Capitolo 7
-Né fisico dici? - disse, guardandomi a palpebre strette e afferrando il cellulare.
Lo vidi digitare qualcosa, per poi girare lo schermo dalla mia parte e mostrarmi una foto di Ernandez a petto nudo, sotto il getto di una doccia all'aperto, gli addominali scolpiti da scultura greca, il bicipite del braccio piegato a portarsi il ciuffo di capelli bagnati all'indietro, sembrava esplodere, le labbra carnose erano semiaperte, lasciando intravedere la dentatura candida e perfetta.
-Questo non fa sesso? Dillo! Di: questo non mi fa sesso! -
Effettivamente rimasi per qualche istante privata di qualsiasi commento. Il mio encefalogramma in quell'istante doveva essere piatto. Mi ridestai dopo una manciata buona di secondi, scrollando la testa per riattivare le sinapsi.
-No... - pronuncia lentamente... molto lentamente.
Mattia sospirò, rigirando il cellulare e osservando per qualche secondo la foto con un sospiro.
-Al diavolo il rispetto per sé stessi, io mi farei volentieri non rispettare da questo qui! Tu sei castrante con qualsiasi uomo che ti faccia un attimo di filo, con lui poi sei stata proprio una stronza! -
Stranamente, mi sentivo meglio ad aver parlato a qualcuno di questa cosa, ma non demorsi.
-È un atleta che non stimo, lo sai. E tu parli di andare a letto con uno che ho detestato per gli ultimi quattro anni! - protestai ancora.
-Non devi mica fare il tifo per lui sventolando una bandiera... magari giocare con il suo palo, questo sì...- aggiunse con un sorriso malizioso. -Non puoi non sbavare dietro uno come Ernandez, a meno che tu non sia completamente asessuata! - Non si poteva parlare seriamente con Mattia di questioni che riguardassero il sesso, era inutile.
-Non sono asessuata, sono selettiva! -
Trascorsi comunque una serata allegra, seppure il mio amico non la smise per un solo momento di ricordarmi quanto fossi idiota a non cogliere un'occasione del genere. Mattia aveva ragione, era probabilmente tutta colpa delle due cicatrici che portavo al lato di entrambe le gambe a fare di me una donna insicura, seppure all'apparenza tanto dura.
Mattia dormì a casa mia quella sera. Facemmo talmente tardi che a mezzogiorno eravamo ancora addormentati.
La settimana seguente, a ferie terminate, rientrammo in sede, dove ci attendeva una marea di lavoro per la data successiva. Dovevamo garantire ad Alex una moto ad alte prestazioni e che non si affaticasse troppo e prepararci per una sessione di test il giorno successivo alla gara.
Il nostro pilota era molto aggressivo alla guida e spesso rientrava ai box praticamente senza gomme, dovevamo guidarlo al meglio per imparare a preservare gli pneumatici e a non surriscaldare troppo i freni, a causa delle staccate al limite che tirava.
Quando ripartimmo per la Spagna, freschi di vittoria, eravamo sicuri di noi. Atterrati a Jerez de la Frontera eravamo su di giri. Io e Mattia percorremmo l'aeroporto fianco a fianco al nostro team, in tuta della squadra, con un orgoglio mai provato fino a quel momento. Ci sentivamo superstar. Certo, anche negli spostamenti precedenti era sempre stato un orgoglio sfoggiare i nostri colori, ma ora avevamo il pilota vincente, secondo in classifica nel mondiale a soli sette punti dal primo, che nel mondo delle corse sono praticamente nulla.
L'intera mattinata del mercoledì la trascorremmo ad allestire il box. Un sali scendi continuo di attrezzatura che mise a dura prova le mie ossa addormentate da una settimana di ferie e poi una seconda trascorsa più a ragionare che a fare sforzi fisici.
All'ora di pranzo ero quasi sfinita. Mangiai con i colleghi nella nostra hospitality, senza quasi toccare nulla. Sentivo le gambe pesanti e avevo, ancora una volta paura, che continuando a stare in piedi, avrei potuto avere la febbre il giorno successivo. Nonostante fossero passati tanti anni dall'incidente, il mio corpo, quando facevo la super donna, mi lasciava pagare le conseguenze dell'affaticamento. Decisi allora di prevenire con gli anti infiammatori e una massiccia dose di integratori. Fortunatamente in meno di un'ora ero in piedi e carica.
Ci mettemmo all'opera per assemblare la moto. Setting, motore, tutto, bullone per bullone. Franco era sempre tranquillo in quelle occasioni, non ci stava con il fiato sul collo, ma pretendeva comunque la massima attenzione ad ogni dettaglio. Tutto quello che poteva andare storto con la moto era sua esclusiva responsabilità e pretendeva la precisione assoluta.
Quando, finalmente finimmo, mi recai nella parte posteriore del box per aiutare il mio collega addetto alle gomme a rimettere in ordine. C'era una brezza leggere che tirava dall'ingresso posteriore, accanto al carrellino per il trasporto gomme e mi stavo rilassando, percependo quell'aria fresca sul collo, quando, con la coda dell'occhio, vidi un monopattino sfrecciare nel paddock e poi tornare indietro lentamente.
-Hola!-
-Oh, mio Dio... - borbottai senza voltarmi, riconoscendo la voce di Ernandez.
-Anche io sono felice di vederte, Velma. -
-Dafne! Mi chiamo Dafne! - sbuffai.
Ernandez rise -Lo so, ma a me sembri Velma. -
-mmm... - mormorai. Non mi ero ancora neanche voltata a guardarlo. -Che cosa ci fai qui di mercoledì, non ci sono quasi mai i piloti prima del giovedì. -
-Lo sapevo che eri felice de vederme. - rispose, in tono leggero.
-Dici? - chiesi, voltandomi a guardarlo.
Era rimasto all'esterno del box, ancora sul suo stupido monopattino. Mi guardava e sorrideva.
-Non hai risposto. - insistetti.
-Io sono a casa qui. -
-Ah, già... - dissi, riprendendo a trasportare le gomme e a concentrare la mia attenzione su di esse.
-Quanto ci metti a finire? - chiese.
-Il tempo che ci vuole! - risposi, seccata.
-Che tradotto in tempi? -
-1.36.170*. - borbottai osservandolo.
Ernandez prese a ridere. -È il record di questa pista! Sei forte meccanico. -
-Ascolta - esordii indispettita - io sto lavorando... -
E come sempre, quando si parla di me e dei miei tentativi di scaricare qualcuno, fui interrotta dall'arrivo di Franco.
-Abbiamo finito di là, possiamo andare, se tu hai terminato. -
Avevo finito, rientravo l'ultimo treno di gomme quando Ernandez era apparso. Che dovevo fare per togliermi Ernandez di torno? Dovevo dire al mio team che non avevo finito e sentire tutte le loro, giustificatissime, proteste, perché erano stanchi morti e volevano andare a riposare, oppure ammettere di aver finito con quel pilota tra i piedi. Optai per dimostrare che sapevo fare il mio lavoro.
-Ho finito. -
-Bene. -
-Bene! - esclamò Ernandez, attirando l'attenzione di Franco che, credo, non lo avesse neanche visto.
-Ciao Juan. - esclamò il mio capo, sorpreso.
-Hola. Puedo robar tu mecánico, entonces? - (posso rubare il tuo meccanico, allora?)
-Por supuesto. ella es libre de hacer lo que quiera, su jornada laboral ha terminado. (sicuro. è libera di fare quello che vuole, il suo orario lavorativo è finito.)
Osservai Franco e quasi lo fulminai con lo sguardo. Il mio capo, padre di una ragazza, comprese immediatamente la mia reazione, sembrò quasi scusarsi con lo sguardo.
-Bien! - esclamò vittorioso il pilota - ti aspetto fuera! -
E ciò detto prese a girare in circolo con il monopattino, nei tre metri quadrati antistanti l'ingresso posteriore.
-Ti odio! - sibilai al mio capo.
-È un buon partito per una ragazza! -
