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Capitolo 4 - Adrian

«Il capo ha detto di presentarci nella sala riunioni alle dodici in punto»

La voce di Sam arriva distorta. Sono ancora mezzo addormentato e provato dalla notte appena trascorsa e non vedo l’ora di terminare le mie ore di lavoro per tornamene a casa e affogare di nuovo i pensieri nella doccia.

«Adrian? Mi hai sentito?»

«Eh? Hai detto qualcosa?»

«Cazzo Adrian! Ma cosa ti sei fumato questa notte?»

«Sono solo sovrappensiero.»

«Ecco, allora vedi di riprenderti perché Smith si è alzato con le palle girate e secondo me sta per tagliare qualcuno del personale.»

«Quando?»

«Oh ma sei fuori? Ore dodici nella sala delle riunioni.»

Sono solo, io e il mio computer che richiede con insistenza la password. Digito in fretta lettere e numeri e poi scarico la posta per controllare tutte le e-mail.

Oggi si preannuncia una giornata da dimenticare, me lo sento e dopo aver cercato invano di rendere meno sofisticata la nuova app per la gestione amministrativa delle aziende, chiudo tutto e mando al diavolo Java.

«Muoviti a finire quella sigaretta.»

Sollevo gli occhi al cielo. Sam è peggio di mia madre e oggi non sopporto nessuno, neppure lui che mi è amico da sempre e mi copre, spesso e volentieri, il culo al lavoro.

«Sei peggio di un cazzo di grillo parlante.»

«Piacerebbe anche a me non essere la tua coscienza, credimi.»

«Certo, andresti poi a rompere i coglioni a qualche altro povero uomo.»

Lo colpisco per gioco con un pugno sul braccio e lui mi manda al diavolo. Lo seguo, gli cammino immediatamente dietro per raggiungere la sala delle riunioni. I soliti ligi al dovere sono già seduti attorno a questa specie di tavola rotonda dove Smith crede di essere Re Artù.

Mi rifiuto. Resto in piedi e appoggiato alla parete, incrocio le gambe e anche le braccia e aspetto, aspetto di sapere se ci sono problemi o novità.

«Bene, signori» Tutti pendono dalle sue labbra, io vorrei solo che si desse una mossa. «Se vi ho fatti chiamare è perché presto ci saranno dei cambiamenti nell’azienda.»

Per fortuna Smith ha fretta più di me e snocciola in fretta l’intera questione. L’azienda è stata scelta da una grossa multinazionale che spaccia software in tutto il mondo, ma solo alcuni potranno godere di vantaggi e privilegi.

«Peterson!». Pronuncia il mio nome solo alla fine della breve lista di dipendenti da lui direttamente selezionati. «Ho pensato anche a te. Nell’ultimo periodo hai offerto un buon lavoro nonostante i tuoi ritardi o le assenze ingiustificate.»

Capita. Capita spesso, soprattutto se il giorno prima sono in cattiva compagnia.

«La ringrazio per la fiducia, Signor Smith.»

«Aspetta a ringraziarmi, Peterson. Se vuoi un avanzamento di carriera, dovrai trasferirti nella sede di Denver.»

Denver è in Colorado e io sono a Seattle.

«Che cosa?»

«Tranquillo! Non ho bisogno di una risposta ora. Pensaci pure con calma, Peterson.»

Pensarci con calma? Non ci penso proprio! L’ultima cosa che voglio in questo momento sono altre preoccupazioni.

Smith saluta tutti e dice di tornare al lavoro, non me lo faccio ripetere due volte, anche perché ho intenzione di fumarmi un’altra sigaretta prima di accendere di nuovo il mio computer.

«Pensi di accettare?»

Sam.

Il mio grillo parlante, è peggio di una pulce dietro l’orecchio.

«Nella maniera più assoluta!»

«Sei un coglione, Adrian! Non buttare al vento questa opportunità.»

«Vacci tu a Denver.»

«Ci andrei molto volentieri, ma si dà il caso che Smith abbia scelto te. Strano ma vero e comunque.» Cambia tono di voce, raddrizza la postura e sorride come uno sciocco. «Ora anche io voglio restare qui».

«Come mai questo cambiamento così rapido?»

«Guarda con i tuoi stessi occhi!»

Sollevo lo sguardo e seguo il suo per cercare di capire cosa abbia attirato all’improvviso la sua attenzione.

Theresa parla con Katy alla reception della Worker & Co.

Ignoro Sam che continua a parlare al mio fianco, ignoro tutti, compresa la vocina della mia coscienza che mi dice di mantenere la calma, consumo in fretta i miei passi e sono da lei.

«Adrian.»

Pronuncia il mio nome quasi balbettando e le guance le diventano rosse. Sposta alcune ciocche di capelli biondi ai lati dell’orecchio e per un attimo vorrei essere io a sfiorarle il viso e i capelli.

«Che diavolo ci fai qui?» La mia voce esce distorta, aggressiva e lei sussulta quasi impaurita.

L’afferro per un braccio e la costringo ad abbandonare l’edificio. È meglio che nessuno ci veda, è meglio che nessuno ci senta.

«Allora? Cosa vuoi?»

Il sole rende i suoi capelli ancora più lucenti, lucidi anche i suoi occhi azzurri che in questo momento sembrano trasparenti e mi mostrano l’anima, mi mostrano la sua ansia e l’enorme paura che la divora dentro.

«Ho bisogno di parlarti.»

«Non abbiamo niente da dirci.»

«Adrian.»

Allunga una mano e le sue dita mi toccano un braccio.

È così delicata, è così fragile.

Mi sembra di vederla oggi per la prima volta e mi rendo conto che è così bella che vorrei stringerla tra le braccia e chiederle anche scusa, ma parlare non servirà a cancellare quello che c’è stato. È molto più semplice fare finta di niente e continuare a vivere.

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