Capitolo 3
I nuovi vicini
POV DANIELLE
Alla fine della giornata, tutto è al proprio posto. La fame si fa sentire anche per me e, siccome nella dispensa ci sono solo latte e cereali per la colazione, optiamo per la pizza.
Anche se molto spesso lo facciamo, intendo dire che mangiamo i cereali a cena.
«Pizza!» urla Jay come se avesse vinto chissà che, ma lui è così, si entusiasma per poco.
Ordina due maxi-pizze farcite all’inverosimile e riesce anche a flirtare con la ragazza al telefono.
«Quarantacinque minuti? Oh, sei un tesoro. Passerò a trovarvi. Magari andiamo a berci qualcosa.» Ghigna e ammicca.
Con tranquillità si piazza sul divano trascinandoci anche me, che amo questi momenti e lo lascio fare.
Il braccio di Jay mi stringe a sé in una stretta infinita. «Sì, tesoro. Ci vediamo. Grazie per la tua gentilezza.» E riattacca.
Lo guardo ammirata. Come diavolo fa a farsi scivolare tutto addosso senza problemi? Come fa a sopportare tutto? Come fa a sopportare me? «Mangerai la pizza, vero?» sussurra appoggiando la fronte contro la mia tempia.
«Ti servirebbe una bella doccia calda» dico.
Sono le mie prime parole da settimane ma sono spese bene. Lui mette il broncio e con uno scatto prende il cuscino colpendomi.
«Piccola insolente. Vedi invece di ricordarti di prenotare i corsi estivi a scuola. Saranno perfetti per recuperare tutte le lezioni perse per le tue assenze e sarai in pari, se non avvantaggiata, quando ricominceranno le lezioni. Ora che stai meglio mi cercherò qualche lavoretto qui vicino. Magari farò una capatina al pub che frequentavamo» replica.
Come se servissero a colmare il vuoto di tutto ciò che c’era prima.
«Ti voglio bene, Jay» gli dico accoccolandomi tra le sue braccia.
Lo sento ridacchiare, sento che è felice per il mio cambiamento. Da adesso voglio che la mia vita sia in discesa.
«Stai bene?» sussurra tra i miei capelli.
Mi limito ad annuire.
«Fatemi posto, voi due. Il divano non è solo vostro» s’intromette Mark. «Per fortuna il college è chiuso per l’estate. Non ne potevo più di esami» mormora a bassa voce rivolto a me. Giro il viso verso di lui e lo sorprendo a sbadigliare, subito dopo mi fa l’occhiolino e si allunga per prendere il telecomando e accendere la tv.
Il campanello suona e interrompe la nostra falsa armonia.
«La pizza è già qui? Cavolo, altro che Pizza Express» bofonchia stupito Jackson.
È affamato, il brontolio della sua pancia lo conferma. Si alza, va ad aprire la porta e rimane spiazzato quando, al posto del fattorino, gli si presentano davanti tre persone. Si volta verso di noi accigliato, giusto per qualche istante. Punta i suoi occhi in quelli di Mark e scuote lievemente la testa prima di volgere l’attenzione verso di me. Il suo respiro è accelerato. Anche quello di Mark lo è.
Non sostiene il mio sguardo e si gira verso le persone che hanno suonato alla porta. Perché i miei fratelli hanno avuto questa reazione?
Mark si alza e si avvicina alla libreria, afferrando uno dei libri che aveva sistemato lì quando siamo arrivati.
Colgo l’occasione per affacciarmi. Riesco a vedere un uomo di mezza età, bello, distinto e ben curato in giacca e cravatta, con la carnagione ambrata, affascinanti occhi marroni e capelli corvini ma leggermente brizzolati. Di sicuro non è inglese, ma di qualche regione del Mediterraneo o giù di lì. Al suo fianco c’è una donna bionda, capelli a caschetto e ben pettinati, occhi di un brillante azzurro cielo, vestita con una tuta da jogging blu marino ma comunque elegante. La sua carnagione invece è rosea, più pallida. Tipicamente inglese, potrei dire. Poi c'è una ragazzina che è la fotocopia del padre. Stessi occhi, stessi capelli corvini e stessa tonalità di pelle. Indossa con eleganza un vestitino a righe bianche e blu, in stile marinaro.
Appena i miei occhi si posano su di lei, un brivido mi percorre tutta la schiena. Un flash mi si presenta davanti agli occhi impedendomi per un momento di vedere. Perché mai? Arriccio il naso e strizzo le palpebre nella speranza di recuperare subito la vista.
«Salve, siamo la famiglia Breenly, i vostri vicini di casa. Vi diamo il benvenuto a nome di tutto il quartiere. Visto che vi siete appena trasferiti vi abbiamo portato le famose lasagne di mia moglie. A proposito, io mi chiamo Andreas, lei è la mia adorata Lisa e questa è Linda. Manca nostro figlio che momentaneamente non è con noi» dice quell’uomo distinto in piedi sulla soglia di casa. Il suo sorriso è smagliante e... inquietante.
«Chissà perché» sussurra Mark facendomi sorridere lievemente.
Sono la copia esatta della famigliola perfetta, così felice da far invidia a tutti e schifo ad alcuni. Ad esempio, a me.
Sembra di essere appena entrati in una di quelle comunità religiose. O magari in un quartiere alla Desperate Housewives, dove tutti sanno i cavoli di tutti ma nessuno si fa i propri.
I miei occhi sono puntati sulla ragazzina. Non mi è nuova, sento di averla già vista da qualche parte. Ma dove? Lei si accorge che la sto guardando e mi imita. Fissa i suoi occhi nei miei e mi sorride con affetto. Non capisco. Perché mi è così familiare? Perché non riesco a ricordarmi di lei? Perché non riesco a distogliere lo sguardo da lei? Perché mi attira così tanto la sua persona?
«Mamma, sono i vicini. E sono terribilmente sciropposi, fanno venir il diabete solo a vederli ma hanno una teglia di lasagne fumanti e io ho fame. Tanta fame. Che faccio?» dice Jay con una voce delusa ma vogliosa di assaggiare quelle lasagne.
Siamo tutti alquanto imbarazzati per le sue parole, ma né io né Mark facciamo niente per bloccarlo. Ci stiamo divertendo troppo nel vederlo rendersi ridicolo.
Mamma prontamente corre alla porta per arginare la furia distruttiva causata dalla fame di Jackson e lo spinge via.
«Il piacere è tutto nostro, scusate ma stavamo aspettando la pizza. Comunque, se non vi dà fastidio il disordine e volete accomodarvi, prego. Così ci conosciamo meglio» dice mamma mentre tenta di allontanare quel metro e novanta di muscoli che è suo figlio. Una scena resa più divertente dai commenti di Mark.
L'unica persona adulta di casa ha appena invitato i vincitori del concorso “La miglior famigliola dell’anno” ad entrare. Cavolo, potrebbero essere dei serial killer che mangino le loro vittime dopo averle uccise, cucinandole e servendole ai nuovi vicini ignari del loro hobby sotto forma di lasagne. Io comunque non le mangerò.
La prima a entrare è la donna che mamma non esita ad abbracciare. La ragazza segue a ruota la madre ma non si espone per un abbraccio, si limita alla stretta di mano. L’uomo muove dei passi cercando di raggiungere la moglie ma si blocca senza ragione a fianco di Jay. Punta i suoi occhi nei miei e serra la mascella. Mio fratello china la testa verso l’uomo per sussurrargli qualcosa. Lui in risposta sorride ed annuisce prima di proseguire e avvicinarsi alla moglie.
La ragazzina, che se non ricordo male si chiama Linda, si accomoda sulla poltrona che sta accanto al divano.
Fa domande su domande, come se fosse curiosa di sapere tutto su di noi. A rispondere è solo Jay perché io non ne ho molta voglia. Non la smette più di parlare, ma io sono troppo impegnata a cercare di ricordarmi di lei e non le do ascolto.
«Mi fa piacere sapere che hai diciassette anni come me e che frequenteremo la stessa classe» la sento dire. Cosa? Mio fratello le ha raccontato anche questo?
«Ne farà diciassette a luglio» rivela Jay. «Tu invece a settembre, se non ho capito male.»
Non la guardo nemmeno, tengo le palpebre abbassate per non attirare ancor più la sua attenzione. Posso anche sembrarle asociale ma la cosa non m’interessa.
«Di solito quelli più grandi non familiarizzano con le matricole e nemmeno con i nuovi arrivati. A meno che non siano alte, bionde e formose e, cosa più importante, facciano parte delle cheerleader o non combinino qualcosa di memorabile» risponde con tono divertito Jay a non so bene quale domanda.
La sento offrirsi di accompagnarmi a scuola ogni giorno quando le lezioni incominceranno, ma non le rispondo, ci pensa Jackson per me e, credendo di avermi fatto un piacere, accetta con molta educazione.
Con la coda dell’occhio vedo l’uomo, il padre di Linda, fissarmi. È in piedi tra le due donne che parlano di non so cosa e scommetto che nemmeno lui lo sa. Mi volto a guardarlo meglio. I suoi occhi scuri sono su di me e il suo sguardo è fin troppo serio e intimidatorio.
Che diavolo vuole? Perché mi sta guardando così?
Il suo modo di guardare m’ipnotizza. Ciò che ho sentito tra un silenzio e l’altro è che l’uomo, Andreas Breenly, è un famoso e stimato primario del più grande ospedale di Birmingham. Niente meno che il Queen Elizabeth, lo stesso in cui dovrà lavorare Annie.
La moglie Lisa invece è il pubblico ministero della città. Tutte le cose devono ricevere la sua approvazione. In poche parole, non le sfugge nulla.
Quindi, tutto coincide con la mia teoria.
Sono dei serial killer e hanno scelto le loro prossime vittime facendole abitare molto più vicine a loro.
Ecco spiegato anche il perché della loro mastodontica casa.
Non conosco questi tizi, ma frequentarli è l’ultimo dei miei pensieri e farmi accettare da loro è il più remoto dei miei problemi.
«Che ci fai in piena estate con la maglia a maniche lunghe?» mi chiede d’un tratto Linda.
Sussulto e sposto subito lo sguardo su di lei. Panico!
«Nulla» scatto terrorizzata. «Odio le maniche corte e le canotte» le rispondo lanciando un’occhiata spaventata a Jay.
Abbasso ancor di più i polsi delle maniche per stringerli nei pugni. Mi sento a disagio.
«Ah, credevo che nascondessi qualcosa, non so, tipo un pancione» ride con un sospiro di sollievo accomodandosi meglio sul divano. «Tranquilla, era solo per attirare la tua attenzione.» La guardo perplessa.
Ma che diavolo?
«Danielle incinta? Non farmi ridere. Non sa nemmeno come sono fatte certe parti maschili, figurati se qualcuno ha il coraggio, anzi, il buon gusto di metterla incinta. È più probabile che ci colpisca un asteroide» esordisce Mark cominciando a ridere.
A questa sua affermazione, rimaniamo spiazzati. Jay lo squadra incredulo. Mark per le troppe risate decide di abbandonare il divano.
Linda non è più interessata a fare altre domande riguardo alle mie maniche lunghe. Le è bastato avere la conferma che non sono incinta. Di chi poi? Non so nemmeno se ho mai avuto un fidanzato, nessuno me ne ha parlato.
Il campanello suona con insistenza interrompendo le varie discussioni.
«Pizza!» urla Jackson per l’ennesima volta.
«Non gridarlo, magari sono altri vicini» risponde sottovoce Mark sbucando dalla cucina.
La ragazza sorride all’esclamazione di Jackson, non sentendo il commento di Mark.
Jay va ad aprire e scopre con grande gioia che è il fattorino con le pizze.
E vai, si mangia, sempre che i vicini se ne vadano.
Non sopporto di mangiare con gente che non conosco. Ho paura di essere giudicata anche per questo.
«Siamo felici di avervi conosciuto e che le nostre strade si siano incrociate sia per lavoro che per la scuola delle ragazze. Spero che uno di questi sabati vi faccia piacere essere nostri ospiti» dice Andreas mentre si avvia verso l’ingresso ma, prima di uscire e chiudere la porta dietro di sé, si volta a fissarmi. Sorride come se fosse fiero di qualcosa. Questa volta lo sguardo è dolce, quasi paterno. Non lo capisco.
«È stato un piacere conoscervi» ripete.
A interrompere il contatto visivo tra noi è mia madre che chiude la porta prima che l’uomo possa scendere dallo zerbino. Quando alla fine restiamo soli, tutti, e dico tutti, sospiriamo. Non si è trattato di una cosa programmata, è stata spontanea.
Non perdiamo tempo e ci fiondiamo sulle pizze spazzolando tutto, fino all’ultima briciola. Riesco persino a mangiare una fetta intera tanto era buona.
«Sai che ci vuole?» chiede Jay mentre mastica. «Una bella foto. Per immortalare il nostro nuovo inizio. Per buon augurio» continua.
«Tu e i tuoi buoni auguri portano sempre male» risponde Mark.
«Che diavolo vuoi dire?»
«Hai fatto un buon augurio all’inizio di ogni anno scolastico ed è sempre andato male. Ne hai fatto un altro il giorno della patente e hai quasi investito una vecchietta che stava attraversando la strada sulle strisce e col verde. Per non parlare di quello che è successo il giorno del diploma» elencare.
«Sì, sì, va bene. Mi hai convinto. Allora come lo chiamiamo? Tipo, nuova vita e basta?»
«Foto?» dice con tono ovvio Mark.
«No, troppo banale. Ci vorrebbe più... più... personalità.»
«Ce l’ho. Dipinto a olio e pomodoro» lo sfotte Mark disegnando con l’indice un semicerchio rivolto alla maglietta del fratello. Giusto per sottolineare la pateticità della cosa.
«E il tuo “Ops, scusate son troppo snob per mangiare con le mani” ci starebbe meglio» risponde Jackson.
«Sarò snob, ma almeno io non riduco il tavolo in un campo di battaglia. Patetico.»
«Mamma, Mark mi ha dato del patetico» si lamenta Jay con voce infantile.
«Mamma, Mark mi ha dato del patetico» lo imita alla perfezione il fratello.
«Smettetela, voi due. Mi farete diventare pazza» tenta di fermarli lei, ma non prima che si siano mostrati la lingua a vicenda.