Capitolo 4
La scuola
POV RICHARD
Come ogni sera in questo periodo, sono a una festa. Me ne sto seduto tranquillo sulla poltrona del padrone di casa ad ammirare lo spettacolo dei ragazzini che stanno giocando a birra pong , quando qualcuno mi passa le braccia intorno al collo.
«Ho una sorpresa per te» bisbiglia.
«Non m’interessa» rispondo duro.
Sono fin troppo preso a scommettere contro me stesso su chi cederà per primo tra i ragazzi.
«Sai chi è ritornato in città?» continua a sfregare il naso contro la mia mascella nel vano tentativo di stuzzicarmi.
«Chi?»
«I fratelli Brown.»
A quelle parole, mi si gela il cuore già gelido di suo. Uno spasmo mi contrae il labbro superiore. Porto le mani sulle sue braccia e la trascino a sedere sulle mie gambe. «È ufficiale, Mark era qui. Sai che Kevin è il suo migliore amico.»
I miei occhi sono nei suoi. Fissi, decisi e perennemente spenti. «E la piccola Brown frequenterà la nostra scuola. T’immagini? Sarebbe...»
«Surreale. Lei non può stare in quella scuola.»
«L’hanno frequentata anche i suoi fratelli e come loro potrebbe...»
«Entrare nel giro? Non se ne parla. Siamo già in troppi e non ci serve una ragazzina petulante che magari ha paura della sua stessa ombra o che, vista la sua posizione, pretenda di comandare.»
«Dicono che sia una tosta. Io non l’ho conosciuta, Mark non ha mai voluto. Ma ora... E dai, amore» riporta le braccia intorno al mio collo e si avvicina alla mia bocca. «Potrai vendicarti così.» Potrei, certo, ma se lo faccio è esclusivo per me. Le sue labbra dolci e turgide sono sulle mie e si muovono a un ritmo esasperante. «Non sarai tu a farla entrare ma potrebbe farlo… che ne so… Adam. Basta dirgli che deve proteggerla e lui ci cascherà come un allocco.»
«Non si fa come vuoi tu, devono decidere loro se farla entrare. E io non ho nulla di cui vendicarmi» mento «a differenza di te» scatto, la mia mano le stringe il collo e la allontano dal mio volto.
«Stai con me, devi proteggere il mio onore.»
«Il tuo onore?» sbuffo in una risata. «Il tuo onore ormai non esiste da molto tempo.»
«Non sei nessuno.»
«Ricordati, tu sei riuscita a entrare solo perché sei la sorella di Kevin che è un pezzo grosso.»
«Sto con te, anche per questo sono dentro» aggiunge.
«Credimi, è solo perché sei sua sorella che stai con me, nulla di più» commento.
Lei sorride con pigrizia.
Che credeva? I sentimenti che provavo per lei all’inizio ormai sono svaniti per far posto alla routine. O, detta in maniera volgare, a una scopata sicura.
«E tu lo sei solo perché ti porti a letto la qui presente che è la sorella di uno che conta. Altrimenti saresti nessuno.»
«Credimi, è sempre perché sei sua sorella che ti lascio saltellare sul mio cazzo.»
Lei sfida la forza della mia mano, fiondandosi ad azzerare le distanze per dedicarsi a uno dei suoi baci focosi che apprezzo ricevere. Di scatto si mette a cavalcioni sopra di me e inizia a muoversi lenta, come quando vuole avere qualcosa in più. In fondo mi sta bene, è davvero brava a procurare piacere.
Le stringo il sedere facendole prendere la giusta posizione per avere qualche beneficio comune.
Qualcuno tossisce cercando di attirare la nostra attenzione.
«Che diavolo vuoi?» scatta lei appena si stacca.
Mi scosto e vedo Sem che ci sta fissando a braccia incrociate.
«Da te niente, io voglio lui» mi indica nel suo solito modo spavaldo.
«Non vedi che è impegnato?»
«Devo dire a tuo fratello che fai sulla sua poltrona?» la minaccia.
Dentro di me sono piegato in due dal ridere. Lui riesce sempre a farla infuriare e la cosa è davvero esilarante. Sorrido mentre lei mi sta fulminando con lo sguardo.
«Mi spiace, piccola» le sussurro divertito. Svogliata, mi lascia andare.
«Che c’è?» chiedo una volta raggiunto il mio amico.
«Non qui. Andiamo da un’altra parte.»
E così prendiamo la sua auto e raggiungiamo il pub da Ken o, come dice lui, un luogo neutro dove i muri non hanno orecchie.
Anche se ne dubito.
«Che succede?» pretendo di sapere una volta seduti al tavolo.
Mi ha trascinato via da quella noiosissima festa nell’unico momento in cui la situazione si era fatta interessante.
La barista figa ci porta i soliti due cocktail americani, e come sempre ammicca mordendosi il labbro mentre mi porge il mio bicchiere. Solo quando Sem dà un colpo di tosse, la ragazza distoglie lo sguardo e se ne va. Che ci posso fare se piaccio a tante?
«Hai sentito che i Brown sono tornati in città?» mormora tra un sorso e l’altro. Anche lui con questa storia. Un altro spasmo mi fa contrarre l’angolo della bocca.
«Sì.»
«La sorella verrà nella nostra scuola.»
«Sì, e allora?»
«Allora ho una proposta da farti» dice.
«Di che genere?» Sorrido falsamente.
«Dobbiamo tenere i ragazzi del Clan il più lontano possibile da lei. Dobbiamo tenere lei il più lontano possibile dal Clan. Non deve sapere che noi siamo lì a proteggerla e non deve sapere che ci siamo dentro.» Si avvicina al tavolo e ci appoggia i gomiti sopra.
Bene, non dobbiamo averci a che fare ma dobbiamo proteggerla e non esitare nell’agire. Che situazione stramba.
«Chi ti dice che...»
«Oh, stai sicuro Richard, tu lo farai. Prendilo come un ordine del Leader e vedrai che andrà tutto bene» sorride interrompendomi. Poi si sistema meglio sulla sedia.
«Come sai, mio caro, io sono in stallo. Non ho un Leader dal quale prendere ordini e al quale fare rapporto. Sono nel Clan solo perché mi sbatto Sarah. Lo hai detto tu l’ultima volta che mi…»
«Sta’ zitto una buona volta. Certe volte sei talmente petulante che mi dai il voltastomaco.»
Odio da matti essere interrotto soprattutto quando cerco di perorare la mia causa. Porto la cannuccia alle labbra, come se la cosa non mi infastidisse. Invece, le sue pretese mi stanno irritando. Riprendo possesso delle mie facoltà e lo imito assumendo la sua stessa posizione.
«Chi ti dice che non mi metta in testa di entrarle nelle mutande? A pensarci bene, è la sorella di uno…»
«Oh, andiamo, saresti così schifosamente avido? Non ti basta la posizione che hai? Non ti è bastato portare via Sarah a Wood? Per non parlare di chi ti ha fatto entrare» ridacchia.
Scuoto la testa in segno di diniego. Potrei farlo. In fin dei conti, tutti hanno secondi fini per tutto.
«Che ottengo in cambio, allora? Non mi va di star dietro a una ragazzina petulante se poi non posso farci ciò che voglio con lei. Ma se il gioco vale la candela, potrei mettere da parte quel pensiero.»
Lui sbuffa in una risata fragorosa scioccandomi.
«Sempre se Kevin te lo lascia fare» esclama. «Che io sappia, è protettivo con la sorella e potrebbe tagliartelo se lei glielo chiedesse.»
«Sempre se riesce a scoprirlo.»
Sem, che grazie alla sua tenacia, spavalderia e mente fredda è conosciuto per le sue straordinarie tattiche, mi obbliga a badare a una ragazzina che nemmeno conosco e non ho mai visto. Di sicuro se la tirerà da matti. Sem, che con il suo finto disinteresse per il Clan si sta rivelando forse uno dei più attivi e informati, torna a protendersi in avanti, gli occhi fissi nei miei dice.
«Come ti ho fatto entrare posso farti uscire senza che tu lo sappia. Come ti ho lasciato fare ciò che volevi nel Clan, parato il culo innumerevoli volte, così posso far cadere tutte le accuse su di te e farti sbattere in cella buttando via la chiave. Nemmeno la mammina e le sue conoscenze riuscirebbero ad aiutarti. Come ti ho protetto, così posso gettarti nella merda. Non sottovalutarmi, Richard, so essere spietato se mi ci metto. Decidi, o stai con me e tutto filerà liscio oppure preparati alla guerra.»
POV DANIELLE
Sono a scuola per prendere i libri e gli orari delle lezioni. Da sola. Mamma, dopo avermi mollata all’ingresso, è dovuta andare a lavorare.
La scuola è grande, forse fin troppo per i miei gusti, ma appena ci entro quella grandezza scompare per lasciare spazio a corridoi esageratamente stretti e opprimenti, con muri ricoperti di disegni, foto e medaglie. Imbocco un corridoio e mi metto le cuffie nelle orecchie per andare alla ricerca della biblioteca. Cerco di non pensare a quanto è strano tutto questo. Una scuola che si offre di farmi entrare, quando l’unico modo per venire accettati è la selezione attraverso un test d’ammissione consegnato per tempo o avere un QI sopra la media o un conto in banca sopra il ragionevole. Tutte cose che ovviamente io non ho.
Giro l’angolo e mi scontro con un ragazzo che stava correndo. Dal contraccolpo finisco col sedere a terra e i fogli che avevo tra le mani si sparpagliano un po’ dappertutto. Lui invece riesce a restare in piedi.
Questo imbecille ha una carnagione lievemente ambrata e i capelli corvini nascosti da un cappellino che copre in modo strategico il viso. È vestito con jeans di qualche taglia in più e una maglietta nera quasi aderente. I suoi occhi sono marrone scuro, davvero stupendi. In altre circostanze lo avrei anche mandato a quel paese, credo, la vecchia me lo avrebbe fatto. Un flash colpisce i miei occhi facendomeli strizzare.
Quando riacquisto la vista, alzo lo sguardo verso di lui e un inspiegabile senso di paura mi pervade. Velocemente mi rimetto in piedi e sgrano gli occhi. Ho il fiatone e ho paura, troppa paura. Perché?
POV RICHARD
Sono in ritardo, grazie alla nottata stratosferica che ho passato con Sarah. Lei e la sua bocca sanno fare miracoli. La testa mi pulsa da matti e non capisco un granché. Devo sbrigarmi ad andare in segreteria e poi in biblioteca. Stupidi crediti, ma d’altronde non posso permettermi di oziare, visto che voglio avere buoni voti. Questo è il mio ultimo anno qui dentro.
Certo, essermi fermato a sbirciare in bacheca le foto di quella ragazza che ho l’ordine di proteggere mi ha ritardato. Sono stato lì a fissarla per qualche istante, cercando di memorizzare ogni particolare, ogni più piccolo dettaglio di quel faccino paffutello e imbronciato. Almeno do un volto al nome. Anche se dopo averla vista, preferirei di gran lunga baciare il culo a un macaco che avere a che fare con lei.
Giro l’angolo senza pensieri particolari quando una ragazzina mi si fionda addosso, e ovviamente è lei ad avere la peggio.
Ci mette poco prima di sollevare lo sguardo e puntarlo nel mio. Un brivido mi percorre la schiena senza che ne capisca il motivo. Come lei, spalanco gli occhi quasi terrorizzato. Ma perché? Scuoto la testa e raccolgo le idee. Lei si alza di scatto impaurita. Potrei dire che sta anche tremando.
I suoi orrendi capelli castani sono raccolti in una coda disordinata, la sua figura è snella, forse fin troppo per la sua età, e ha due grandi occhi da mozzare il fiato. Da far impallidire persino quelli di mia madre. Purtroppo, stonano con il suo aspetto.
«Ma che…» borbotto solo per lo stupore del brivido che mi ha suscitato. «Stai attenta, stupida pivella» aggiungo subito dopo e la spingo più lontano, tutto senza pensare. Lei indietreggia spaventata, perfetto. «Guarda dove metti i piedi, la prossima volta non ti andrà così bene» continuo puntandole il dito contro. Cavoli, tutte a me capitano, già sono in ritardo, mancava solo lei a intralciarmi. Non risponde perché sta tremando in un modo così patetico che pare surreale. «Vedi di starmi lontana o la prossima volta finirai nei guai.» Mi sistemo e me ne vado dandole una spallata. Io proseguo senza incertezza, ma lei, oh lei, per il colpo fa mezzo giro su sé stessa. Quasi cade di nuovo a terra. Quanto sono fiero di me? Bene, quella stronzetta ha avuto paura di me già prima che facessi davvero qualcosa. È stato facilissimo.
«Calma, è il solito bulletto prepotente.» Un mormorio arriva alle mie orecchie seguito da uno sbuffo. Che fa, parla da sola? E poi come si permette di parlarmi così, e addirittura alle spalle? Non sa con chi ha a che fare. Non sa chi diavolo sono. Forse crede che non l’abbia sentita. Ho un’insana voglia di fermarmi e tornare indietro per chiederle, anzi, ordinarle di ripetere ciò che ha appena detto, prenderla per quelle dannate braccia rachitiche, sbatterla al muro e farle rimangiare tutto.
Oh, se lo voglio, ma stranamente decido di lasciarla perdere. Non ne vale la pena, in fin dei conti.
Anche se sono in tremendo ritardo, mi soffermo a guardarla mentre raccoglie goffa le sue cose. Dio, se mi fa ridere. Si può essere più imbranati? Cerco di memorizzare i suoi lineamenti per ricordarmela per bene, casomai la vedessi di nuovo all’inizio delle lezioni. Ha un non so che di familiare, di già visto. E in fondo mi fa tenerezza.
Si sta dirigendo verso di me e la cosa mi fa battere il cuore all'impazzata. Ma perché? Mi guardo intorno in cerca di un nascondiglio. La prima porta disponibile è socchiusa. Entro di fretta nello stanzino del bidello e mi appoggio al battente. Ma che diavolo ho fatto, perché mi sono nascosto? Da lei poi.
E perché sto sorridendo?
POV DANIELLE
Bene, il primo incontro/scontro con un potenziale studente/bullo o un addetto alle varie attività è andato molto male.
Me ne restano quanti ancora? Forse altri trecento? Trecento adolescenti così e morirò entro il primo giorno. Spero che non tutti siamo tanto scorbutici.
Raccolgo le mie cose e vado a cercare la biblioteca, desiderando che tutto questo finisca presto.
I muri di questi corridoi sono monocromatici e opprimenti. Pieni zeppi di disegni di ragazzini che non hanno nulla in comune con me se non l’età. Foto delle varie attività, delle varie squadre e delle varie classi. Una attira la mia attenzione più di tutte. La guardo e passo le dita sul vetro, come ad accarezzare chi ci è raffigurato. È una foto che risale al diploma dei miei fratelli, con i finanziatori della scuola e una ragazza in carne che tiene il muso duro, le braccia incrociate al petto e sta tra loro.
I suoi capelli lunghi le coprono il volto rendendola quasi irriconoscibile. Ora che ci penso, è la stessa immagine che Mark tiene sulla sua scrivania. Ma la sua è strappata. Ha strappato la parte dove c’era Jackson e, a quanto pare, anche la ragazzina e un altro uomo.
Ma chi è? Chi sono?
La dicitura al suo fianco recita: Il finanziatore John. J. Brown con i figli Jackson e Mark, diplomati in questa scuola, e la figlia Danielle. John J. Brown? I suoi figli? Quello è anche mio padre? Quella ero io? Quella sono io? Un lampo mi acceca e sono costretta a strizzare gli occhi.
Una macchina è ferma davanti a me con il parabrezza rotto. Delle persone stanno correndo verso di me e urlano parole incomprensibili, eccetto una che si avvicina a passo lento. Sul suo volto c’è uno sguardo fiero. Un ragazzo mi afferra e mi strappa qualcosa dalle mani. Non riesco a riconoscere l’oggetto ma, quando il ragazzo lo getta a terra, capisco subito cos’è. Il cric.
Stacco di colpo la mano dal vetro e la porto alla bocca. Mi acciglio al pensiero di non ricordarmi nulla e che nemmeno Jay mi abbia raccontato di questa foto. Distolgo lo sguardo e indietreggio.
Una risata mi fa sobbalzare e dallo spavento mi guardo attorno in cerca di un nascondiglio, trovando la biblioteca proprio alle mie spalle. Prendo un respiro profondo ed entro facendo finta di nulla.
Nessuno dei dieci ragazzi che si trovano in fila si è accorto di niente.
«Ehi pivella, posso passare, vero?» La voce roca del ragazzo di prima mi fa rabbrividire. Mi volto di scatto e i miei occhi incontrano i suoi. Un nuovo flash e una visione di un ragazzo che ne insegue un altro mi si presentano davanti. Oddio, che sta succedendo? Lo guardo accigliata mentre annaspo e lui sorride vittorioso. «Oh, grazie, sei davvero gentilissima. Non serviva lasciarmi passare. Grazie ancora» dice lui prendendomi in giro di gusto e superandomi così nella fila.
A dire il vero, supera tutti e si dirige dietro al bancone della biblioteca. Prende dall’appendiabiti una camicia a quadri, stile cowboy con le maniche arrotolate fin sopra il gomito e la scritta “staff” sulla schiena, e dal cassetto estrae una specie di pass munito di laccio che si appende al collo.
Impugna lo scanner portatile e passa il codice a barre, come se stesse timbrando il cartellino. Non ci capisco più nulla. Lo guardo prendere i fogli del primo ragazzo della fila con uno sguardo abbastanza spavaldo. Lui lavora in biblioteca? È lui l’addetto ai libri? Oh, merda. E se vede dove abito e mi segue? Ho paura, il respiro ha accelerato e voglio andarmene. Mi volto a controllare a quanta distanza sono dalla porta, ma mi accorgo che ormai tocca a me.
POV RICHARD
Ora posso vedere chi è, sapere il suo nome senza chiederglielo. La cosa mi assilla da quando ci siamo scontrati poco fa. È troppo divertente questa situazione.
«Bene, bene, bene. Pivella, ci si rivede» le dico ridendo con quel mio solito sguardo furbo. O la va o la spacca. «Mi dai la lista così registro che sei passata a prendere i libri e te li consegno?» continuo porgendole la mano per ricevere i fogli. Chino la testa e continuo a guardare lo schermo del mio cellulare per rispondere all’ennesimo messaggio di Sarah. Non mi lascia mai in pace, non le basta mai. Non le basto mai. Forse faccio prima se la chiamo. Stare dietro ai suoi messaggi è un delirio.
Compongo il numero e mi porto il telefono all'’orecchio. Non mi interessa un fico secco se la ragazza è qui, ormai conosco a memoria le procedure per la registrazione, tanto da sognarmele.
Mentre Sarah parla di che diavolo di vestito metterà alla festa di questa sera, riempiendomi la testa di pettegolezzi per nulla interessanti riguardanti la vita sentimentale della sua amica Trisha, la ragazza appoggia i documenti sul bancone in maniera molto ordinata. I primi fogli resteranno a me e il resto glielo dovrò restituire. Ignora la mia mano tesa verso di lei. Nessuno l’ha mai fatto.
Cerco di non fiatare. Sorrido, sono divertito dal suo comportamento da ragazzina impaurita, ma anche irritato. Non si può avere così tanta paura di tutto.
Prendo i fogli dando un colpo secco sul bancone e ritraggo la mano di scatto facendola sobbalzare.
Incomincio poi a digitare i suoi dati al pc che trova delle corrispondenze appena inserisco il codice studente. Non sapevo che l’assurdo server retrogrado della scuola potesse fare anche questo. Continuo a lanciarle occhiatine maliziose che la mettono sempre più a disagio.
Codice: 25642
Nome: Danielle Dream Brown
Indirizzo: COPERTO DA PRIVACY
L’indirizzo non c’è ma compare la scritta in rosso che indica di cliccare sulla casella “raccomandazioni”.
Bene, è una raccomandata. Un punto a mio favore quando la prenderò in giro. Clicco sulla casella solo perché sono incuriosito.
Raccomandazioni: John J. Brown - fondatore della Brown Group (maggior finanziatore della scuola).
Ecco perché il cognome non mi è nuovo. È la figlia di uno dei finanziatori della scuola. Un fottuto miliardario che coi suoi soldi può permettersi qualsiasi cosa eccetto comprare dei nuovi Mac per la scuola che sovvenziona.
Il suo profilo mi dà anche delle corrispondenze.
Sarah continua a parlare e io continuo ad annuire in modo abbastanza disinteressato. Ho davanti a me la figlia del proprietario dell’impero Brown che è stimato intorno ai duecento milioni di sterline di fondi fissi, senza parlare delle varie azioni e aziende. Niente male, direi.
Affinità con n°4 studenti:
John J. Brown ----- ex studente
Mark Brown e Jackson Brown ----- ex studenti
Scott Rolss ----- ex studente (Richiesto e ottenuto trasferimento a Oxford per motivi familiari)
Alzo lo sguardo e la fisso incredulo.
La sorella di Jackson e Mark. Quei Jackson e Mark. Non ho collegato il cognome, di Brown è piena la scuola.
Non può essere lei. Non è lei quella nella foto. Alzo lo sguardo e la fisso. Tiene la testa china nella più totale remissione.
«Cazzo» bisbiglio. Solo ora mi viene in mente la chiacchierata della sera prima con... beh, con Sem.
Come diavolo faccio? Un altro casino di cui devo occuparmi. Il mio sguardo saetta inaspettatamente su qualcosa dietro di lei. Abbandono il cellulare sul tavolo e lascio che Sarah continui a parlare da sola. L’immagine alle spalle della ragazza immortala quello che ho scoperto essere suo padre. Non ci posso credere. Sono identici.
La fisso accigliato, cercando di capire, di supporre non so nemmeno io cosa. Non può essere, non è la stessa ragazza della foto in bacheca. Non è la stessa di cui ho sentito parlare.
Il mio cervello sta lavorando in un modo davvero surreale. Devo pensare a cosa fare e a come farlo.
Le mani mi stanno sudando e non riesco a ragionare lucidamente se in sottofondo Sarah continua a parlare delle sue cose da ragazza.
Che cazzo me ne frega?
Allungo la mano verso il cellulare, lo spengo rendendomi irraggiungibile e lo infilo in tasca. Lei, intanto, continua a tenere lo sguardo basso fissando un punto sul bancone.
«Non hai caldo con la maglia a maniche lunghe?» chiedo cercando di smorzare l’imbarazzo e non farle notare alcunché.
Ma che razza di domanda mi è venuta in mente?
Devo rimediare alla situazione, non peggiorarla.
Beh, magari oltre a un eventuale pancione, nasconde qualcos’altro sotto quella felpa. Santo cielo, mi sta venendo voglia di sbattere la testa contro il muro.
Devo chiedere aiuto a Sem.
POV DANIELLE
«I libri, p-per favore» balbetto esasperata e con quella poca forza che mi resta cerco di non guardarlo. Tutto è più interessante. Tutto deve essere più interessante. Persino la mia scarpa slacciata.
Sospira e ricomincia a trascrivere i dati al pc poi corre a prendere i libri. Alzo la testa quando non è presente. Respiro meglio se non è nelle vicinanze.
«Bei corsi che ti sei scelta, in alcuni siamo insieme. Ci terremo compagnia» mi dice con il suo solito fare divertito.
Lui non è cattivo, lui non sa esserlo, di sicuro finge per qualche strano motivo.
«Ecco a lei, signorina Danielle Dream Brown, i suoi libri. Per l’iscrizione ai corsi estivi devi andare in segreteria, ma credo anche che tu sia in ritardo. Dovevi iscriverti circa un mese fa invece di spassartela» dice, poi mi restituisce alcuni fogli sorridendo. È fin troppo enigmatico. Sa mascherare bene i suoi reali sentimenti.
Annuisco in risposta e prendo i libri. Li stringo a me come se fossero più preziosi dei diamanti.
Si appoggia al bancone coi gomiti e continua a mostrami quell’irritante sorrisino beota. Perché mi fissa? Perché si è avvicinato? Indietreggio dalla paura e sussulto quando inciampo in una sedia. Voltandomi di scatto, alzo lo sguardo e mi ritrovo ad osservare una foto dove è raffigurato John. Mi manca il respiro. «Ciao, pivella. Ci vediamo all’inizio delle lezioni» sussurra. Poi se ne va col suo solito ghigno in viso.
Hai visto? Fai pena pure a lui.
Scappo dalla sala e accelero il passo. Non so dove sto andando, ma so che non sono pronta a tornare a scuola.
Non sono pronta, né ora né mai.
Dov’è il bagno? Devo rinchiudermi in bagno e calmarmi. Devo isolarmi e riprendere il controllo della mia ansia. La pressione è troppa e non riesco più a sostenerla. Non sto respirando. Non riesco a stare in piedi. Mi gira la testa. Vago per il corridoio tenendomi a stento in piedi.
La mano striscia sul muro nel vano tentativo di sorreggermi.
Quando lo trovo ci entro di corsa, lascio cadere a terra i libri e mi levo lo zaino. Mi gira la testa, l'ansia si sta facendo sentire. Chiudo veloce la porta dietro di me e ci appoggio la schiena. Scivolo a terra esausta, priva di forze. Svuotata da ogni residuo d’energia che avevo.
«Dan, calmati, calmati e calmati», sussurro.
Un altro flash compare e un’immagine mi si fissa in testa. Un ragazzo dai capelli e gli occhi scuri che si avvicina a me, porta la mano ad accarezzarmi il mento sorridendo malizioso. Riapro di scatto gli occhi.
Non ti libererai mai di me, mormora la vocina che ho in testa.
Lasciami, ti prego.
Abbandono la testa in avanti e la prendo tra le mani. È da quando sono uscita dall’ospedale che questi strani flash accompagnano le mie giornate. Non capisco se si tratta di un ricordo, una premonizione o è solo il mio cervello che mi lancia dei segnali d’avvertimento.
Ho paura e non sto capendo più nulla. Nessuno mi può aiutare. Nessuno mi comprende. Alzo la testa e mi guardo attorno. Sono distrutta e non riesco a reagire. Sono distrutta e non riesco a piangere. Porto la testa all’indietro, facendola sbattere contro la porta.
Che mi sta succedendo?
Infilo tutti i libri nello zaino e a stento riesco a uscire dal bagno. Con la mano mi sorreggo al muro, ignorando ciò che c’è attaccato. Se qualche disegno si stacca, non è un mio problema, vuole solo dire che non dovrebbe star lì. Giro l’angolo con lo sguardo perso nel vuoto e lo alzo solo per puro caso. I miei occhi notano la figura di quel ragazzo che se ne sta tranquillo e beato appoggiato allo stipite di una porta.
Dio, so che ce l’hai con me per tutto ma, no, non questo di nuovo, ti prego. Faccio finta di non vederlo. Cosa davvero difficile.
POV RICHARD
Quando ho finito mi sono messo vicino all’uscita in attesa di mio padre. Fuori sta per diluviare e di certo non me ne vado a casa a piedi. Che muova il culo lui, visto che non fa un cazzo tutto il giorno.
A un certo punto, noto qualcosa. Alzo lo sguardo e vedo la ragazza ferma lì. Faccio finta di niente e continuo a leggere i messaggi minatori di Sarah.
Cavolo, ma sta sempre al cellulare questa.
Le sue mani si infilano nelle tasche e credo che stia alzando il volume della musica. Respira forte e abbassa lo sguardo. Sta facendo finta di non vedermi, di nuovo. Incrocia le braccia al petto e si stringe nelle spalle, come se volesse farsi più piccola possibile. A ogni suo passo il mio cervello formula una domanda, a ogni suo passo il mio cuore batte sempre più forte. Finché non è davanti a me e tutto va in confusione.
Cazzo.
I miei pensieri ormai sono in subbuglio. Magari la cosa più facile è dirle che sono il suo vicino di casa e quindi che può fidarsi. Sì, insomma, chi non si fida dei propri vicini? Tutti lo fanno. Io lo farei, io l’ho fatto.
Quindi, mentre mi passa davanti, d’impulso scatto verso di lei e cerco i suoi occhi, per avere un contatto visivo. Mi metto tra lei e la porta. Tiene lo sguardo basso e assente. I suoi stupendi occhi azzurri sono come... vuoti?
Le squadro il volto in cerca di emozioni, ma nulla. Non reagisce nemmeno.
Appoggio la schiena contro il maniglione antipanico, cercando di spiccicare qualche parola, ma non ci riesco. I suoi occhi tristi sono riusciti a scalfirmi.
Con una mossa di bacino, apro la porta lasciandola passare. Prima di procedere verso l’uscita, chiude gli occhi e sospira ancora. Quando li riapre, accenna qualche passo ma io la blocco tendendo il braccio.
Devo dirglielo assolutamente, non voglio lasciarla andare senza che sappia. Richiude gli occhi e si acciglia, forse per trattenere le lacrime.
Continuo a fissarla, ma non sono più divertito, anzi, posso dire che sono preoccupato e infastidito dal suo atteggiamento così terrorizzato da me ancora prima che faccia qualcosa.
Mi fa dubitare persino delle mie azioni e della mia scarsa memoria. Magari lei mi conosce e in passato le ho fatto qualcosa, ma non ricordo nulla di tutto ciò. Né lei né il suo volto e tanto meno il suo corpo fin troppo esile per la sua età. Avvicino la mano al suo viso solo per tirare il filo degli auricolari. Accenno un sorriso sbilenco nella speranza di darle conforto.
Non si muove, è paralizzata, come se tutto ciò la stesse spaventando, è terrorizzata e io sto continuando ad importunarla. Che stronzo che sono. Il mio respiro è lento, tranquillo mentre il suo è flebile, quasi impercettibile. Le prendo il mento tra le dita per alzarle il volto, pretendo il suo sguardo, voglio la sua attenzione.
Più le alzo il volto, più lei abbassa lo sguardo.
Cazzo, ragazzina, guardami e smettila di giocare a questo stupido gioco. Perché fai così? Lo so che non cerchi la sfida. Voglio solo che mi guardi.
«Guardami, ti prego» sussurro dolce, ma lei niente, non lo fa. Ma che sta succedendo a questa ragazza? Perché la terrorizzo così tanto ancor prima di averle fatto qualcosa?
Di scatto strizza gli occhi e arriccia il naso. «No, non fare così, voglio solo...» continuo preoccupato.
«L-lasciami, p-per f-favore» bisbiglia O almeno credo, sento le sue parole per puro caso, «n-non r-riesco a g-gestire a-anche q-questo... d-di nuovo. T-ti prego.»
Rimango spiazzato e la lascio andare.
Di nuovo?
Allora è come temevo, lei ha paura di me perché le ho fatto qualcosa in passato? Ma io non sono solito terrorizzare le ragazze.
Non me la ricordo.
«Mi conosci? Ti ho mai fatto qualcosa?»
Non mi risponde. Con tutta la forza che ha sposta la mia mano e corre fuori incurante della pioggia. Non capisco il suo atteggiamento. Non capisco perché ha reagito così di punto in bianco. Ma, soprattutto, non capisco perché la cosa m’interessi tanto.
Prima la prendevo in giro e ora, a tutti i costi, voglio scusarmi? Ma che razza di problema ho? Forse perché è la sorella di Jackson e Mark? Forse perché è la mia vicina di casa e mi è stato ordinato di proteggerla restando nell’ombra? Mi giro a cercarla e, invece di trovare lei, vedo l’auto di mio padre e lui che mi guarda torvo. Come sempre.
POV DANIELLE
Grazie a Dio mi lascia andare e posso scappare a casa. Non m’interessa se sta diluviando.
Quando rientro ci sono tutti. Jay è in salotto a giocare con la console, Mark è incollato sui libri e mamma spadella qualcosa che assomiglia molto vagamente ai cordon bleu con le patatine.
«Ti sei presa i libri? Io non ti porto di nuovo a scuola se ne hai dimenticato qualcuno» quasi mi urla in tono seccato.
«Hai avuto occasione di conoscere il figlio dei nuovi vicini? Ieri sera, quando sono uscito con lui, mi ha detto che sarebbe stato a scuola. È simpaticissimo e credo che diventeremo buoni amici» dice Jackson senza distogliere lo sguardo dalla tv.
«Ma smettila! Lasciala stare con i tuoi tentativi di trovarle qualcuno che possa renderla felice! Non vedi che vuole solo autodemolirsi? Lei non sa cosa sia la felicità» risponde Mark.
Lo ignoro ma, appena il mio piede tocca il primo scalino, sento la sua inconfondibile risata. «Dai, musona, vai ad autodistruggerti tra le quattro mura della tua nuova cameretta.»
Dio com’è amorevole.
Salgo un altro scalino e sento il rumore di una sberla. «Ahi. Ma sei cretino?»
«Stronzo! Smettila di trattarla così» dice Jackson a denti stretti.
Smetto di ascoltare e corro in camera. Il giorno successivo decido, insieme a Jackson, di andare da nostro cugino Scott e dagli zii ad Oxford e rimanerci per tutte le vacanze. Tanto è tardi per l’iscrizione ai corsi estivi, ma passare del tempo insieme a chi mi vuole davvero bene sarà un vero toccasana per me.