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Capitolo 8

-È un buon partito per una ragazza! - disse lui, in tono paterno.

-Io non mi voglio sistemare! - protestai.

-È ora che ci pensi, una donna... -

-Una donna non deve, necessariamente, puntare a sistemarsi, Franco! Ma grazie per il pensiero! - tagliai corto. Mollando il carrello con violenza, facendo traballare la pila degli pneumatici e spostandomi a recuperare il mio zaino.

Ero furiosa, non tanto perché il mio capo si era intromesso e aveva quasi deciso lui di concedere il mio tempo ad Ernandez, ma più di ogni altra cosa, per quel concetto preistorico a cui aveva alluso. Io mi sentivo una donna completa ed appagata, anche senza un marito o un fidanzato. Perché dovevo considerare l'opportunità di sistemarmi? E poi chi diavolo lo conosceva quell'idiota in monopattino? Chi se lo filava!? Devo anche ammettere che, con molta probabilità, Franco avrebbe detto la stessa cosa a sua figlia, ma in quel momento lo avrei preso a morsi per la rabbia.

Lasciai il box prima di tutti gli altri, camminando come una furia a grandi passi, Ernandez che mi veniva dietro con il suo aggeggio su ruote.

-Ehi, dove vai? -

-In albergo. -

-E come vai? -

- A piedi! - quasi urlai spazientita.

-E dove alloggi? -

-E cosa cazzo te ne frega? - esclamai, fermandomi e voltandomi a guardarlo.

Anche Ernandez si era fermato, osservandomi. Era rimasto sorpreso dalla mia durezza.

-Mi dispiace... - aggiunsi, realmente pentita -Non sei stato tu a farmi arrabbiare, scusa... -

-o..k... volevo solo darti un passaggio... - quasi balbettava. Poverino, mi sentì davvero una stronza.

- Tornerò da sola, non preoccuparti. - dissi, rimettendomi a camminare.

- Ti posso portare in un posto, prima? - chiese, incerto.

Sorrisi, fermandomi nuovamente. In fondo mi faceva tenerezza, non demordeva nonostante il mio atteggiamento.

-Sono una stronza, vero? - sorrisi, guardandolo e addolcendomi un po'.

-un poco... - rispose, sorridendomi.

-ok! - dissi finalmente -Accompagnami in albergo. -

-E in quel posto, no? -

-Ci andremo un'altra volta, ora sono troppo stanca. -

-Ah, vedi? Abbiamo già un oltro appuntamento. Come te levo, In moto? Ti va? - esclamò, ammiccando, come se quello di andare in moto con lui, fosse il desiderio di chiunque incontrasse.

Mi irrigidì, sentendo il cuore perdere un battito.

-Non in moto. - balbettai.

-Va bene in auto? - chiese, osservandomi stupito.

- sì. - sorrisi incerta.

-Vamos... - esclamò, girandomi intorno con il monopattino.

-Posso portarte a cena? -

-Adesso non esagerare Ernandez! -

- Està bien. -

Andammo insieme fino al parcheggio, dove accelerò, avvicinandosi ad un suv BMW. Stipò il monopattino nel bagagliaio e mi aprì la portiera.

-Por favor... - disse, mimando una specie di inchino.

Nonostante lo detestassi, mi fece sorridere.

-Perché perdi tempo con me, Ernandez? Sono vecchia e acida. - dissi, una volta in auto.

-non so... forse por eso. - rispose, avviando il motore.

Scambiammo qualche chiacchiera durante il tragitto. Mi chiese del mio pilota, di come mi trovassi nel mio team e mi raccontò qualche aneddoto sulla sua carriera, prima di fermarsi davanti all'ingresso del mio albergo.

-Ti accompagno adentro? -

-No, grazie. Da qui posso fare da sola. -

-Domani, ha un appuntamento comigo, recuerda. - ebbe premura di rammentare.

-Vedremo... grazie per il passaggio, Ernandez. -

Scesi dall'auto ed entrai in albergo. La mia squadra non era ancora arrivata, ma non me ne importava nulla, ero ancora arrabbiata. Perché gli uomini devono avere quell'orrendo e obsoleto concetto sulle donne? Sistemarsi, me lo ripeteva sempre la nonna, prima di andarsene, "mia cara, ti devi sistemare. La bellezza non è eterna e noi donne abbiamo un orologio. Una volta superata una certa ora, tu resterai sola."

E chi se ne importava!? Io ero felice così! Avevo avuto delle storie, due per essere esatta. Una poco prima dei diciotto anni, con un ragazzo della mia età che frequentava la mia stessa struttura di riabilitazione dopo l'incidente e la seconda con Oreste. Lui l'avevo incontrato al primo anno di stage in azienda. Faceva l'apprendistato presso lo studio di un legale del posto e ci aveva messo dei mesi prima che gli concedessi un appuntamento. Sì, sono sempre stata così, sin da dopo i quindici anni. Avevo problemi in qualsiasi tipo di rapporto per via delle mie cicatrici, del mio passato.

Con Oreste era durata un anno appena, poi lo avevo lasciato, dopo aver scoperto che se la intendeva con il suo capo, l'avvocatessa che lo aveva assunto come tirocinante. Ero sola da tre anni, ma non mi lamentavo, andava bene così... mi sentivo comunque completa, come persona e come donna.

Cenai in camera, da sola, non volevo vedere Franco al di fuori dell'orario lavorativo, per non correre il rischio che rimarcasse il discorso che avevamo interrotto e tentasse di giustificarsi per ciò che aveva detto.

Quando finalmente toccai il letto, fu come togliermi di dosso un macigno. Ero stanca morta.

La mattina seguente, mi alzai presto e faci colazione di sotto. Mentre zuccheravo il mio cappuccino, spulciavo il cellulare. Mi piaceva leggere le notizie sull'Italia, anche se ero lontana, vedere cosa stessero facendo i miei amici. Parlavo poco con papà, non più di una chiamata o un messaggino ogni due o tre giorni, il tutto per informarci a vicenda che eravamo vivi ed in salute. Siamo sempre stati poco inclini a sprecarci in lunghi discorsi... ma ci è sempre bastato quel rapporto, fatto di poche parole nei momenti giusti.

Stavo per alzarmi dal tavolo, quando mi giunse un messaggio di Ernandez. "Portati un cambio, qualcosa di sportivo. Ti porto in un posto, ma ci andiamo in bici."

Dove voleva andare? Per un attimo mi pentì di avergli promesso del tempo insieme, ma d'altra parte ero anche contenta che avesse pensato a qualcosa di diverso. Il mio astio per lui si era leggermente affievolito, anche se non dimenticavo il nostro primo incontro e l'ultimo invito nella sua stanza, cose che tenevo sempre a mente per non dimenticare per quale ragione continuasse con la sua insistenza.

Risposi con un sintetico "ok" e mi preparai ad una nuova, intensa, giornata lavorativa. 

Il giovedì era la giornata di parata dei piloti, ma quella più dura a livello lavorativo per il box. Bisognava preparare la moto, sulla base delle passate stagioni e della situazione climatica, fare i check dell'elettronica, insomma lavoro, lavoro e lavoro. Quando tutti gli impegni mediatici dei piloti furono terminati e giunse anche il coprifuoco della pit, apparve Ernandez in bici, con una polo, bermuda e cappellino del suo team.

-Hola! Finito tarde? -

-Oh, cavolo, me ne ero dimenticata! - esclamai.

Mattia mi osservò come se fossi impazzita.

-No emporta. Cambia i vestiti e ti espero con la bicicletta para ti. -

-Non provare a sparare cazzate e vai! - mormorò, a denti stretti, Mattia.

Lo osservai e risi.

-Va bene, dammi il tempo di cambiarmi. - risposi.

Andai in bagno e indossai dei pantaloncini e una felpa, rigorosamente con i colori del mio team.

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