4/125. Cesare Bianchi - II
Anche se perfettamente consapevole dell’importanza del suo ruolo di magister(4) , riscuoteva grande successo tra i ragazzi poiché era completamente privo di quell'atteggiamento impostato dei suoi colleghi.
Gli studenti percepivano che il suo scopo non consisteva nel fargli acquisire nozioni, ma aiutarli ad affrontare le loro difficoltà, uscendone vittoriosi.
C’è da dire che per quel professore sui generis, il rapporto con i suoi alunni, per un certo periodo della sua vita, costituì un vero e proprio “do ut des”(5) .
Infatti, mentre dava supporto ai ragazzi e alle ragazze, immergendosi nelle loro problematiche e calandosi nella loro psicologia, per poi aiutarli a razionalizzare ed analizzare i loro sentimenti così da conoscere sé stessi ed imparare a gestire le loro emozioni, immagazzinava tutta una serie di informazioni che gli sarebbero state ben presto di aiuto.
Rimasto vedovo quando sua figlia aveva solo 13 anni, si trovò a dovere traghettare l’essere umano che più amava al mondo, dalla sponda della fanciullezza a quella dell’età adulta, attraversando il mare agitato dell'adolescenza femminile, argomento del quale non sapeva assolutamente nulla se non le solite quattro banalità che vengono buttate a caso qua e là, utili al genere maschile solo per un becero umorismo.
Sì, perché per quanto uno volesse analizzare e stereotipare il mondo femminile, la verità era che mai nessuno avrebbe potuto tracciare delle vere e proprie linee guida. Ogni donna era diversa ed ogni problema era unico, per questo tutte, in egual misura, erano in grado di mandarti fuori di testa, non essendo in nessun modo possibile trovare una regola generale, che permettesse di uscire indenni dal labirinto della loro emotività.
Aver compreso questa verità fondamentale, e adattarvisi di conseguenza, gli permise di godere di un matrimonio meraviglioso con la donna che amava e conservare un buon rapporto con la figlia.
Anche se raggiungere quest’ultimo obiettivo non fu facile.
Gli anni dell'adolescenza di quest’ultima lo segnarono davvero nel profondo.
Lui era stato sempre un uomo dai grandi progetti, un sognatore, un idealista, ma presto fu costretto a portare i suoi piedi fluttuanti nell’etere, qui sull’arida e gelida terra ferma.
Questo avvenne quando cominciò a scoprire e a doversi calare nel mondo della figlia, che invece aveva bisogno di tanta praticità.
Fin da piccola Giulia era stata estremamente timida. La madre Ginevra, si impegnò molto perché costruisse un rapporto aperto sia con lei che con Cesare, il quale la considerava la sua principessa.
Un carattere sensibile come quello della figlia veniva ferito facilmente e aiutarla a non chiudersi in sé stessa fu un lavoro impegnativo, ma il terreno era buono. Infatti, anche se timida aveva una forte personalità che la portava a non scoraggiarsi e a non abbandonare i suoi progetti, anche se non riusciva a condividerli o veniva presa in giro, perché le persone intorno a lei scambiavano la sua timidezza per debolezza.
Tutto quel lavoro però, sembrò andare in fumo con la morte di Ginevra.
La ragazza si chiuse in sé stessa. Il suo mondo le bastava, non voleva più saperne degli altri.
Cesare, inizialmente, valutò naturale questa reazione, viste le circostanze, ma si preoccupò quando si accorse che non parlava più neanche con lui, non condivideva più con lui le sue emozioni. Lui non riusciva a conoscere le sue esigenze ed in quanto uomo, difficilmente riusciva ad intuirle.
Fu così che i discorsi che sentiva fare in classe alle ragazze o le problematiche dei suoi studenti adolescenti, gli fornirono la chiave di lettura di certi atteggiamenti che riscontrava anche nella sua principessa.
Quando una sua alunna si giustificava perché non aveva potuto studiare a causa dei dolori mestruali, oppure la sentiva parlare del fatto che quella settimana doveva per forza portare i pantaloni perché non era riuscita a farsi la ceretta (“che era molto meglio del rasoio, assolutamente, glielo aveva spiegato la madre!”), quando i suoi ragazzi si esaltavano per un concerto di un nuovo gruppo musicale, lui assorbiva come una spugna quelle informazioni, le elaborava ed una volta a casa le traduceva in azioni.
Così piano piano divenne per sua figlia un vero supereroe che riusciva ad indovinare quello di cui aveva bisogno.
Agli occhi di lei diventò un confidente ed un perfetto problem solver, che spaziava le sue competenze dalla scelta dell’assorbente migliore, all'accompagnatore perfetto per i suoi concerti.
Dialogavano e si confrontavano ormai su tutto: dal paradosso di Zenone, alla poca abilità dell'estetista nell’arte della depilazione.
Era stato un padre eccezionale su tutto, tranne che su una cosa: i ragazzi, anzi, per essere più precisi, il ragazzo!
Sì perché lei con il suo carattere particolarmente sensibile e diffidente non aveva molte amicizie, ed in campo amoroso, se pur carina, come può esserlo sempre una figlia agli occhi del padre, non riscuoteva molto successo.
Ma l'ultimo anno del liceo, la situazione cambiò.
Iniziò a frequentare spesso la loro casa uno studente della classe del professore, nonché figlio del suo più caro amico, per avere ripetizioni di latino e greco.
La serpe, ruolo che assunse agli occhi di Cesare, invece non era tanto interessata a quelle materie, quanto alla principessa del castello.
Così, approfittando della confidenza e dell'amicizia che fin da piccoli li aveva legati e che si era consolidata tra le mura domestiche e i banchi di scuola (perché anche la sua bambina frequentava, a quel tempo, il liceo dove lui insegnava, ma in un'altra sezione), il subdolo giovane conquistò il cuore della fanciulla, approfittando della guardia abbassata del custode del castello, che invece di opporsi, come fece il fratello di Francesca con Paolo(6) , lasciò i due giovani frequentarsi senza ostacoli.
Dall'ultimo anno del liceo per tutti gli anni dell'università, quel parassita venefico rimase incollato alla figlia per poi separarsene all'improvviso, causandole l’inevitabile senso di vuoto, distacco e perdita che risultò emotivamente fatale per quella ragazza che aveva perso sua madre in giovane età e per cui quel ragazzo aveva significato la prima esperienza amorosa.
Il suo rammarico e il rimprovero più grande consistevano nell’ essere stato troppo accondiscendente. Avrebbe dovuto trasformarsi in Mefistofele ed interdire l’infame, impedendogli di frequentare la figlia fin dall’inizio della loro conoscenza.
Adesso però la sua principessa stava bene, si era ripresa e la sentiva serena, non le sembrava pienamente felice, ma allegra e contenta della sua vita.
Questo gli infuse la serenità necessaria per affrontare quella nuova giornata di attività.
Prese il portafogli, gli occhiali da sole ed uscì alla volta della scuola per accompagnare i suoi studenti in gita ai Fori Imperiali.