7/125. QUIS EST IMPERATOR?
«Ci siete tutti ragazzi? Sacchi, non stare in fondo vieni avanti, se chiacchieri te la scordi la sufficienza in latino!», disse in tono minaccioso il professor Bianchi.
«Prof… Ascolto, ascolto!», rispose seccato lo studente.
«Tutti compatti mentre passiamo per i tornelli. Sbrighiamoci ad entrare che ho una sorpresa per voi.», disse ridacchiando il Prof.
«E che sorpresa vuole farci qui in gita? Non è ironico, vero Prof? Non ha in mente qualche interrogazione? Non mi rovini la media proprio a fine anno!», si lamentò una studentessa preoccupata.
«No! Non rovinerò niente, anzi, a fine gita, alzerò il voto di tutti quelli che saranno stati al gioco.», sentenziò Cesare.
Un brusio si diffuse subito tra tutti gli studenti che incuriositi dalla parola “gioco” e galvanizzati dalla frase “alzerò il voto”, non stavano più nella pelle all’idea di scoprire che cosa si fosse inventato questa volta il loro strambo professore.
Una volta terminata la procedura di verifica dei biglietti, il passaggio per il tornello ed il radunamento di tutti all’ingresso del parco, Cesare cominciò: «Hodie cives Romani saeculi primi esse simulamus. Praemium erit omnibus qui operam dant mecum Latine loqui(7) .».
«Che ha detto il Prof?», chiese perplesso uno.
«Ma sta parlando in latino?», commentò un altro.
«Noooo…ma stiamo scherzando?! Professor Bianchi non faremo tutta la gita così? Con lei che ci parla latino?», continuò esterrefatto un altro.
Il Professor Cesare Bianchi era estremamente divertito da tutto quello sconcerto ed analizzando quel suo stato d’animo dovette ammettere che sua figlia aveva ragione, provava un certo piacere nel gustarsi le reazioni di panico e smarrimento dei suoi studenti all’idea di passare una mattinata in quel modo.
Ad un tratto, in mezzo al brusio di lamentele dei diversi studenti, uno di loro con voce squillante, per essere sicuro di essere sentito dal professore, disse: «Paratus sum, magister(8) ».
Gli altri compagni si rivolsero istantaneamente verso di lui con uno sguardo che non lasciava spazio ad errori di interpretazione: «Ma sei impazzito! Smettila di fare il NERD!», lo rimproverò uno compagno e poi accorgendosi che aveva un dizionario tascabile italiano-latino in mano, disse indispettito: «Ma tu sapevi che avremmo parlato in latino? Ti sei portato il dizionario senza dirci niente?».
«Non lo sapevo, ma mio fratello ha frequentato la classe del professor Bianchi e visto che con lui aveva fatto così, ho pensato di portarmi il dizionario per sicurezza.», si giustificò il ragazzo.
«Derossi, Sei sempre il solito! Non potevi avvisare la classe?», gli chiese uno.
«Che infame!», sentenziò un altro.
«Basta! Basta così! Niente offese.», si affrettò ad intervenire Cesare e poi aggiunse: «Derossi non era tenuto ad avvertire la classe, tuttavia sarebbe stato cortese da parte sua condividere quest’informazione con i suoi compagni. Quindi, bravo Derossi che hai preso l’iniziativa, ti meriti un punto! Adesso però dovrai condividere il dizionario con i tuoi compagni, altrimenti ti leverò un punto perché non partecipi al lavoro di squadra.», e così risolse la faccenda, premiando l’iniziativa e nello stesso tempo permettendo a tutti gli studenti di partecipare con pari opportunità all’attività.
«Adesso diamo il via alla nostra gita, cominceremo a parlare proprio dell’Arco di Tito che abbiamo qui davanti.», iniziò a spiegare il professore senza mai più pronunciare una parola in italiano, ma solo in latino.
Mentre si cimentava nelle sue spiegazioni ed anticipava ai ragazzi che cosa avrebbero visto, un personaggio folcloristico gli si accostò chiedendogli: «Quis est imperator(9)?».
Cesare rimase senza parole, sentirsi rivolgere una domanda in latino, in quel contesto per giunta, era di per sé straordinario, ma ascoltarla da un soldato romano, in completa armatura, lo emozionò nel profondo.
Il professore lo scrutò da cima a fondo con uno sguardo indagatore e subito notò la precisione della fattura della sua lorica segmentata, si capiva che non era una persona comune che per sbarcare il lunario si travestiva da centurione per farsi fotografare dai turisti.
L’armatura era perfetta ed il materiale di ottima qualità, doveva essere sicuramente costosa e poi, probabilmente, nessuno di quegli uomini travestiti da soldato, avrebbe saputo esprimersi in latino.
Chi era dunque quell’individuo? Un attore in parte? Una guida turistica? Forse finalmente il comune aveva deciso di far rivivere gli antichi splendori di Roma con qualche iniziativa particolare che gli era sfuggita?
Cesare decise di porre subito fine alla sua curiosità e chiese, sempre in latino ovviamente: «Come ti chiami, da dove vieni e qual è il tuo lavoro?».
Dobbiamo precisare che, seppur il professore avesse una certa dimestichezza con quella lingua antica e si divertiva a parlarla, all’orecchio di un cittadino romano del primo secolo il suo accento doveva sembrare quanto meno un po’ stentato. Inoltre non era cosa semplice adattare una conversazione moderna a quello che poteva essere un dialogo con un personaggio di un'epoca così perduta nel tempo, quindi le frasi pronunciate da Cesare erano molto semplici e questo suscitò ilarità nel soldato, ma la soffocò per evitare di essere scortese, rischiando di offendere il suo interlocutore.
«Mi chiamo Sabino, sono originario della Siria. Sono un soldato romano al servizio del comandante Tito.», rispose fiero.
Cesare non stava più nella pelle, parlare in latino con un soldato romano che fingeva di essere al servizio di Tito, sotto l’arco che celebrava la sua vittoria in Palestina, praticamente era un sogno che si realizzava, un’esperienza didattica irrinunciabile e, per quanto ne sapeva, irripetibile.
Per questo motivo, il professore, dopo essersi accertato che Sabino non fosse un tipo pericoloso, decise di farlo partecipare alla gita e di portarselo dietro per i fori ed il palatino.
A Sabino quell’invito non parve vero, gli sembrò che Marte gli stesse inviando l’aiuto di cui aveva bisogno.
Da quell'insegnante, infatti, poté apprendere informazioni vitali per la sua sopravvivenza.
Scoprì che il suo viaggio nel tempo gli aveva fatto fare un balzo temporale di quasi duemila anni e lo aveva catapultato in una Roma completamente diversa dalla capitale dell’impero che lui ricordava nei suoi viaggi da bambino.
Le differenze che intercorrevano tra le due epoche furono immediatamente evidenti fin dal modo in cui tenevano conto del tempo che passava.
Ormai non erano più gli imperatori a scandire il succedersi degli anni, ma il punto di riferimento, almeno per quella parte del mondo, era diventato questo uomo, Cristo, di cui lui aveva vagamente sentito parlare, ma che certo non avrebbe mai pensato valesse così tanto da incidere sul corso della storia umana.
La civiltà che lui conosceva era scomparsa lasciando come eredità una quantità indescrivibile di rovine.
Le invenzioni dell’uomo erano progredite in modi che non avrebbe mai creduto possibile, ma anche se curioso, per il momento decise di non approfondirle e accettarle per come gli venivano presentate, per non perdere il focus su ciò che era prioritario.
Il suo obiettivo era soddisfare i suoi bisogni primari: capire dove ed in che periodo si trovava, come mangiare e dove dormire.
Una volta che si fosse messo al sicuro per la notte avrebbe iniziato ad elaborare un piano per i giorni successivi e si sarebbe concesso un po’ di tempo per stupirsi di tutte quelle novità.
Cesare, dal canto suo, era entusiasta, aveva trovato un valido accompagnatore la cui cultura colmava alcune sue lacune storiche. Infatti, rimase sorpreso nel sentire spiegare in modo particolareggiato la vita di un soldato, come venivano offerti sacrifici agli dei e le attività commerciali, in un modo così preciso da far credere che quel ragazzo avesse vissuto davvero negli anni in cui Vespasiano aveva guidato l’impero.
Il professore si convinse che il giovane doveva aver sostenuto studi di alto livello per avere tutta quella conoscenza e per essere così ferrato in latino da poter sostenere una conversazione senza il minimo cedimento grammaticale.
La giornata trascorse in modo proficuo per entrambi gli uomini.
Sabino trovò utile anche la compagnia di quei giovani a cui cercò di chiedere spiegazioni sulla natura di alcuni oggetti che attiravano la sua attenzione, come ad esempio la scatolina che riproduceva i ritratti delle persone in tempo reale, e scoprì non solo che si chiamava telefono o cellulare, ma anche che aveva moltissime altre funzioni tra cui permettere di parlare con le persone anche dall'altra parte del mondo, senza lettere o piccioni viaggiatori, ma con delle onde invisibili all’occhio umano che venivano catturate da apparecchi costruiti appositamente per codificare e trasmettere la voce.
I ragazzi, credendo che fingesse di essere un antico romano dietro richiesta del professore, e che assecondare le richieste del soldato potesse contribuire a fargli ottenere un voto più alto, si sforzarono di spiegargli per sommi capi le stranezze intorno a lui, proprio come se dovessero far capire ad un uomo vissuto duemila anni prima le novità del mondo moderno.
Così cercarono di spiegare che con il telefono poteva parlare con altre persone che non vedeva, che le automobili sostituivano i cavalli e che si muovevano grazie ad una sostanza che alimentava un oggetto che era in grado di generare energia, che i lampioni servivano per illuminare le strade e sostituivano le fiaccole e così via.
Molte erano le invenzioni affascinanti intorno a lui e di ognuna ne avrebbe voluto scoprire il funzionamento, ma non poteva farsi distrarre da quelle meraviglie, aveva problemi più grandi e incombenti da risolvere, si limitò quindi a registrare quelle informazioni strabilianti, rimandando ad un altro momento l’approfondimento dei dettagli di quelle nuove invenzioni.
La gita del professor Bianchi si era conclusa, i ragazzi si stavano sparpagliando non vedendo l’ora di tornarsene a casa.
Sabino si avviò verso l’uscita insieme a loro. Vicino aveva quel tale Derossi che trovava tutte le frasi da dire in latino attingendo da quel libretto che aveva in mano, che gli spiegò chiamarsi nella loro lingua “dizionario” e che gli permetteva di tradurre dal latino all’italiano e viceversa.
«Se non ti serve più, posso comprartelo?», chiese Sabino in latino in tono deciso.
Abituato come era alla vita militare, il suo linguaggio era semplice e diretto con un tono vagamente autoritario.
«Sì certo, se ti serve.», rispose in italiano il ragazzo.
Sabino aggrottò le ciglia, facendo chiaramente intendere che non aveva capito la sua risposta.
Il ragazzo spazientito dal dover continuare a parlare in latino anche quando la gita era finita, si limitò ad annuire con la testa, avrebbe voluto dirgli che glielo avrebbe regalato, tanto era anche vecchio, ma non aveva voglia di mettersi a tradurre la frase.
Sabino aprì la piccola sacca in cuoio, legata sotto alla sua cintura, e tirò fuori delle monete. Derossi le esaminò e poi ritenne di doverne prendere una da due euro, poi lasciò nelle mani del soldato il dizionario, salutò e corse a raggiungere gli altri compagni, che intanto si erano avviati senza aspettarlo perché ce l’avevano ancora con lui per non averli avvertiti della ‘sorpresa’ del professore.