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5/125. Giulia - I

Se si potesse sapere in anticipo la piega che prenderà la nostra giornata, cosa faremmo?

Se sapessimo che ci aspettano situazioni complicate ma anche momenti piacevoli, cosa decideremmo di fare?

Ci alzeremmo dal letto ed affronteremmo le difficoltà desiderosi di ricevere la ricompensa o spegneremmo la sveglia e ci rimetteremmo a dormire decidendo che non valga la pena soffrire tanto per una piccola soddisfazione?

Probabilmente la stragrande maggioranza delle persone si dividerebbe in due categorie, al cui interno, a sua volta, si troverebbero individui che, seppur arrivati alla stessa conclusione, lo avrebbero fatto percorrendo strade completamente diverse.

Un primo gruppo deciderebbe di prendere il toro per le corna, si alzerebbe e si preparerebbe ad affrontare la giornata.

Il motivo? Può variare a seconda del carattere, delle esperienze e del contesto in cui il soggetto è cresciuto e vissuto.

Alcuni nascono guerrieri, non si lasciano intimidire dalle difficoltà, perché secondo loro queste possono forgiare il loro carattere e migliorare la loro personalità, non rinuncerebbero mai alla parte piacevole della vita per il timore di affrontare situazioni spiacevoli.

Altri, per natura ottimisti, credono che anche nelle avversità si possa nascondere qualcosa di positivo e che, con il loro atteggiamento, siano in grado di ribaltare qualsiasi situazione negativa, trasformando ciò che è nero in bianco, ciò che è buio in luce, ciò che è sgradevole in delizia.

Poi ci sono i realisti, quelli che nella vita hanno dovuto faticare per ottenere i loro meritati buoni risultati. Sono consapevoli che la vita è una faticosa scalata verso la realizzazione di sé stessi e non rinuncerebbero mai neanche ad un solo momento piacevole, anche se per ottenerlo dovranno affrontare situazioni difficili, perché sanno per esperienza che non si può ottenere il bene senza sopportare il male.

Un altro gruppo, invece, si comporterebbe in modo diametralmente opposto al primo, scegliendo di voltarsi semplicemente dall’altra parte aspettando che la giornata trascorra placida.

Anche in questo caso, i motivi che li spingono ad adottare questo comportamento possono essere molteplici e tutti validi.

Alcuni sono fondamentalmente consapevoli che nella vita è stato assegnato a ciascuno un ruolo e nel loro copione c’è scritto a lettere cubitali ANTIEROE. Sono coscienti che qualsiasi cosa possano fare verrà usata, nella migliore delle ipotesi, per esaltare il protagonista della storia, nella peggiore, si ritorcerà contro di loro, finendo polverizzati dal suo raggio laser. Per quanto gli si possano promettere momenti piacevoli, sono convinti, per esperienza, che mai niente sarà più gioioso e sicuro del proprio letto, soprattutto durante una giornata fredda invernale.

Poi ci sono quelli che rappresentano la prova vivente che la legge di Murphy, secondo cui ‘se qualcosa può andar male, lo farà’, è fondata su concrete prove scientifiche e la loro esistenza è una di queste. Sono certi, infatti, che se fin dal principio gli viene pronostica una giornata negativa sicuramente andrà anche peggio di quanto immaginato. Probabilmente il momento piacevole della giornata tanto agognato non consiste in nient’altro che gustare una coppa di gelato, ma che potrebbe benissimo concludersi con una macchia sul cappotto nuovo, oppure, più plausibile, senza averne assaporato neanche un cucchiaino perché un piccione è riuscito a defecarci sopra, mentre passava in volo a dodici metri di altezza.

Non possiamo non menzionare, infine, gli sconfitti. Quelli che hanno provato ad alzarsi e a uscire per affrontare la vita così tante volte ma che sono tornati sempre a casa con lividi e cicatrici così profonde da non riuscire più a farle rimarginare. Sono così esausti che non hanno neanche più le forze di affrontare le difficoltà e godere di quel poco di gioia che gli si prospetta.

E poi, tra tutte queste possibilità e stereotipi, c’è Giulia Bianchi.

Non è possibile prevedere cosa farà Giulia: se si alzerà o si riaddormenterà.

Non perché sia imprevedibile, non perché sia misteriosa, ma semplicemente perché la sua decisione verrà presa dopo aver esaminato, soppesato, valutato, vagliato ed analizzato tutte le variabili in gioco.

Se dovessimo definire Giulia, sicuramente useremmo la parola imprevedibile, ma non nel senso affascinante del termine, bizzarro, festoso, divertente, ma in quello più monotono, tedioso e sfibrante.

Non facciamoci però un’idea errata del suo carattere.

Stiamo soltanto cercando di comprenderlo meglio per cercare di non fraintenderla.

Non che per lei l’essere fraintesa sia una novità.

Una sola persona riusciva a capirla nel profondo e questa, non è difficile intuirlo, era sua madre Ginevra, e per estensione, grazie alle imbeccate di quest’ultima, il padre Cesare, che grazie a lei, riusciva ad avere la corretta chiave di lettura per interpretare le sue emozioni.

Fondamentalmente Giulia era una ragazza timida, riflessiva e, probabilmente come conseguenza, riservata.

Questo la portava a valutare bene ogni situazione prima di esporsi, perché esternare un suo pensiero, difendere una sua idea, attuare un suo progetto, le sarebbe costato un enorme dispendio di energie emotive che l’avrebbero stancata, non solo psicologicamente ma anche fisicamente.

Ora, come questa sua caratteristica, nell’immaginario collettivo, potesse trasformarsi in una debolezza non è dato sapere; tuttavia questo suo aspetto del carattere l’aveva penalizzata in diverse circostanze della vita, soprattutto negli anni difficili delle scuole medie e superiori.

Infatti, il concetto che le persone intorno a lei non riuscivano ad afferrare consisteva nella differenza sostanziale che intercorreva tra il non esprimere un’opinione ed il non averla, non esternare un sentimento e non provarne, non avere amici e il non apprezzare semplicemente la compagnia di quelli che le erano accanto.

Basandosi su questa incomprensione di fondo, spesso, i colloqui tra gli insegnati ed i suoi genitori terminavano con i bonari o preoccupati consigli di spronarla a socializzare di più, stimolarla perché sviluppasse idee proprie, lasciare che fosse coinvolta maggiormente nelle attività della classe.

Cesare si sarebbe anche preoccupato di queste indicazioni relative al comportamento della figlia se Ginevra non ne avesse svelato la corretta interpretazione.

Giulia si era fatta un’opinione ben precisa della sua insegnante e non era per niente gradevole. La considerava approssimativa nelle spiegazioni e le riflessioni che si aspettava dagli alunni erano superficiali. Per queste ragioni non riteneva opportuno sconvolgere i suoi equilibri esternando le sue teorie, rischiando di non essere compresa o peggio ancora ridicolizzata davanti a tutta la classe.

Per quanto riguardava i compagni, non è che non avesse amici in generale, ma in quell’ambito era semplicemente stata sfortunata.

Non era colpa sua se, alle elementari, non trovava divertente torturare gli animali o fare scherzi al compagno di turno, né poteva costringersi a farsi andare a genio, l’inventare balletti con le sue compagne sulle note della colonna sonora delle Winx.

Quelle non erano attività che la interessavano.

Meglio leggere? Decisamente!

Lì poteva amare, odiare, dibattere, appassionarsi senza dover rendere conto a nessuno.

Durante il periodo delle medie, leggere nei momenti di noia scolastica fu sostituito parzialmente con l’ascoltare musica e disegnare.

Anche per quel ciclo di studi, non poteva certo affermare di essere in sintonia con i suoi compagni. Non perché lei o loro non fossero simpatici o non sapessero scherzare, ma gli argomenti di interesse dei ragazzi tra gli undici e i tredici anni erano per lei decisamente fuori portata.

Non aveva infatti nessuna inclinazione particolare al videogioco e, a causa della sua natura timida, non era certo notata come la più popolare della scuola, quindi era completamente tagliata fuori da tutti quei discorsi legati al primo bacio, al primo appuntamento e alla necessità o meno di iniziare a comprare biancheria intima di pizzo.

Il suo temperamento l’aveva portata a sviluppare un atteggiamento che possiamo definire mimetico: nel modo di vestirsi, nel modo di atteggiarsi, nel modo di interagire.

Eppure, questo non era dovuto sicuramente al suo aspetto fisico, anche se non aveva nessuna caratteristica particolarmente affascinate, nel complesso si poteva definire una ragazza carina. Aveva dei lineamenti delicati e regolari, capelli castani tagliati scalati che non superavano le spalle, occhi scuri e vivaci.

Probabilmente se avesse accentuato di più il suo sguardo, avesse indossato qualche volta una maglietta più aderente o si fosse fatta crescere i capelli, anche lei sarebbe finita con l’essere notata lungo i corridoi, ma lei non nutriva alcun interesse nell’esibirsi in quel modo.

Aveva deciso che il modo migliore per vivere la sua vita fosse quello di assomigliare ad uno stealth. E proprio come quell’ aereo irrintracciabile dai radar, era anche terribilmente pericolosa.

Era in grado di colpire il suo obiettivo senza essere vista.

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