3/125. Cesare Bianchi - I
«Buongiorno papà! Come stai?» – chiese una voce squillante dall’altra parte del telefono.
«Buongiorno principessa! Come mai questa telefonata di prima mattina? Stai bene?» – chiese il padre, evidentemente non abituato a quel saluto mattutino.
«Sì, sì…tutto bene. Sei incontentabile: ti lamenti perché non ti chiamo, se ti chiamo ti preoccupi perché ti ho chiamato…non la faccio mai giusta con te!» – ribatté lei simulando una voce risentita.
«Ma no…sono felice di sentirti, ma è vero che a quest’ora non mi chiami mai, è naturale che mi preoccupi.» – rispose il padre ridacchiando.
«Non girare il coltello nella piaga. Lo so che non mi faccio sentire spesso, ma in questo periodo la situazione al lavoro è veramente convulsa. Sono impegnata molto con le terapie dei ragazzi, a volte arrivo a casa distrutta, sento il bisogno di spegnere letteralmente il cervello. Prova empatia per me e non farmi provare il rimorso di non chiamarti se non quando mi succede qualcosa, non c’è bisogno che aumenti i miei sensi di colpa!» – commentò dispiaciuta la figlia.
«Va bene, farò finta di credere ai tuoi sensi di colpa e non farò alcun commento sul fatto che mi chiami di rado. Scherzi a parte, lo capisco benissimo che stai attraversando un momento impegnativo della tua vita. Questi sono gli anni in cui si mettono le basi per il futuro e si lavora per raccogliere le soddisfazioni che verranno, e tu hai dovuto sopportare così tante situazioni difficili per essere assunta lì dentro, vorrei aggiungere in quel covo di serpi, ma non lo farò per non farti irritare di prima mattina. L’importante è che hai cura di te, a me basta questo per essere sereno anche se non dovessi sentirti ogni giorno.» – la tranquillizzò il padre, non riuscendo a celare completamente un po’ di preoccupazione nella voce.
«Grazie Papy…sei sempre il migliore…e comunque hai ragione…è un covo di serpi, ma accidenti che tecnologia all’avanguardia che ho a disposizione…dobbiamo cenare insieme al più presto, ho tante cose da raccontarti.» – gli rispose lei euforica.
«Bene tesoro, non vedo l’ora! Adesso basta perdere tempo però, devo prepararmi per la gita di oggi e tu devi sbrigarti ad andare al lavoro. «le ricordò lui con una certa fretta nella voce.
«Vai in gita con i tuoi studenti? Dove li porti di bello? «gli chiese incuriosita.
«Porto i ragazzi del quinto anno a visitare i fori imperiali ed il Palatino.» – le rispose orgogliosamente.
«No papà! Non dirmi che anche quest’anno torturerai i futuri maturandi con la gita ai fori in cui parlerai solo in latino? Ti avverto, se un giorno subirai ripercussioni fisiche per colpa di questa tua abitudine, io testimonierò per far scagionare gli accusati. Affermerò che il Professor Cesare Bianchi utilizzava il suo mandato di professore di greco e latino come strumento di tortura. «disse Giulia in tono esasperato.
Era sinceramente indispettita per la sventura che sarebbe toccata a quei poveri ragazzi a causa dell’esaltazione del padre per la cultura classica anzi precisamente per l’impero romano.
«Esagerata! Penso invece che sarà divertente provare a calarsi nella quotidianità di un romano del primo secolo, passeggiando tra quelle rovine e conversando nella lingua parlata duemila anni fa e che ancora resiste al passare del tempo ed al logorarsi del linguaggio… «e dopo una breve pausa sentenziò: «…questo è il nostro retaggio, queste sono le nostre radici!» – e con un sentimento di profondo disappunto continuò: «Non sappiamo apprezzare la bellezza e la grandezza che ci circonda, voi giovani non venite educati nel modo giusto. Ci sono paesi in cui ricordano le loro tradizioni andando in giro con il gonnellino senza mutande, lanciando pali a destra e sinistra, orgogliosi della loro storia e noi che abbiamo portato la civiltà in tutta Europa con le nostre strade, i nostri acquedotti, la nostra legislazione, non riusciamo neanche ad organizzare una corsa con le bighe al Circo Massimo per commemorare le nostre origini e la grandezza dei nostri natali… «fece una pausa per riprendere fiato, aveva ancora tante idee che si sarebbero potute attuare per celebrare gli antichi fasti del mondo Romano.
Giulia approfittò di questa sua necessità fisiologica, anche lui in fondo doveva respirare, per riprendere la parola.
Infatti, sapeva che se non ne avesse approfittato, sarebbe andato avanti ancora per un bel po’ con quella serie di lamentele ed interminabili idee, quindi si affrettò a dire: «Basta, devo salutarti, non posso continuare a sostenere i tuoi deliri. Perché non scrivi al Sindaco di Roma e non proponi i tuoi progetti, invece di vessare i tuoi studenti, rovinandogli l’ultima gita dell’anno? Penso che apprezzerebbero la cosa solo nel caso ti presentassi vestito da Centurione. Allora sì che si divertirebbero! Devi darti pace, sei l’unico che conosco che riesce a sostenere una conversazione in latino, anzi no, mi correggo, tu e il tuo amico del liceo e dell’università, che però è sparito senza dare più sue notizie. Torna in te o prima o poi mi chiederanno di internarti perché ti avranno trovato in mutande a Largo argentina a declamare i versi di Catullo, dentro una botte come Diogene.» - replicò la ragazza senza neanche provare a contenere le sue risate.
«Oh Santi Numi! Come tu abbia potuto prendere la maturità classica è qualcosa che trascende l’umana comprensione. Trovare risposta a questa domanda equivale a svelare i misteri dei buchi neri, uno dei quali evidentemente si è stanziato nel tuo cervello e ha risucchiato tutta la tua conoscenza elementare, visto che accosti il più grande dei poeti latini con un filosofo greco, neanche contemporanei per giunta. Signorina Bianchi lei è irrimediabilmente bocciata, neanche rimandarla a settembre potrebbe salvarla dalla sua ignoranza.» – e scoppiò a ridere anche il professore.
«Pa’, sei il migliore e lo sai che scherzo…anche se davvero questa storia della gita in cui parli solo latino è davvero inquietante e ti sto dando il mio parere da sociologa non da figlia.» - concluse ridendo lei.
«Ed io da impiegato nel mondo dell’insegnamento ti dico che non perdo le speranze e raccoglierò i frutti della mia fatica un giorno, aspetta e vedrai, prima o poi incontrerò qualcuno che saprà apprezzare i miei sforzi.» – si affrettò a ribatterle Cesare con lo stesso tono che si usa per concludere una favola in cui tutti vissero felici e contenti.
Cesare sentì che il tono della voce di sua figlia era sereno e divertito e questo gli confermò che davvero l’aveva chiamato solo per salutarlo e non c’erano problemi in vista.
Lei aveva attraversato molti periodi bui nella sua giovane esistenza e sentirla ridere e scherzare gli trasmetteva un po’ di serenità di cui il cuore di un padre, che si rimproverava di non essere riuscito a proteggere la sua unica figlia dalle tempeste della vita, non era mai sazio.
«Papà adesso devo andare, sto facendo tardi. Volevo dirti che questa sera uscirò con Arianna, non potremo sentirci ma ti manderò un messaggio quando ritornerò a casa, così non sarai in pensiero. «tagliò corto la ragazza.
«Io non capisco perché non torni a vivere con me! Per farmi stare tranquillo devi mandare messaggi e fare chiamate…sarebbe decisamente più pratico e sicuro tornare a stare sotto lo stesso tetto.» – propose il padre.
«Pa’, non cominciare…un bacio! Ci vediamo presto. «e si affrettò a chiudere la telefonata.
Il professore la salutò e sospirando cominciò a prepararsi per uscire anche lui.
Cesare era un uomo di poco sopra la sessantina, alto quanto basta per non sentirsi in difficoltà quando si è in mezzo alla folla per accompagnare la propria figlia ad un concerto di quel gruppo rock di cui lei era fan e del quale lui non avrebbe mai ricordato il nome.
Insegnava latino e greco presso un liceo del centro di Roma a pochi passi dal Colosseo.
Si era laureato in lettere, con la precisa intenzione di voler intraprendere la carriera di insegnate.
Nella sua mente si era sempre immaginato di salire su una cattedra per insegnare ai suoi ragazzi a guardare il mondo da un’altra prospettiva, per far sì che non diventassero delle amebe prive di opinione, ma individui determinati a compiere grandi imprese.
Sapeva che quelli del liceo erano anni turbolenti, in cui un adolescente fa i conti con i cambiamenti del suo corpo, modella le sue opinioni, forgia il suo carattere.
Nella sua mente si era convinto che aiutare un adolescente a gestire tutte queste emozioni e cambiamenti lo avrebbe reso un individuo stabile, sicuro di sé, padrone della sua vita, consapevole di sé stesso.
Molti penserebbero che a questo scopo sia più adatta la figura di uno psicologo che quella di un insegnate di greco e latino, ma il professor Bianchi era di tutt’altro avviso.
Per esperienza personale aveva constatato che per eseguire una traduzione latina c’era bisogno di riflessione, organizzazione e disciplina mentale, l’esercizio di tali facoltà permetteva di acquisire una forma mentis tale da riflettersi poi in ogni aspetto della vita.
Altro elemento fondamentale era il dibattito intorno ai grandi pensatori e filosofi latini, alle leggi del Diritto Romano e alle problematiche storiche dell’Impero Romano.
Secondo Cesare i ragazzi potevano confrontarsi, giudicare o criticare l’amore, la giustizia, la politica, i costumi, senza rischiare di essere giudicati dalla società presente. Il professore, infatti, sfruttando le analogie tra le problematiche del mondo romano e quelle attuali, riusciva a tirare fuori i pensieri dei ragazzi su argomenti di natura universale e a farli esprimere senza creare conflitti o disagi, poiché nella loro mente stavano discutendo di avvenimenti o persone vissute duemila anni prima, senza correre il rischio di essere giudicati.
Il professore era convinto che il mondo greco, ma soprattutto quello latino, in particolare l’impero romano, potessero aiutare i giovani nel loro percorso di crescita a diventare adulti di valore.
Sognava di essere salutato un giorno dai suoi studenti, in piedi sul banco, declamando “O Capitano! Mio Capitano ”(2). Certo lui non era il professor Keating(3), ma cercava di reinterpretarlo a modo suo.
E Cesare ci sapeva davvero fare!