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Capitolo 4

La luce del mattino filtrava attraverso le finestre della cantina, creando un’atmosfera quasi magica. Francesco si trovava nel suo ufficio, seduto alla scrivania di legno massiccio, circondato da bottiglie di vino e documenti. La sua mente, però, non era concentrata sul lavoro. L’ansia si faceva strada nel suo petto, alimentata dall’inevitabile incontro con Gino. Sapeva che l’uomo di Donato non era un tipo facile e che il suo arrivo non avrebbe portato buone notizie.

Gino era un uomo corpulento, con una faccia rotonda e un sorriso che non rifletteva mai la verità. Era uno scagnozzo di Donato, il mafioso più potente della città, e come tutti gli emissari di quel mondo oscuro, portava con sé l’ombra della minaccia. Francesco si alzò, si stirò le spalle e decise di affrontare la situazione. Era stanco di vivere nella paura e si sentiva pronto a sfidare il destino.

Quando la porta dell’ufficio si aprì, entrò Gino, con la sua solita aria di superiorità. “Buongiorno, Francesco,” disse con un sorriso sornione. “Spero che tu stia bene. Volevo solo parlare del… come dire… del nostro accordo.”

Francesco si girò verso di lui, gli occhi freddi come il ghiaccio. “Gino, oggi non ho intenzione di pagare il pizzo. Da ora in poi, non ci saranno più pagamenti.”

L’uomo si fermò, sorpreso. “Cosa hai detto? Non ci siamo capiti? Il tuo papà sapeva come funzionano le cose. Tu sei solo un ragazzino, non puoi pretendere di cambiarle.”

“Non sono un ragazzino,” rispose Francesco, mantenendo un tono fermo. “E non intendo seguire le tradizioni di un sistema che non voglio più accettare. Oggi sarà l’ultimo giorno in cui tu e Donato riceverete i miei soldi.”

Gino si avvicinò, il suo sorriso si era fatto più sinistro. “Sei sicuro di quello che dici? Ricorda, Francesco, la vita può diventare piuttosto difficile senza la protezione di Donato. E le cose potrebbero prendere una piega… interessante.”

Francesco sentì una fitta di paura, ma non si lasciò intimidire. “Le minacce non funzionano su di me, Gino. Non ho paura di te e nemmeno di Donato. Se c’è una cosa che ho imparato, è che ci sono sempre alternative. Non accetterò più di essere sottoposto a questo regime di paura.”

Gino si avvicinò ulteriormente, il suo viso a pochi centimetri da quello di Francesco. “Oh, Francesco, sei così giovane e ingenuo. A volte, ci si deve chiedere se il fuoco che accendi non possa poi bruciare anche te. I patti che si fanno in questo mondo sono molto seri. E chi non rispetta le regole, beh… può succedere di tutto. Credimi, il fuoco non perdona mai.”

Francesco mantenne lo sguardo fisso negli occhi di Gino. “Non ho mai chiesto la tua pietà. Non ho mai voluto far parte di questo gioco. D’ora in poi, io e la mia famiglia ci libereremo da questo peso.”

L’uomo ridacchiò, ma non c’era nulla di divertente in quella risata. “Sei un ragazzo coraggioso, ma la coraggio non ti salverà quando le cose si faranno serie. Ricorda solo che ogni azione ha una reazione. E chi gioca col fuoco rischia di scottarsi. Ma tu hai scelto. Goditi il tuo vino, Francesco. La vita può riservarti delle sorprese.”

Con queste parole, Gino si voltò e uscì dall’ufficio, lasciando Francesco con una sensazione di vuoto e una dose di adrenalina. Le minacce dell’uomo gli giravano in testa. Si sentiva in un vicolo cieco e il peso della decisione di ribellarsi si faceva sempre più opprimente. La paura di quello che Gino avrebbe potuto fare si mescolava alla determinazione di non cedere mai più. Non era solo in gioco la sua vita, ma anche quella della sua famiglia.

Francesco si alzò e si affacciò alla finestra. I filari di vite si estendevano all’orizzonte, splendenti sotto il sole, ma per lui rappresentavano anche le catene invisibili che lo legavano a un mondo di corruzione e paura. Doveva trovare un modo per liberarsi da quel giogo, ma come? Il pensiero di Donato, con la sua ombra minacciosa, lo attanagliava.

Uscì dall’ufficio e si diresse verso la cantina, dove Teo stava sistemando alcune bottiglie. L’anziano, con i suoi capelli grigi e il viso segnato dagli anni, sollevò lo sguardo e vide il suo figliolo. “Tutto bene, Francesco?” chiese con una nota di preoccupazione.

“Non bene, ma non voglio più pagare il pizzo,” rispose Francesco, la voce carica di emozione. “Oggi Gino è venuto a chiedermi i soldi, e gli ho detto di no.”

Teo rimase in silenzio per un momento, scrutando il volto di Francesco. “Sei sicuro di voler fare questo? Non sai che conseguenze potrebbe avere.”

“Lo so, papà,” disse Francesco, “ma non posso più vivere in questo modo. Non posso permettere che ci tengano in ostaggio.”

Teo si passò una mano sulla fronte, il peso della responsabilità gravava su di lui. “Certo, ma dobbiamo essere cauti. Donato non è uno che si fa fermare facilmente.”

“Ho deciso,” affermò Francesco, con determinazione. “Da oggi, ci liberiamo da questo giogo. Dobbiamo combattere e non lasciarci intimidire.”

Teo annuì lentamente, comprendendo la determinazione del figlio. “Hai coraggio, Francesco. Ma ricorda che ci saranno ripercussioni. Non è solo un gioco. La mafia non perdona, e se dovesse scoprire che stiamo resistendo…”

“Non ci fermeremo,” intervenne Francesco. “Non voglio più vivere nella paura. Dobbiamo trovare un modo per proteggerci e liberarci da questo peso.”

“Va bene, ma ricorda che le cose potrebbero prendere una piega inaspettata,” disse Teo, preoccupato. “Ti prometto che farò tutto ciò che posso per aiutarti, ma dobbiamo essere prudenti.”

Francesco sentì un senso di sollievo, sapere di avere il sostegno del padre. “Insieme troveremo una via d’uscita,” rispose. “Non ci lasceremo sottomettere.”

Mentre si allontanava, sentì l’adrenalina pulsare nelle vene. Il suo cuore batteva forte, ma c’era anche un senso di liberazione. Finalmente aveva preso una decisione, e ora si sentiva pronto a lottare. Doveva solo prepararsi alle conseguenze, che sapeva sarebbero state dure.

L’aria del mattino si fece fresca mentre Francesco uscì dalla cantina, decidendo di andare a camminare nei vigneti. Mentre passeggiava tra i filari, la sua mente correva a Emma. Non poteva fare a meno di pensare a lei, alla connessione che avevano avuto e al modo in cui il suo sorriso lo aveva colpito. Sperava che in un futuro non troppo lontano, avrebbero potuto condividere insieme quel momento di libertà.

La sua mente si tormentava con pensieri di ribellione e libertà, ma anche di paura. Mentre camminava, non si accorse che il cielo si era fatto scuro, le nuvole minacciose si erano radunate sopra la campagna. Un presagio di tempesta, un avvertimento del destino che lo attendeva. Eppure, dentro di sé, Francesco sentiva che era giunto il momento di fare la propria scelta.

“Che cosa vuoi fare?” si chiese. “Vivere in una gabbia o combattere per la libertà?”

La risposta era chiara, ma la strada sarebbe stata irta di difficoltà. Francesco lo sapeva, ma ogni passo che faceva nei vigneti sembrava avvicinarlo a un destino diverso, un futuro dove la paura non avrebbe più avuto potere su di lui e la sua famiglia. Il fuoco che aveva visto nei suoi occhi doveva diventare una fiamma di speranza, un segnale per tutti coloro che erano intrappolati.

E mentre la tempesta si avvicinava, Francesco sapeva che non avrebbe mai più voltato le spalle. La lotta era appena iniziata.

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