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Capitolo 2.

-Min-jae-

Mentre Yeongi ammirava soddisfatto il nuovo borsello che lui gli aveva appena regalato, si avvicinò a Shinji che in un angolo del negozio di abbigliamento dove si trovavano scorreva accigliato messaggi sul suo telefono.

«Mi allontano un attimo. Ci troviamo tra un'ora davanti al Manga Caffè, ok?» avvisò il suo hyung che non parve particolarmente interessato.

Shinji si limitò ad annuire e lui non si attardò oltre. Voleva comprare un regalo per Seo-jun lontano dagli occhi indiscreti dei suoi amici, quindi si sarebbe aggirato per negozi da solo. Non che ci tenesse a fare le cose in segreto, ma se Yeongi o Juwu fossero venuti a conoscenza del suo interesse per Seo-jun, gli avrebbero dato il tormento intromettendosi sicuramente e lui voleva fare le cose con calma, a modo suo. Non voleva essere troppo impulsivo, l’unica volta che si era comportato in modo impulsivo e avventato era stato con Hana, ma quella con lei era stata tutta una situazione strana, complicata a spiegarsi, quasi mistica. Quell’unica notte passata con Hana era stata un miscuglio di emozioni forti e alchimia, che quasi faceva fatica persino a ricordare. I momenti intensi passati con lei, col tempo erano andati a sfuocarsi e a mischiarsi ai sogni che aveva poi fatto successivamente e spesso quando la pensava non riusciva a dividere la realtà con ciò che aveva fantasticato, o sognato.

Camminando con le mani in tasca e il passo svogliato prese a guardarsi attorno in cerca di un'idea per il regalo che intendeva fare. Non voleva comprare nulla che fosse troppo impegnativo o costoso, doveva essere un oggetto carino e d'effetto che potesse colpire una ragazza del calibro di Seo-jun. Vagò per i negozi per una buona mezz'ora svolazzando da una vetrina a uno scaffale, come una farfalla in cerca di nettare, prima di trovare l'oggetto desiderato e perfetto, una graziosa spilla per capelli. Un fermaglio del genere per una stylist poteva apparire come un oggetto banale, ma lui lo trovava geniale. Seo-jun avrebbe potuto indossare il suo regalo al lavoro senza destare sospetti nelle colleghe e lui vedergliela addosso quando andava al salone. Un oggetto carino e non troppo impegnativo.

Comprato il regalo, decise di tornare dai suoi amici e fischiettando soddisfatto, svoltò l'angolo del corridoio del centro commerciale per raggiungere il Manga Caffè, ma il suo passo rallentò non appena ebbe imboccato la nuova ala dell'edificio.

C'era un gruppetto folto di persone accalcate non molto lontane da lui e altre si stavano avvicinando al gruppo. La piccola folla sembrava preoccupata e il brusio era intenso.

Non volendo ritrovarsi in una situazione che avrebbe potuto attirare l'attenzione su di lui, si calò maggiormente il cappello sulla fronte; aveva mascherina e occhiali, difficilmente lo avrebbero riconosciuto, ma era meglio non rischiare. Portandosi a lato del corridoio affrettò il passo tenendo il capo basso, ma quando si trovò all'altezza della folla non poté astenersi dal lanciare un'occhiata per cercare di capire cosa stesse succedendo.

La curiosità era una ammaliatrice, difficile da ignorare.

Attraverso un piccolo squarcio del gruppo di persone riunite, intravide una sagoma stesa a terra. Qualcuno doveva avere avuto un malore. Un leggero accenno di nausea lo colse. Era particolarmente sensibile a certe situazioni. Fece per distogliere lo sguardo dalla scena, quando un dettaglio attirò la sua attenzione, la mano della persona stesa a terra, sul dorso poggiava un ciondolo appeso a un bracciale; un ciondolo raffigurante la maschera di Pierrot.

Pierrot era una maschera appartenente a un personaggio di una commedia italiana del 1600. Era un oggetto particolare, un oggetto di cui lui non avrebbe mai conosciuto la storia, se non gliene avesse parlato la ragazza che indossava un ciondolo simile, che lui aveva conosciuto, Hana. Lo stomaco gli si attorcigliò, ma lui non rallentò il suo passo. Non poteva essere lei. Non era sicuramente lei.

Mentre si allontanava dalla piccola folla, i ricordi della notte passata con Hana lo assalirono colpendolo come un pugno violento allo stomaco.

Lui che sollevava il polso di Hana, dopo che avevano fatto l'amore e le chiedeva cosa rappresentasse quella piccola maschera appesa al bracciale. Hana, gli aveva risposto che amava la cultura artistica dell’Italia, poi gli aveva raccontato la storia del pagliaccio triste.

Un nodo di commozione gli serrò la gola e lui si bloccò di colpo, rischiando di farsi investire da una coppia che gli camminava dietro. Non poteva proseguire senza accertarsi che non fosse Hana quella donna stesa a terra!

Fece dietro-front velocemente e mentre il cuore prendeva a battere ad un ritmo più accelerato, si avvicinò alla folla augurandosi di non essere riconosciuto. Mentre si avvicinava sentì una voce femminile dire che la ragazza in questione era caduta a terra all'improvviso e che i soccorsi stavano arrivando.

Cercando di non attirare l'attenzione si intrufolò tra i passanti riuniti. C'era un bambino che piangeva disperato chiamando forte la sua mamma, la cui voce sovrastava tutte quelle dei presenti. Prendendo un grosso respiro si avventurò più avanti borbottando scuse a coloro che spintonava. Era un ragazzo alto, molto più alto della media e non gli servì superare tutta la folla per vedere il volto della ragazza svenuta.

Il cuore gli mancò un battito e il respiro gli si mozzò in petto… era Hana! Era davvero Hana. Aveva i capelli molto più lunghi di come la ricordava, ai tempi della loro notte passata assieme, lei sfoggiava un caschetto corto mosso di lucenti capelli neri, ma ora gli stessi erano lunghi fino alle spalle.

Sgranò gli occhi mentre un lungo brivido lo percorreva e il suo corpo si rifiutava di muoversi.

Hana era assistita da un uomo che pareva saper il fatto suo, in fatto di primo soccorso. Il tizio le aveva sollevato la testa ponendole sotto alla stessa una giacca, e le teneva controllato il battito cardiaco trattenendole un polso e controllandone il ritmo sull’orologio che questi aveva. Il viso di lei era mortalmente cadaverico e immobile, pareva quasi non respirare.

«Mamma, mamma.» Di nuovo l'urlo della bambina si sollevò sulle voci dei presenti attirando la sua attenzione e lui ne cercò il viso, riscuotendosi.

Due donne erano inginocchiate a terra e cercavano di tranquillizzare una bambina vestita con un graziosissimo vestitino azzurro. Proprio mentre la stava guardando la piccola riuscì a divincolarsi dalle braccia che la trattenevano voltata e si girò mostrando il suo viso stravolto rigato di lacrime.

«Mamma!» urlò ancora la bimba allungando la mano e il braccio verso Hana.

Il suo capo scattò all'indietro all’istante quando vide la scena, mentre una fitta dolorosa gli opprimeva il petto e il suo corpo si irrigidiva.

Non poteva essere! Non era vero!

Quella bambina era sicuramente la figlia di Hana e assomigliava a lui come una goccia d'acqua. Non gli ci volle più di un istante a comprendere che quella bambina era sua figlia e lo shock lo paralizzò. La bambina era identica alle foto che aveva di sé stesso di quando era piccolo, foto che sua mamma gli aveva mostrato milioni di volte. L'età corrispondeva quasi sicuramente. Non era un esperto di bambini, ma era evidente che quella bambina poteva avere tranquillamente quattro anni e lui aveva conosciuto Hana poco dopo il suo debutto.

La folla attorno a lui prese a muoversi e alcuni paramedici si fecero largo fino ad arrivare a Hana. Cercando di allontanare la confusione tentò di ascoltare cosa i medici stavano dicendo all'uomo che l'aveva soccorsa. Dicevano che era incosciente, che i suoi parametri erano deboli e lui si sentì quasi cedere le ginocchia, non riusciva a formulare un pensiero concreto, era nella più completa confusione.

«Qualcuno conosce questa donna?» La voce del paramedico si intrufolò nel suo stato confusionale. «Avete visto cosa le è successo? Qualcuno la conosce?»

Davanti a quelle domande, il suo braccio scattò come dotato di volontà propria, alzandosi in aria. Non poteva far finta di nulla. Non poteva andarsene e ignorare quello che aveva appena scoperto e Hana.

«Io.» La sua voce gli parve provenire da lontano, come se non fosse lui stesso a parlare.

Le persone attorno a lui si allontanarono facendogli largo attorno e il paramedico più giovane lo guardò.

«Conosce questa donna? O ha visto cosa le è capitato?» gli domandò.

«La conosco» riuscì solo a dire annuendo con il capo.

«Può seguirci in ospedale e occuparsi della bambina?» domandò allora questi.

Il suo corpo prese a tremare dall'interno e lui si augurò che nessuno se ne accorgesse.

Spostò lo sguardo sulla bambina che ora lo stava guardando. Quando incontrò quegli occhi rossi e colmi di lacrime fu come se una voragine si aprisse sotto i suoi piedi. Si sentì barcollare e forse barcollò davvero.

«Signore si sente bene?» La voce del paramedico uscì urgente e dura.

«Sì» bisbigliò lui, ma in realtà non si sentiva affatto bene.

«Allora?» lo esortò l'uomo mentre un nuovo collega appena giunto, aiutava il primo a caricare Hana sulla barella.

Lui posò lo sguardo sul bellissimo viso cinereo di Hana, poi annuì con più forza. «Sì, d'accordo» disse con fare più sicuro domandando. «Dove la portate?»

Il paramedico gli indicò l'ospedale e lui registrò vagamente l’informazione. Lo stavano osservando tutti e la piccola aveva ripreso a piangere. Cosa doveva fare?

Cercò di muoversi, ma i suoi piedi parevano incollati al pavimento. Chiuse gli occhi respirando profondamente, poi facendosi forza e coraggio, ignorando la sua mente che gli ordinava di andarsene, tornò ad aprire gli occhi e si avviò verso la bambina.

Quando l'avvicinò la piccola si ritrasse spaventata e le due donne lo guardarono con sospetto. Doveva togliersi occhiali e mascherina se non voleva spaventarla, ma così avrebbe rischiato di essere riconosciuto. Come poteva fare?

Si guardò velocemente attorno, la folla era composta da quasi tutti adulti, poteva sperare che nessuno sapesse chi era.

Pregando la sua buona sorte, si inginocchiò e tolse la mascherina, poi gli occhiali, guardando alla bambina, evitando gli sguardi delle due donne.

«Ciao» le disse sorridendo cercando di imprimere nella voce dolcezza e una sicurezza che era ben lungi dal provare. Si stava per sentire male davvero. Aveva la nausea e gli girava la testa. Quel piccolo volto innocente, era così simile al suo, che temeva che chiunque lì attorno se ne sarebbe accorto.

«La tua mamma, Hana, è amica di mio fratello e io l'ho conosciuta tempo fa, prima che tu nascessi» disse alla bambina con tono caldo.

Era una mezza bugia e sperava che lei gli credesse e lo capisse, seguendolo senza mettersi a urlare.

Non appena lui le parlò grossi goccioloni di lacrime scesero dagli occhi della piccola, scendendo sulle guance già bagnate, e il suo primo istinto fu di catturare con le dita quelle lacrime. Quel sentimento lo sconvolse facendogli venire una nuova vertigine. Gli stavano scoppiando il cuore e la testa. Era terrorizzato e preoccupato per Hana, e per sé stesso, ma era anche un idol e come idol, gli era stato insegnato a non mostrare quello che lo tormentava dentro, perciò sorrise con più dolcezza e la bimba smise di singhiozzare.

«Se vieni con me, andremo dalla tua mamma e ci assicureremo assieme che stia bene e torni da te subito. Che ne dici?» le propose porgendole la mano.

«Davvero conosce quella donna?» domandò all'improvviso una delle due signore, quella che teneva la vita della bambina serrata tra le mani.

Lui annuì senza guardarla. «Si chiama Hana, Park Hana. Oltre ad essere sorella di un mio vecchio amico, frequentavamo lo stesso ateneo» rispose con fare talmente sicuro e suadente che stupì persino sé stesso. «Purtroppo ci siamo persi di vista da anni, ma mi assicurerò di avvisare la sua famiglia e di portare la bambina in ospedale perché la vengano a recuperare.» Non lasciò gli occhi della piccola nemmeno per un istante mentre parlava. Doveva sbrigarsi a convincerla a seguirlo e allontanarsi alla svelta da quel posto affollato. «Che ne dici piccola, andiamo dalla tua mamma? Ti prometto che la faremo stare meglio presto.»

Ti prego. La implorò mentalmente. Ti prego vieni con me.

Shinji e gli altri sarebbero potuti arrivare da un momento all'altro e sarebbe stato un disastro se lo avessero visto in quella situazione. Cercò di mantenere ferma la mano che teneva tesa verso la bambina, ma era un'impresa titanica, stava davvero tremando ora.

Come si convinceva una bimba terrorizzata di quattro anni a fidarsi?

Stava per implorarla davvero, quando all'improvviso la piccola allungò la sua mano e chiuse con titubanza le sue piccole dita attorno alle sue.

Una nuova ondata di emozioni lo travolsero a quel contatto.

Sua figlia lo aveva appena preso per mano! Era sua figlia, non aveva dubbi, quella bambina era sua figlia!

Cosa doveva fare? Doveva prenderla in braccio? Si sarebbe fatta sollevare? O avrebbe pianto e si sarebbe divincolata?

Con il cuore in gola decise di tentare, poi lasciandole la mano le passò le mani sui fianchi e la sollevò alzandosi a sua volta.

«Andiamo dalla tua mamma» le disse poi con voce rotta. Non pesava nulla, era leggera come una piuma.

A discapito dei suoi pensieri negativi, la bimba non protestò, rimanendo immobile mentre lui la tratteneva contro di sé, tornando a indossare gli occhiali da sole.

Senza che se ne fosse nemmeno accorto i medici avevano già portato via Hana. Il pensiero di lei gli procurò una nuova fitta di panico. Cosa le era accaduto? Sarebbe stata bene?

«Mamma.» La piccola pronunciò la parola con voce sottile e addolorata e lui d'istinto le poggiò la mano sulla testa. Di contro lei poggiò il viso sulla sua spalla, provocandogli delle nuove inaspettate sensazioni sconvolgenti.

«Andrà tutto bene» le sussurrò avviandosi a testa bassa verso l’uscita. «Andrà tutto bene, vedrai.»

Il telefono prese a squillare poco dopo che fu salito sul taxi. Guardò allo schermo, era Shinji, valutò di ignorarne le chiamate e lo fece anche, ma alla terza consecutiva rispose. «Pronto.»

«Dove sei?» chiese Shinji non appena udì la sua voce.

Lui deglutì pesantemente prima di rispondere. «Ho dovuto lasciare il centro commerciale. Starò via per un po', voi tornate al dormitorio» rispose cercando di sembrare calmo.

«Cosa?» Shinji parve irritato. «Cosa significa? Dove sei?»

Lui scosse il capo. Non poteva dirgli nulla. «Ci sentiamo più tardi, ok? Scusate.» Richiuse la chiamata e silenziò l'apparecchio, lanciando poi uno sguardo alla piccola accanto a lui. Si era addormentata. Teneva la bocca aperta, il suo visino era gonfio e ancora umido. Passandosi una mano tra i capelli agitato, prese un grosso respiro. Non sapeva cosa fare, tranne portare la bimba in ospedale e sperare che Hana si fosse risvegliata nel frattempo e stesse bene.

Perché non lo aveva cercato?

Era una domanda che gli stava martellando in testa in loop, facendogliela dolere. Era vero, non stavano assieme, non si frequentavano nemmeno, avevano solo passato assieme una notte di piacere reciproco e passione, ma perché lei non lo aveva cercato quando aveva saputo di essere incinta?

Il suo corpo riprese a tremare dalla tensione e dalle emozioni che lo travolgevano ancora.

Hana sapeva chi era. Sapeva che aveva appena debuttato; anche se non le aveva lasciato il numero di telefono avrebbe potuto rintracciarlo cercandolo in agenzia. Che avesse tentato di contattarlo, ma non ci fosse riuscita?

Una nuova ondata di nausea lo colse.

Lui non era quel tipo di uomo che si sarebbe tirato indietro davanti a una simile responsabilità. Lo stava decisamente stabilizzando l'idea di avere una figlia, era sotto shock, ma non si sarebbe mai tirato indietro.

Hana aveva pensato che lui fosse quel tipo di persona?

Indeciso se piangere o arrabbiarsi, si conficcò le unghie delle dita nei palmi delle mani, per tentare di controllarsi. Cosa doveva fare ora?

Il taxi arrivò in ospedale e quando lui svegliò la piccola questa tornò a piangere facendo sanguinare il suo cuore. Per fortuna non si ribellò quando tornò a prenderla in braccio. Doveva essere terrorizzata e stanca.

Alla reception gli domandarono se era il tutore della ragazza ricoverata e nuovamente lui accettò di esporsi. Non sapeva quasi nulla di Hana. Non sapeva dove lavorava, non sapeva se aveva parenti o amici stretti a Seoul. Cos'altro poteva fare se non rimanere lì con lei e la bambina dopo aver saputo inoltre che Hana era la madre di sua figlia? Non aveva dubitato di quel fatto nemmeno per un secondo, ci avrebbe messo la mano sul fuoco che quella bambina fosse sua, non era solo la somiglianza a dirglielo, ma anche le emozioni che provava.

Dopo aver compilato alcuni moduli, lo fecero accomodare in una sala d'attesa e lui mise la piccola stesa su due seggiole. Lei tornò a riaddormentarsi e lui prese a passeggiare nervosamente nella stanza attendendo che qualcuno gli desse qualche notizia. Dopo circa una mezz'ora dal suo arrivo un'infermiera gli consegnò la borsa di Hana, ma ancora non gli diede notizie sul suo stato di salute. Rimasto solo lui cercò nella borsa il telefono di Hana. Non voleva invaderne la privacy, ma doveva cercare di scoprire se c'era qualcuno nella sua vita che avrebbe dovuto essere contattato in quel momento. Magari era sposata, o fidanzata.

A quel pensiero si bloccò con il telefono in mano e si volse a guardare la bambina che dormiva profondamente. Un fiotto di bile amara, accompagnato da un motto di rabbia lo assalirono al pensiero che poteva esserci un uomo nella sua vita che le stava facendo da padre al posto suo. Lui si considerava fondamentalmente ancora un immaturo, era vero. Non aveva mai lontanamente pensato al matrimonio o a un figlio ancora, ma per lui la famiglia era qualcosa di sacro. Era cresciuto circondato da amore e valori e anche se era terrorizzato, e lo sarebbe stato anche cinque anni prima, se Hana gli avesse detto di essere incinta, lui sarebbe stato accanto a entrambe a costo di rischiare la carriera.

Il pensiero del suo gruppo tornò a mozzargli il respiro in petto.

Come avrebbe affrontato la cosa con i membri e l'agenzia?

Tornando a scuotere il capo cercò di farsi forza. Non doveva arrovellarsi con quei pensieri negativi. Tutto era fin troppo difficile da assimilare e valutare in quel momento, doveva agire con calma e cautela. Poteva anche esserci la possibilità che Hana lo odiasse e non lo volesse nella vita della piccola. A quel pensiero prese un grosso respiro doloroso, non doveva pensarci, non voleva nemmeno valutare una simile opzione.

Premette il pulsante di riavvio del cellulare, ma purtroppo lo trovò bloccato da un codice. Non poteva accedere alla rubrica o ai messaggi, doveva solo augurarsi che qualcuno chiamasse Hana. Il telefono era carico e avrebbe retto ancora diverse ore, se qualcuno l’avesse chiamata lui avrebbe risposto al suo posto e chiesto informazioni.

La bambina si lamentò nel sonno, allora la raggiunse, per assicurarsi che non si dimenasse e cadesse dalle sedie. Si sedette accanto a lei con il cellulare di Hana tra le mani fissandone il piccolo volto. Non aveva alcuna dimestichezza con i bambini. La sua esperienza in merito si limitava a qualche ora passata con qualche cugino o figlio di amici, nulla di più. Non sapeva assolutamente come trattare un bambino così piccolo.

La porta della saletta si aprì e lui sollevò lo sguardo. Aveva rimesso mascherina e occhiali prima di uscire dal centro commerciale e non se li era ancora tolti.

La donna che entrò aveva un camice bianco e lui si alzò speranzoso. «Buongiorno» lo salutò con un cenno guardando alla bambina.

«Buongiorno. Ha notizie della signorina Park?» chiese con il battito del cuore accelerato.

La dottoressa pareva giovane, sulla trentina, molto bella, teneva le mani in tasca e aveva un'espressione tesa e seria.

«No, ancora no. Le stanno facendo diversi esami di accertamento per comprendere la natura del suo stato d'incoscienza» rispose la donna continuando a fissare la bambina.

Lui si mosse agitato a disagio, spostando il peso del corpo da un piede all'altro. La dottoressa sembrava sospettosa.

«Mi hanno detto che lei è il tutore della signorina Park, è vero?» domandò lei guardandolo.

Annuì solo.

«In che rapporti è con la paziente?» tornò a domandare la donna e lui cercò di non irrigidirsi.

«Conoscevo la signorina Park tempo fa, ero sul posto del malore per caso e ho pensato di prestarle aiuto» rispose sinceramente.

Il viso della donna era impassibile, non mostrava nulla, poi questa riportò lo sguardo sulla figlia di Hana dicendo: «Come sta la piccola? Come sta Min-young? Immagino si sia molto spaventata.»

Min-young… Il suo cuore mancò un battito. Era così che si chiamava la bambina? Lui non glielo aveva nemmeno chiesto!

Annuì con un suono di gola incapace di dire altro, di nuovo in preda alle emozioni. Min-young, un nome simile al suo.

«Appena avremo notizie la contatteremo. Se dovesse avere qualche necessità legata a Min-young mi faccia chiamare. Sono la dottoressa Woo Jung-ah, mi trova nel reparto di fisioterapia.»

Lui tornò ad annuire ringraziando la donna con un cenno, ma mentre questa stava per congedarsi un particolare attirò la sua attenzione e lui la fermò.

«Dottoressa Woo lei conosce Hana?» La donna aveva chiamato Min-young per nome, quindi doveva conoscerle entrambe.

La donna annuì. «Sì, ci conosciamo.»

Un barlume di speranza illuminò il buio in cui era sprofondato. «Per caso sa dirmi come posso contattare i suoi parenti più prossimi?»

Davanti alla sua domanda la dottoressa si corrucciò. «Mi può ripetere per favore in che rapporti è con la signorina Hana?» rispose di rimando lei e lui non riuscì a non irrigidirsi.

«Io e Hana frequentavamo lo stesso ateneo. Come le ho detto mi trovavo nel centro commerciale e passavo per puro caso davanti a dove Hana si è sentita male e l'ho riconosciuta. Non eravamo in un rapporto di amicizia stretto, quindi non conosco la sua famiglia.»

«Non ce l'ha.» Lo interruppe secca la donna. «Hana non ha una famiglia, a parte Min-young.» La dottoressa lo fissò a quel punto con durezza. «Posso lasciarle in sicurezza la bambina, o devo far venire qualcuno che si occupi di lei? Potrei chiamare un assistente sociale.»

A quelle parole lui tornò a rabbrividire e rispose lesto. «No, resterò io con lei fino a che Hana non si riprenderà.»

La donna non parve del tutto convinta, ma infine annuì. «Le farò sapere non appena avrò notizie» tornò a dire prima di avviarsi.

«Grazie» le bisbigliò allora lui.

Una volta rimasto solo prese un nuovo grosso respiro e si diresse alla finestra.

Stava facendo buio. Doveva avvisare la dirigenza che non sarebbe riuscito a presenziare alla diretta in radio quella sera, ma non sapeva come rabbonirli. Quale scusa poteva trovare per non finire nei guai?

Sentendosi nuovamente cogliere dalla disperazione più totale tolse il cellulare dalla tasca dei pantaloni. C'erano decine e decine di chiamate e messaggi dei suoi compagni.

Mentre un groppo gli bloccava la gola premette il dito sul nome in rubrica di Shinji, facendo partire una chiamata all'amico.

«Min-jae, ma dove sei?» rispose Shinji al secondo squillo.

«Hyung…» Non lo chiamava mai così, erano praticamente coetanei, ma in quel momento aveva bisogno di Shinji come leader e gli venne spontaneo rivolgersi a lui a quel modo. Cercò le parole senza trovarle e si zittì.

«Min-jae stai bene?»

La sua voce doveva essere apparsa davvero disperata perché il suo amico mutò il tono seccato in uno preoccupato mentre gli domandava se stesse bene.

«Hyung…» Tornò a dire lui cercando di tener salda la voce e a freno il tormento che provava. «Ho bisogno che mi copri stasera in radio e con i manager.»

Ci fu un attimo di silenzio poi Shinji ripeté. «Min-jae stai bene? Dove sei?»

Lui annuì con un suono di gola anche se non stava bene affatto. «Ti spiegherò tutto appena posso, te lo prometto, ma ho bisogno di te ora. Ti prego.» Sapeva di averlo messo in allarme ora, ma non poteva raccontargli cos'era accaduto.

«Min-jae non fare così, ora mi sto preoccupando seriamente. Dimmi dove sei?» implorò quasi Shinji.

«Sto bene… Fisicamente sto bene. Non mi è successo nulla. Devo risolvere un problema di un amico, è una cosa importante, ti prego aiutami questa volta e ti ricambierò, promesso» rispose lui accorato.

«Certo che ti aiuto, ma sono preoccupato. Voglio aiutarti Min-jae. Posso fare qualcosa per te?» rispose Shinji sicuro.

L’accondiscendenza del suo hyung gli fece salire le lacrime agli occhi. Sentiva dall'altro lato del telefono in sottofondo la voce allarmata di Yeongi che domandava ansioso cosa stesse succedendo e quella ancora più tesa di Ki-soo.

«Solo questo ora. Cerca di coprirmi, ok?» rispose lui con voce quasi rotta.

«Va bene» acconsentì Shinji. «Ma non sparire. Tienimi aggiornato. Voglio sentirti ogni ora, d'accordo?»

Apprezzava con tutto il cuore che Shinji lo stesse comprendo e appoggiando in quel momento, senza che gli desse spiegazioni. L'aveva sottovalutato come leader, ma era un degno successore di Eun-ho, anche Eun-ho si sarebbe comportato allo stesso modo. Il pensiero del suo leader lontano lo fece sprofondare maggiormente nella tristezza. Voleva sentirlo. Voleva raccontargli ogni cosa e avere la sua opinione.

«Va bene.» Acconsentì. «Ora devo andare. Grazie hyung.»

«Ogni ora Min-jae» rimarcò duro Shinji prima che lui chiudesse la comunicazione.

Una volta terminata la chiamata, aprì la chat con Eun-ho e scrisse un messaggio di getto.

- Vorrei davvero sentirti. Chiamami appena puoi. Ho bisogno di te, hyung. -

Non poteva chiamarlo, l'amico in caserma non aveva sempre il telefono con sé.

Un lieve lamento lo fece voltare quasi di scatto.

Per un momento si era scordato della bambina.

«Min-young.» Lasciò ricadere pesantemente il braccio nella quale mano tratteneva il telefono.

Non poteva essere una coincidenza quel nome.

Hana voleva ricordarsi di lui e di quello che c'era stato tra loro.

La dottoressa aveva detto che lei non aveva una famiglia. Cosa aveva inteso dire?

Sentendosi all'improvviso mortalmente stanco si avviò alle sedie togliendo mascherina e occhiali, poi si sedette poggiando la testa al muro.

Dopo poco, Min-young tornò a lamentarsi nel sonno e lui sollevò una mano accarezzandole piano i capelli. Non voleva svegliarla, più avrebbe dormito meglio sarebbe stato per entrambi.

Le luci di emergenza della stanza si accesero creando una strana luce calda nella camera, mischiandosi al riverbero del rosso del tramonto.

Perché i dottori ci mettevano tanto? Cos'era successo a Hana?

Mentre la stanchezza mentale minacciava di sopraffarlo, lui tornò a ricordare il periodo in cui l'aveva conosciuta. Hana era stata una di quelle persone che lui aveva creduto destinata a incrociare il suo cammino. La prima volta che ricordava di averla vista era stato quando si era fermato a bere qualcosa di fresco a un tavolino di un bar vicino al loro ateneo. La prima cosa che lo aveva colpito di lei era stata la sua risata, fresca e argentina. Ricordava di aver cercato con lo sguardo la proprietaria di quella risata coinvolgente e di aver incontrato fugacemente lo sguardo di Hana, seduta non molto distante da lui ad un tavolo con delle amiche. Naturalmente lui aveva distolto velocemente lo sguardo, un po' per non essere inopportuno, e un po' per non rischiare di essere riconosciuto. Avevano debuttato da poco con il gruppo, non erano ancora di certo famosi, ma era comunque meglio non rischiare. Si era messo poi gli occhiali da sole e dopo un po' era tornato a cercarla con lo sguardo. Hana aveva un viso tondeggiante con un naso leggermente largo alla base, ma dritto e proporzionato. Le sue labbra erano davvero seducenti, era bella nel complesso e la seconda cosa che lo aveva attratto di più di lei erano stati i suoi occhi. Gli occhi di Hana parevano due stelle e non era solo una metafora smielata la sua, gli occhi di lei brillavano come dotati di luce propria ed erano ridenti e furbi. Mentre la stava guardando per la seconda volta Hana si era nuovamente spostata con lo sguardo su di lui e nonostante lui avesse gli occhiali da sole, entrambi erano stati consapevoli di essere stati colti a guardarsi. Hana allora gli aveva sorriso, di un sorriso divertito e lui non era riuscito a impedirsi di risponderle. Un attimo dopo era arrivata la macchina della manager Yoona e lui era dovuto andarsene.

Aveva creduto che non l'avrebbe più rivista e invece l'aveva rincontrata dopo un paio di settimane, sulla metro. Com'era capitato fuori dal locale, lui ne aveva riconosciuto la risata e l'aveva cercata tra la folla del vagone. Hana stava parlando al telefono davanti a una delle porte del treno. Lei aveva portato parte del caschetto di capelli dietro all'orecchio sul quale era appoggiato l'apparecchio e lui aveva potuto ammirarne il profilo e la figura in tranquillità per lungo tempo. Sembrava rilassata e serena e guardarla era stato davvero piacevole. Aveva avuto intenzione di avvicinarla una volta che lei avesse interrotto la chiamata, ma era scesa prima che la conversazione finisse. Allora lui ne aveva seguito il movimento discendente dal vagone e proprio quando lei si trovava sulla banchina si era voltata guardandosi indietro. Era stato in quel momento che i loro sguardi si erano catturati. Hana si era sorpresa nel riconoscerlo poi gli aveva sorriso di nuovo e la metro era ripartita mentre lui la ricambiava.

Dopodiché la sua vita era diventata all'improvviso frenetica e lui non era più riuscito a frequentare gli studi in presenza, concentrandosi solo sulla sua carriera. Erano passati tre mesi prima che tornasse all’università e alla lezione di letteratura quel giorno, si era ritrovato proprio Hana come assistente del relazionante. Non era riuscito a non lanciarle occhiate fugaci per tutto il tempo dell’ora seguente e lei lo aveva ricambiato, ma come era successo le altre due volte che si erano visti, si erano separati senza riuscire a parlarsi.

Non era la prima volta che gli capitava di notare spesso una persona con cui al fine non riuscisse ad avere un incontro o una conoscenza approfondita, e in altre occasioni la cosa non gli sarebbe pesata, ma lei lo aveva davvero colpito e dopo quel terzo incontro aveva davvero desiderato conoscerla. Passato quel momento però in cui la pensava costantemente, si era imposto di non farla diventare un’ossessione, ma come se davvero il destino volesse farli incontrare, i loro incontri casuali erano continuati per mesi. Era capitato quando era in macchina con i membri e lei aveva attraversato la strada davanti alla loro auto. C'era stata la volta in cui l'aveva vista dalla finestra dell'università in strada e quella volta che era in metropolitana con il manager Choi. Tutte, o quasi, occasioni in cui alla fine si era ritrovato a pensare che avrebbe voluto avere l'occasione di rincontrarla e parlarle, fino a che non era arrivata quella fatidica sera. I suoi compagni di corso avevano organizzato una cena a cui era stato invitato, e lui aveva deciso di accettare ed era lì che si era ritrovato seduto proprio accanto ad Hana. I primi momenti di quella cena erano stati davvero molto imbarazzanti, fino a che nel guardarsi entrambi nello stesso momento, non erano scoppiati a ridere e si erano ufficialmente presentati. Da quel preciso attimo, tutta la notte passata con lei, era avvolta nelle sue memorie da una sorta di alone sfuocato che rendeva i suoi ricordi confusi. Nessuno di loro due aveva bevuto così tanto alcol, da non essere entrambi consapevoli di ciò che stavano facendo davvero, lui non era stato ubriaco, ma era stata tutta la situazione e le emozioni provate, che lo avevano confuso e inebriato. Ricordava quando il dito mignolo della sua mano destra aveva sfiorato accidentalmente quello di Hana. Ricordava che lei non si era allontanata, e da quel momento era iniziato tra loro come un eccitante gioco di lievi carezze e gesti che gli aveva letteralmente fatto perdere la testa. Hana si era rivelata davvero brillante e spiritosa come se l’era immaginata. Avevano riso e scherzato tutta la sera, fino a che non si erano ritrovati soli davanti al locale che stava chiudendo. Lui a quel punto le aveva chiesto che direzione avrebbe preso per andare a casa, per cercare poi un pretesto per accompagnarla e Hana gli aveva chiesto se davvero volesse finire a quel modo quella serata. Ricordava che gli occhi di lei brillavano come non mai mentre glielo domandava. Davanti a quella sfacciataggine lui aveva scosso la testa sorridendo colpevole, perché non voleva che la serata finisse. Avevano così finito per passeggiare per ore, parlando delle cose più disparate, giocando sulle giostre dei bambini e facendosi scherzi fino a che lui non l'aveva baciata, spinto da un'urgenza che gli aveva davvero cancellato ogni pensiero ragionevole e coerente dalla mente.

Come si fosse ritrovato nell'appartamento di lei, non lo ricordava davvero.

Ricordava solo Hana, le mani di Hana, le sue labbra, il suo respiro; quel sorriso e quegli occhi che aveva sognato poi ancora e ancora per tanti anni dopo quella notte. Era stata la prima ragazza con cui aveva fatto l'amore, era stato incosciente, lo erano stati entrambi e Min-young ne era la riprova. Non aveva ragionato, era stato un maledetto cretino e al mattino tutto era apparso strano e imbarazzante al suo risveglio. Ricordava di aver pensato che non sarebbe dovuta andare così, mentre usciva dalla casa di Hana senza prometterle nulla, senza lasciarle un recapito, ma nemmeno lei aveva fatto promesse o speso parole al riguardo, quindi alla fine se n’era andato, e basta. Aveva pensato a lei tutto il giorno, dicendosi che non era finita e che l'avrebbe rivista, ma il giorno dopo si era ritrovato con un programma fitto e quello dopo, ancora. I giorni erano poi trascorsi senza che se ne rendesse davvero conto e non aveva più rivisto né sentito Hana. Aveva valutato in diverse occasioni di cercare di contattarla tramite l'amica che l'aveva portata alla cena quella sera che l’aveva conosciuta, una sua compagna di corso, o di andare sotto casa sua, ma alla fine non lo aveva mai fatto.

Perché?

Non lo sapeva nemmeno lui.

Si sentiva forse in colpa per essersene andato così, dopo quello che era successo? Davvero non lo sapeva.

La porta della sala tornò ad aprirsi e lui si accorse all’improvviso che era scesa la notte. Quanto tempo era rimasto in quella sala a pensare ad Hana?

La dottoressa Woo entrò con fare serio e lui si alzò, ma prima che lo raggiungesse la donna si fermò, guardò a Min-young, poi a lui di nuovo, ricordandogli all’improvviso di essersi tolto la mascherina. Si irrigidì e Min-young scelse proprio quel momento per svegliarsi.

«Mamma» borbottò la piccola sollevandosi.

«Ciao Min-young.» La dottoressa Woo si rivolse alla bimba avvicinandola e Min-young la riconobbe facendole un mezzo sorriso.

«Come stai?» La donna si accovacciò davanti alla bambina che prese a stropicciarsi gli occhi.

«Come sta la mamma, dov'è?» domandò Min-young.

«La mamma ora sta dormendo molto profondamente piccola perché è stanca. Che ne dici di andare a prendere un po' di latte ora, con una infermiera carina e poi andremo a vedere la mamma che dorme?» propose la dottoressa in risposta.

Il suo cuore prese a battere furioso.

Hana non si era ancora ripresa allora.

Le due parlottarono un po' e la donna riuscì a convincere Min-young, che seguì la dottoressa fuori dalla stanza. Rimasto solo lui valutò di tornare a coprirsi il viso, ma la dottoressa tornò velocemente, prima che lo facesse.

«Hana al momento è in coma» disse la donna non appena fu tornata.

Quella rivelazione lo colpì brutalmente e lui si sentì venir meno, barcollando leggermente.

La risata di Hana e i suoi occhi brillanti tornarono vividi nella sua mente.

«Le è stata trovata una cisti di notevoli dimensioni alla base del cervelletto che premendo sull'ipotalamo le ha provocato lo stato di coma» comunicò la dottoressa con distaccata professionalità.

Un forte capogiro minacciò di farlo davvero cadere in ginocchio facendolo arretrare fino alla sedia e lui si lasciò cadere sulla stessa, fissando con orrore la donna. «Si salverà?» domandò poi.

«Può darsi» rispose la dottoressa mostrando finalmente un leggero segno di compassione ed empatia. «Deve subire un'operazione costosa che sono sicura lei non può permettersi. Farò di tutto per aiutarla, ma non so con quali tempistiche…»

«Pagherò io» la interruppe lui scattando in piedi. «Pagherò io, non importa il costo.» Non aveva molti soldi, ma avrebbe domandato un prestito se fosse stato necessario.

La donna rimase in silenzio per un lungo momento, poi disse: «Sei il padre di Min-young vero?» passò ad un tono più confidenziale e anche l’espressione di lei mutò.

Fu un duro colpo sentirselo dire in faccia. Tanto duro che quasi temette di svenire.

«Non preoccuparti, non tutti possiedono la mia capacità di fisionomista, non sarà così evidente per gli altri» cercò di rassicurarlo lei.

Sentendosi un groppo alla gola soffocante, pensò di negare, ma aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse in tutta quella faccenda e la dottoressa conosceva Hana, quindi decise di fidarsi. «Non lo sapevo. L'ho vista oggi per la prima volta, io e Hana non ci siamo più visti dopo che successe…» Le parole gli morirono in gola e gli occhi della donna di fecero più teneri mentre lei gli diceva: «Siediti o ti sentirai male davvero.» Gli indicò poi la sedia e lui si lasciò nuovamente cadere sulla stessa.

La dottoressa gli si sedette accanto sempre tenendo le mani nelle tasche del camice. «Hana potrebbe non salvarsi dall'operazione, ma ci sono anche possibilità che tutto vada per il meglio e che lei si riprenda alla svelta.»

«Mio Dio» sussurrò lui prendendosi la testa tra le mani e chinandosi in avanti.

«Respira» gli consigliò la donna. «Fai respiri profondi.»

Una mano salda gli diede pacche secche sulla schiena e lui tentò di ubbidire all'ordine. La testa gli pulsava e doleva come non mai.

«Stasera dovrai firmare dei documenti e portar via di qui Min-young. Posso tentare di contattare per te alcune sue conoscenze, ma Hana non aveva molto tempo di frequentare amicizie, quindi non ha molti amici che io sappia.»

Le parole della dottoressa gli fecero risollevare la testa di scatto. «Portare via la bambina e dove?» domandò con fare disperato.

La donna lo fissò nuovamente dura. «Hana potrebbe non sopravvivere. Vuoi davvero che finisca in mano agli assistenti sociali?»

Una nuova vertigine accompagnata da un lungo brivido lo colse. No, certo che non lo voleva.

«Devo parlare con il mio leader. Non posso decidere ora» borbottò prendendo in mano il telefono sperando di trovarci un messaggio o una chiamata di Eun-ho, ma con suo sommo rammarico invece c'erano solo quelle di Shinji, che non aveva più contattato, e degli altri suoi compagni.

«Leader?» la domanda della dottoressa lo raggelò.

Lentamente tornò a rialzarsi e si allontanò verso la finestra senza risponderle. Doveva parlare con Eun-ho. Non riusciva a ragionare in quel momento.

«Sei un idol?» Tornò a chiedere la donna, ma lui non le rispose cercando freneticamente nella sua mente un appiglio che lo facesse tornare a schiarirsi la mente in subbuglio.

«Anche il ragazzo di mia sorella è un idol» disse a quel punto la dottoressa dietro alle sue spalle.

Stupito lui si voltò di scatto con gli occhi sbarrati.

Non poteva essere!

«Lee Seung-min, del gruppo degli OTA» disse con tranquillità la donna facendo aprire una nuova voragine di disperazione sotto ai suoi piedi. «Lo conosci vero?»

Certo…come poteva non conoscere Lee Seung-min visto che era uno dei suoi sunbae* più famosi! Gli Off The Air erano il gruppo di punta della Alpha²! Come poteva essere davvero così sfortunato da aver finito con il svelare il casino in cui si era andato a cacciare, proprio ad un’amicizia stretta di Lee Seung-min!?

*NOTA- SUNBAE: indica una persona più esperta in un campo lavorativo, non necessariamente più grande.

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