Capitolo 1
Semplicemente noi
Qualche settimana dopo.
Frankley, Worcestershire
POV DANIELLE
«Pulce» mi bisbiglia all’orecchi mio fratello Jackson. La testa è pesante a causa delle continue notti insonni. «Svegliati.»
Sono sveglia da circa dodici giorni e dodici notti, per l’esattezza. In pratica da quando sono tornata da Oxford, dove sono stata fino ad ora. Ma lui questo non lo sa.
«Hai un aspetto tremendo. Anche se hai dormito sembri insonne da secoli.»
Strofina la mano sulla mia coscia nel tentativo di darmi conforto.
Ho paura, ma lui non lo sa.
Per noi oggi è un giorno speciale. Quello del trasloco.
Mi sorride appena smetto di fissare senza espressione un punto vuoto e osservo la sua fronte. Lui crede che lo stia guardando negli occhi, ma non è così. Richiudo le palpebre facendogli credere di volere altri cinque minuti di riposo.
Dovrei essere una ragazzina abbastanza solare o almeno penso di esserlo stata. Non so, è una sensazione. Ora invece mi sento un peso.
«Dove sono quei tuoi bellissimi occhi colore del cielo? Posso vederli? Possono guardare i miei?»
Stanca, li riapro, solo per assecondarlo e per essere lasciata in pace. Mi muovo goffa sul letto. Certe ossa sono più visibili del dovuto. Certe ossa sporgono così tanto che sembrano ricoperte dal nulla. Come me, io sono nulla. Non ricordo ciò che ero. O quasi.
Mi solleva, mi aiuta a mettermi a sedere e porta le mani sul mio volto incorniciandolo.
«Oggi iniziamo una nuova vita, ti va? Oggi mi piacerebbe che ti buttassi tutto alle spalle e ricominciassi da capo. Non c’è modo migliore per ricominciare come un trasloco.»
Me lo ripete da quando sono tornata a casa dall’ospedale. È facile per lui. Lui non ha perso la memoria e non ha paura di addormentarsi a causa degli incubi.
Non arretro e non guardo mentre mi toglie il pigiama e comincia a cambiarmi i bendaggi toccando la pelle bianca delle braccia, ormai diventata molto sensibile. Non so cosa c’è nascosto sotto quelle bende né provo l’impulso di scoprirlo. Mi infila la sua felpa della scuola e degli shorts. «Ho impacchettato tutto.» Mi allaccia le solite sneakers bianche dell’Adidas e mi sfrega le mani sui polpacci. Alza la testa e punta gli occhi sul mio volto. Si alza e mi passa le dita tra i lunghi capelli castani, legandoli in una coda fastidiosa, premurandosi d’includere le ciocche che incorniciano il viso. Odio avere i capelli legati. «Spero che ti piaccia come ti ho preparata.»
Più sto coperta meglio è.
Col perenne sorriso sulle labbra mi aiuta ad alzarmi e mi conduce fuori dalla stanza di questo appartamento, ormai troppo piccolo per quattro persone. Non mi ricordo nemmeno di queste mura. Non mi ricordo nemmeno se dietro a quella porta c’è un’altra stanza o un guardaroba.
«Lì ci sono i cereali, muoviti. Siamo in ritardo per colpa tua» mia madre mi dà il solito buongiorno.
Beh, almeno credo sia lei. Sinceramente ho dei dubbi anche sul fatto che questa sia la mia famiglia. Solo Jay si dimostra premuroso nei miei confronti, gli altri sembrano seccati della mia presenza.
«Hai preso tutto? Non è che ci fai ritornare indietro a cercare le tue cose?» chiede Mark senza delicatezza.
È l’altro mio fratello. Lo so perché è identico a Jackson o, come lo chiamo io, Jay. Penso siano gemelli e, da quello che ho capito, hanno circa vent’anni. Credo, non ne sono certa. Entrambi sono biondi e con gli occhi azzurri screziati di verde. Alti e palestrati. Entrambi pieni di ragazze che impazziscono per loro. Almeno è ciò che ricordo.
«Smettila, abbiamo preso tutto.» La voce irritata di Jay lo ammonisce. Le mie valigie le ha fatte lui.
«Non l’ho chiesto a te. Lei ha una lingua e mi sembra che abbia imparato a parlare da anni. Non serve che le fai da avvocato.»
Credo che faccia così solo per ottenere una reazione da me. Dubito che l’avrà.
«Smettila di darle fastidio!» Jay è esasperato mentre tiene il cucchiaio a mezz’aria nel vano tentativo di farmi mangiare.
Non voglio. Non mangio realmente da qualche giorno, ormai non ricordo più da quando.
«Smettetela entrambi. E incominciate a caricare la roba in macchina. Il resto andrà nel camion. Se non ci sta resterà qui.» Annie continua a inscatolare le cose mentre parla.
«Io la mia roba l’ho già caricata sul furgone. La sua non la porto» sbuffa Mark indicando la mia figura.
«Jay, smettila di comportarti così. Prima si carica, prima saremo per strada» si lamenta mia madre puntandogli una candela contro. Mark sbuffa e alza gli occhi al cielo.
Annie, alias mia madre, sembra stenti a riconoscerli. In questi giorni, in diverse occasioni ha chiamato l’uno col nome dell’altro. Per lei sono completamente identici, senza differenze, è più interessata a stare dietro al suo fidanzato che a dedicare del tempo ai suoi figli.
Soprattutto questa notte, quando li ho sentiti litigare su cosa fare e su chi si occuperà di me. Mi ricordo che Mark ha accennato al college.
«Sono Mark. Jay è quel beota là» ribatte, poi indica con disprezzo il fratello.
Jay è riuscito a farmi mangiare almeno qualche cucchiaiata di questi cereali colorati che nel latte hanno un sapore disgustoso. Sanno di cartone.
«Stai sempre a lamentarti, non ti chiediamo cose assurde» scatta Jay prendendo la tazza e portandola al lavello. Con pochi ma decisi movimenti, la sciacqua e la ripone nello scatolone.
«Sì, mi lamento perché non mi va di essere paragonato a te che stai buttando la tua vita per stare dietro a lei, non ti sei neanche iscritto ancora al college, ti rendi conto?»
«Non è affare tuo cosa faccio, hai capito? Lei è nostra sorella e ha bisogno di noi e non capisco perché ti comporti così. Facevi una figura migliore a restartene al campus per le vacanze invece di tornare qui e fingere di darci una mano.»
Non voglio che litighino. Non è bello quando lo fanno. Non è bello quando, dopo aver litigato, non si parlano e solo ieri è successo un milione di volte.
«Sa badare a sé stessa e, a essere sincero, sono io che non capisco perché si comporta così. Cosa crede di ottenere? Ma poi, perché sto ancora qui a parlarti?» sbuffa Mark per poi allontanarsi quando si accorge che Jay ha già rivolto la sua attenzione verso di me.
«Vuoi che andiamo a salutare Anna? Dovrebbe essere a casa» mi chiede in tono premuroso. Annuisco felice perché l’unica cosa positiva di questo quartiere sono i vicini di casa, i signori Lenard, due anziani molto vispi e moderni sulla settantina, che ci hanno fatto da nonni adottivi preoccupandosi in varie occasioni per la nostra sopravvivenza. Come scordare queste gentilezze?
«Sono usciti a fare la spesa. Non torneranno prima di pranzo. Ma noi saremo già lontani da qui» annuncia Annie.
«Cosa? Hai detto loro che andavamo via, spero. Hai lasciato il nuovo indirizzo?» la sgrida Jackson.
«Ti ricordi che abbiamo deciso di scappare senza che lo sapessero? Fa parte del programma protezione testimoni nel quale siamo finiti per colpa sua» interviene Mark che si guadagna un’occhiataccia di Jackson.
A Mark piace mettere a dura prova la pazienza di suo fratello.
«Non dargli ascolto. Sai che ci trasferiamo per il lavoro di mamma.»
A quanto sembra, ad Annie è arrivata una lettera di assunzione per un posto vacante come infermiera al Queen Elizabeth Medical Center a Birmingham ed è stata gentilmente pregata di prendere sevizio prima possibile. «E perché la nuova scuola è troppo lontana per te.»
Già, stranamente la vecchia scuola superiore dei miei fratelli ha accettato la mia domanda d’iscrizione che io non ho mai compilato né mai inviato, anche se Jay sostiene il contrario. Come si può credere che una rinomata scuola si abbassi a prendere in considerazione la domanda d’iscrizione di una sedicenne che fino al giorno prima ha frequentato tutt’un altro indirizzo di studi?
«Vedrai che ti piacerà la mia vecchia scuola. Ti farai molti amici. Prendilo come un nuovo inizio.» prosegue Jackson che vede in tutto ciò un segno del destino. Continua a dire che è una svolta positiva, una cosa meravigliosa. Sarà anche così, ma io non sono pronta a tornare a scuola, anche se è un’altra. Non riesco a ricordare chi sono, non so neanche se sono in grado di scrivere o leggere.
«Certo, tutti vorranno essere suoi amici. Faranno a pugni per sedersi al suo fianco in mensa, litigheranno per poterci parlare e, magari, portarla al ballo. Come se fosse la ragazza più popolare dell’universo» borbotta Mark.
Scuote la testa, come se volesse scacciare l’idea di una me socievole. Lui mi ha sempre parlato di questa opportunità in un modo più inquietante e fantasioso per non dire odioso. Dice che la nostra famiglia è stata inserita nel programma protezione testimoni da quando sono nata perché nostro padre, John, è un vero mafioso a capo di un clan molto influente e per questo ha parecchi nemici in giro per il mondo. Ecco perché io sono finita in ospedale. Dice che ho pestato i piedi a qualcuno di loro.
Sostiene anche che Vincent, l’eterno fidanzato di nostra madre, è un agente segreto travestito da poliziotto incaricato da John di vegliare su di noi per la nostra protezione. In pratica, siamo stati scoperti per colpa delle mie bravate.
Che mai avrò combinato? Non ricordo nulla. Mark aggiunge anche che d’ora in poi devo dimenticarmi del mio vero nome e farmi chiamare Kelly Mand. Quando racconta questa sciocchezza nostro fratello si infuria intimandolo di smettere. A me urta questa presa in giro visto che invece di aiutarmi, mi fa solo perdere la voglia di provarci.
«Andiamo.» Jay porta le sue forti mani sulle mie spalle, stringendole piano.
Mi aiuta ad alzarmi da questa sedia e mi trascina con sé fuori dall’appartamento. «Salgo dietro con te, ok?» sussurra passandomi il braccio intorno alle spalle.
Salgo senza nessun problema. Jay sarà sempre con me a proteggermi e questo mi rasserena.
D’ora in poi sarà tutto nuovo, casa nuova, scuola nuova, amici nuovi ma soprattutto vicini nuovi. Dovrò spiegare tutto a tutti o ricomincerò e basta? Sentirò la mancanza dei Lenard?
«Che succede?» bisbiglia dolcemente Jackson attirando la mia attenzione. «Hai altri ricordi?» Lo guardo stranita.
Ricordi? Oh, certo che no. La sua fronte è corrugata e non gli si addice per nulla. Chiudo gli occhi e, quando li riapro, li fisso nei suoi. Per la prima volta da giorni, lo osservo e gli sorrido. Scuoto la testa prima di distogliere lo sguardo e continuare a osservare le case che scorrono. Secondo lui io non ricordo nulla, la mia mente ha cancellato ogni minimo ricordo per farmi reagire al meglio. La cosa migliore è lasciargli credere che sia così, non posso dirgli la verità sui flashback e sugli incubi che mi perseguitano. E mostrano una me che non ricordo, che spero non mi appartenga. Incrocio le dita sperando di non aver detto una cavolata.
«Ne sei sicura? Ti vedo troppo pensierosa» bisbiglia di nuovo.
Questa volta porta la mano a stringermi il ginocchio. Un brivido, il primo, mi percorre la schiena. Socchiudo le palpebre e annuisco di nuovo.
«Lasciala stare. Lei vive nel suo mondo fatato di cui noi non facciamo parte» ridacchia Mark che si è seduto al posto di guida.
Intercetto il suo sguardo schifato mentre mi fissa dallo specchietto retrovisore. Mamma è davanti a me.
«Non sto parlando con te, quindi sei pregato di non aprire quella boccaccia.»
Ecco ciò che sono riuscita a creare. O a distruggere. Mark e Jackson litigano sempre a causa mia.