere le misure di un giro vita e un sedere pronunciato anche se occultati da un pantalone decisamente ampio.

Annamaria andò via allegra. Reggeva la busta come se il contenuto rappresentasse un trofeo dal valore inestimabile. Ne aveva tutte le ragioni.

La scelta di quell’indumento, e chiedere la taglia adatta, rappresentava per lei una vittoria. Perché aveva avuto il coraggio di abbandonare l’abulia che le impediva di scegliere abiti che donassero armoniosità al suo fisico.

Tornò a Valle percorrendo la strada principale. Evitò la scorciatoia per timore di incontrare un ladro.

Uno di quelli che ti chiedono la borsa in cambio della vita. Sorrise per il pensiero bizzarro, dovuto al ricordo del romanzo che stava leggendo, e per l’altro che lo seguì.

La probabilità di incontrare un ladro nella Selva è pari a quella di trovare lo zerbino con la scritta benvenuto davanti alla porta di casa di zio Alfonso.

Eppure un predone in quella piccola boscaglia c’era, ma non era interessato ai beni materiali, solo che lei non poteva saperlo.

Camminò veloce e raggiunse la sua abitazione abbastanza presto, entrò in casa e salì le scale, di corsa. Doveva indossare il capo appena comprato. Subito. Entrò nella camera dei genitori e tolse i pantaloni, abbastanza ampi da consentirle di farlo con le scarpe ai piedi, tuttavia dovette disfarsene.

I jeans gradiscono le calzature dopo averli indossati, non prima. Infilò il nuovo indumento con difficoltà. Non essendo abituata le appariva più aderente del dovuto.

Quando terminò la fatica e li abbottonò avvertì con piacere il contatto del ferro sotto i polpastrelli. Poi osservò il risultato allo specchio.

Accettò il responso del vetro e, di conseguenza, l’immagine del suo fisico non più segregato sotto un abito sproporzionato.

Indossò la felpa color arancio, consigliatale dal ragazzo per il colore, dal genitore di lui per la misura, prese il libro dal comodino e scese le scale di casa, poi uscì nel cortile e si sedette sulla sedia di vimini, dove ricominciò a leggere da dove si era interrotta la sera prima.

Mentre lei ritornava sulle pagine che l’avrebbero di nuovo trasportata nella foresta di Sherwood, Stefano attendeva paziente che i due ragazzi comparissero all’orizzonte. Sapeva che gli avrebbero concesso la replica del giorno precedente, li aveva visti bighellonare nella piazzetta di Valle, quindi non erano andati a scuola, dunque: avrebbero fatto un giro dalle sue parti.

Aveva ragione e quando li vide avvicinarsi al casolare si preparò, col fisico e la mente, a godere dello spettacolo in arrivo.

Tuttavia vedere il signore e padrone della coppia che appoggiava una mano sulla testa dell’altro, premendola verso il basso, lo turbò.

Quel gesto significava che ci sarebbe stata una variazione sul tema. Novità a lui sgradita.

Molti suoi colleghi avrebbero apprezzato il diversivo, reputandolo una variante piacevole. Lui no, considerava inammissibile ciò che stava per accadere, poiché invece di eccitarlo avrebbe conseguito l’effetto contrario, a meno che a mettersi in ginocchio fosse stata una donna. Anche i guardoni soffrono restrizioni.

Quando vide il ragazzo in piedi abbassare la cerniera dei pantaloni si voltò per non assistere a un’esibizione per lui intollerabile.

Girandosi vide un’automobile parcheggiata nella poligrafica, una figura che usciva dal portone d’ingresso degli uffici per poi salire a bordo della vettura. Non ebbe bisogno di inforcare il binocolo, aveva riconosciuto chi fosse, e, come se non bastasse, si era chiesto il perché della presenza nello stabilimento, considerato che gli uffici della Mursie erano chiusi nel fine settimana.

Decise che non fossero affari di sua competenza e quando l’auto lasciò il parcheggio aziendale riprese la posizione originaria.

I due ragazzi stavano lasciando il casolare. Stefano, rinunciando a seguire un rapporto per lui ripugnante, credeva di aver assistito a una scena priva di importanza.

Gli eventi futuri avrebbero dimostrato il contrario.

***

Annamaria leggeva da un’ora, durante la quale aveva divorato più di cinquanta pagine del romanzo, quando notò un volto amico che la guardava da dietro le sbarre del cancello.

I suoi occhi inseguirono il sorriso di Stefano e lo raggiunsero.

L’uomo, definito il muto dai conoscenti, ma non da lei, reggeva tra le dita un pacchetto di caramelle. Lo brandiva come Robin Hood faceva con le frecce.

La ragazza si alzò e raggiunse l’amico che infilò il dolce involucro nello spazio tra un paletto e l’altro evitando di oltrepassare con le dita il confine, virtuale, tra la strada pubblica e la proprietà privata.

Annamaria avvicinò la mano con l’intenzione di prendere il regalo e accarezzare quella di chi, ancora una volta, si era ricordato di lei.

Stefano non le concesse la possibilità: come vide che il dono aveva raggiunto la destinataria lasciò la presa e scappò via agitando le braccia verso l’alto.

Un qualsiasi spettatore avrebbe temuto di aver assistito alla scena di un terrorista in fuga dopo aver lanciato un ordigno nel cortile degli Schisano.

Tuttavia il viale era deserto e nessuno poté apprezzare il piacere di guardare la festosità di chi sa di aver compiuto un gesto carino, e inaspettato.

Ma l’agitazione dell’uomo era dovuta anche al malessere interiore che gli aveva lasciato l’episodio inaspettato al quale aveva assistito.

Aveva cercato di convincere sé stesso che la scena vista nel parcheggio della Mursie fosse di una banalità assoluta. Senza riuscirci, però.

La sensazione che quell’evento contenesse qualcosa di sbagliato, malfatto quasi, non lo abbandonava, e contribuiva a rendere il suo comportamento più impetuoso del solito.

Annamaria riprese il suo posto ma non proseguì la lettura, preferì riflettere sul come si sarebbe comportata con suo zio il venerdì seguente, non intendeva ribellarsi a lui. Comprendere sì, ne aveva il diritto.

Sfogliò le pagine del libro per assaporare il profumo, e il rumore, dei fogli voltati, poi si fermò e cominciò a scorrere le parole con lo sguardo.

Senza leggere, però. Preferì far scivolare gli occhi sulle righe.

Con quel gesto aveva compreso, anche se non lo avrebbe saputo spiegare, che il libro è il prodotto dell’ingegno più valido che esista, persino quando non viene letto.

Ma grazie al romanzo aveva capito anche qualcos’altro: adesso era in grado di capire cosa stesse leggendo, eventualità da lei ritenuta impossibile fino a quel momento.

Chiuse il volume, accarezzò la copertina e tornò dentro casa.

Nella sua mente, di cui aveva scoperto la capacità di ragionare, iniziavano a fluttuare pensieri avvincenti.

Tra i quali fare una sorpresa a un parente che oltre a trasmettere ai suoi simili la stessa emozione provata da un indemoniato nel vedere l’esorcista era anche parecchio vizioso.

***

Annamaria bussò al campanello, sentì, proveniente dall’interno, una serie di lamentele non traducibili in parole. Erano suoni sconnessi, ma che mostravano risentimento.

Alfonso Terracciano stava guardando un programma in televisione, e non aspettava nessuno. Quindi doveva essere uno scocciatore.

Aprì la porta evitando di chiedere chi si trovasse dall’altra parte.

Quando riconobbe la nipote i suoi occhi si colmarono di sconcerto, cosa che non gli impedì di essere scortese, come sua abitudine.

«Che ci fai qui? Oggi è sabato.»

«Passavo da queste parti e mi è sembrato giusto venirti a trovare. Posso entrare?»

Il Selvaggio esitò per un attimo, voleva mandarla via, ma fu attratto dall’abbigliamento inusuale della nipote, e dallo sguardo di lei. Annamaria aveva una luce diversa negli occhi, non sorrideva, mostrava un’espressione di sfida. Il desiderio di sapere gli suggerì di accoglierla in casa.

La vide camminare nel corridoio e notò i pantaloni aderenti.

Troppo scaltro per credere che il nuovo abbigliamento fosse dedicato a lui, sbraitò sprezzante alle spalle di Annamaria.

«Finalmente ti sei vestita da essere umano e non da pagliaccio del circo.»

Lei non rispose e proseguì il cammino verso la stanza da letto. Alfonso la seguì, perplesso.

Annamaria si avvicinò alla branda e iniziò a togliere la maglia. Il Selvaggio notò l’assenza del reggiseno, ma non fece in tempo a chiedersi se li avesse tolti o non l’indossasse, la sua attenzione fu richiamata dai jeans che si abbassavano: per quanto abituato a vederla col sedere scoperto provò un’emozione nuova quando notò che la ragazza al posto delle mutandine aveva fissato una specie di ampio bracciale tenuto dai fianchi.

La fascia metallica luccicava insieme ai piccoli rettangoli di metallo che la componevano. L’uomo avvertì un’eccitazione mai provata in precedenza.

Al termine del rituale la giovane si voltò di scatto, gli offrì la visione dell’inguine, poi parlò.

«Togli la catena.»

Quella frase ebbe il potere di fermare il tempo. Ma solo per un istante. Poi le lancette ripresero a camminare, ma all’inverso.

Alfonso ebbe la sensazione di vivere a una velocità irreale. Per lui fu come se il tachimetro dell’esistenza segnasse duecento ore a chilometro.

Fece ricorso al suo istinto animale, e riportò ordine nelle cose: avvicinò le labbra a quelle della nipote, ma non la baciò.

Dopo una leggera pressione sulla bocca di lei scosse la testa e si allontanò. Quindi parlò con un tono che aveva smarrito ogni arroganza.

«Vestiti.»

La lasciò sola nella stanza andando via con le spalle chinate, un atteggiamento che mostrava la sua sconfitta.

Annamaria, che aveva desiderato capire, comprese che si era appena consumata una rappresaglia. E che la pianta annaffiata dallo zio era cresciuta fino a diventare più grande di lui.

La ragazza lasciò, per sempre, la casa del parente accompagnata dalla soddisfazione di aver avuto ragione.

Aveva ipotizzato che i modi sprezzanti che l’uomo adottava con lei servissero a nascondere un sentimento più profondo, ma impossibile da rendere tangibile.

La reazione di Alfonso nel rifiutarsi di possederla aveva confermato la sua convinzione.

Lui pur innamorato della nipote sapeva che non sarebbe mai stata sua. Per questo aveva rinunciato a toglierle la verginità.

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