Capitolo 6 - Complicazioni (Christian)
La mia entrata in scena era stata di sicuro effetto. In pochi minuti fui attorniato da ragazze e ragazzi, attratti più che altro dalla mia performance, e dallo spettacolo che aveva animato questa festa, destinata a finire nella noia più assoluta.
Lo scopo era stato raggiunto.
Daniel e Jordan si erano fatti da parte, erano ancora lontani dal resistere così bene al sangue umano, quando questo fosse stato così a contatto, mentre io ero stato addestrato in modo impeccabile.
Tolsi il mantello e lo poggiai sul divanetto, tre ragazze mi s’incollarono addosso presentandosi con veemenza.
Feci la loro conoscenza cercando di essere l’attrazione della serata.
Sapevo che gli umani ci trovavano attraenti, era la nostra arma migliore ma anche la più pericolosa.
Un solo sbaglio e tutti i nostri piani sarebbero stati vanificati.
Nel momento in cui cercai di scostarmi da quella calca, avvertii uno spasmo atroce risalire nella gola.
Un fuoco ardente, bruciante m’investì all’improvviso scatenandomi una sete recondita, antica, di cui non ricordavo la potenza.
L’aroma di un sangue dolce, celestiale e sublime occupò le mie narici e tutto intorno a me si fece sfuocato.
In quello stesso istante le parole di Polack si fecero nitide nella mia testa ‘Ne sentirai l’odore e allora capirai che di fronte a quel richiamo ogni vampiro è chiamato a soccombere. È la sua arma quella, quel sangue malato è stato creato per distruggerci.”
Girai la testa costernato e focalizzai la fonte di quell’odore spudorato, sfrontato e impudente. Proveniva dalla ragazza della lezione, quella che aveva sostituito il professore al mio arrivo.
Misi a fuoco il suo viso, poi scesi sul suo braccio dominando l’impulso devastante di aggredirla e di bere quel sangue che zampillava copioso sul pavimento.
Il suo richiamo era impossibile da trattenere, eppure ciò che distolse per un attimo la mia sete di sangue, fu l’espressione spaventosa dei miei compagni.
Vidi Daniel e Jason avanzare verso di lei, sembravano entrambi impazziti, dovevo fare qualcosa, qualcosa di immediato, ma avevo anche il problema di dominare i miei impulsi e fare spazio al mio autocontrollo.
Attraversai la distanza che mi separava da loro, agguantai le loro braccia poi ordinai “Uscite subito! Penso io a lei.” Mi guardarono costernati cercando di riprendere il controllo, poi eseguirono gli ordini.
Fui davanti alla ragazza in un battito di ciglia, nessuno dei presenti fu in grado di capire cosa fosse successo, nemmeno lei stessa.
La ferita era profonda, per poco non persi il senno.
“Faresti bene a fermare quel sangue” dissi, con un tono che non ammetteva repliche.
“Ci sto provando” rispose “ma devo raggiungere la mia borsa” aggiunse mostrandosi molto agitata. Non avevo altra scelta se non quella di avvicinarmi di più a lei e di guardare quel taglio che mi stava provocando uno spasmo senza precedenti.
Trattenni il fiato poi presi la mia decisione, la guardai negli occhi soggiogando la sua mente e ordinai “Non c’è tempo, vieni ti porto al pronto soccorso, quel taglio ha bisogno di punti.”
La trascinai fuori velocemente, dubitai che avesse compreso come avessi fatto, e quando fui nel parcheggio estrassi due felpe, una la indossai e l’altra la poggiai sulle sue spalle “Fa freddo” dissi “vieni la macchina è vicina” aggiunsi poi.
Coprii quel taglio invitante col mantello del costume e obbligai i miei sensi a dimenticare quella visione.
Quando fummo per strada riuscii perfino a parlarle.
“Terrai ancora lezione domani?”
“No, era solo una punizione” rispose, sviando lo sguardo.
“Peccato” replicai “sai esprimerti come pochi sanno fare.”
Se l’era meritato quel complimento, la sua dialettica era stata impareggiabile, volse lo sguardo verso di me e quello che notai mi lasciò disarmato.
Era così dannatamente ordinaria, un’umana così distratta e capace di ferirsi con un costume da quattro soldi, portava dentro di sé l’unica arma in grado di annientarmi. Com’era possibile che Dio avesse donato un potere tanto grande a un essere così piccolo, indifeso e incapace di proteggersi?
Mi sarebbe bastato allungare la mano per ucciderla, ma per qualche assurda ragione il gesto non arrivò. Mi ci era voluto un anno intero di addestramento per prepararmi a questo momento, e adesso tutto mi sembrava così assurdo, così facile, così dannatamente senza rischi.
Perché? C’era qualcosa che non riuscivo a spiegare, qualcosa che mi convinse a restare in attesa, ad aspettare, avrei potuto ucciderla in qualsiasi momento se l’avessi voluto, ma quel momento non era ancora arrivato.
Fissai il suo volto e lessi ammirazione nei suoi occhi, ammirazione per il gesto che avevo appena compiuto. Era diversa dalle altre ragazze, il suo sguardo non aveva nulla a che fare con l’espressione languida che avevo notato in tutte le altre con cui ero entrato in contatto, sembrava così estranea al mio potere di seduzione che quasi ne restai deluso.
“Grazie” disse “anche per questo” aggiunse alludendo all’incidente.
Non dissi una parola ma poi lei parlò cercando di spezzare quel silenzio che improvvidamente era calato,
“Mi chiamo Mia” disse semplicemente, decisi di risponderle, in fondo era cortese farlo “Christian, piacere di conoscerti.”
Sembrò riprendersi “Mi dispiace” disse ancora “ti ho rovinato la serata”, stavo per risponderle che mi aveva dannatamente fatto un favore, perché avrei potuto impiegare mesi per scovarla, invece lei mi era caduta davanti, servita sopra ad un piatto d’argento.
Pensai agli occhi di sangue di Daniel e Jordan stampati ancora nella mia mente, se non li avessi fermati l’avrebbero sbranata soccombendo alla vera morte.
Deglutii, fu in quel momento che capii quanto quella ragazza fosse pericolosa.
Guardandola, nessuno avrebbe immaginato quale pericolo portasse dentro di sé, forse era questo il vero pericolo per noi vampiri.
Ciò che ti distrugge può assumere le vesti di ciò che non temi, è allora che puoi essere annientato.
Cacciai quel pensiero insidioso e mi apprestai a risponderle.
“Non hai rovinato proprio niente, era una noia mortale” dissi, con un piglio sarcastico, “Hai ragione, devo dire che la tua entrata però mi è piaciuta, avevi un bel costume.” Riuscì a farmi ridere, una cosa davvero inaspettata.
“Grazie, la bara però era scomoda” scherzai, lei iniziò a ridere.
L’atmosfera si distese al punto che la ragazza prese coraggio “Hai un tatuaggio davvero interessante” esordì, lasciandomi esterrefatto.
“Tu credi?” domandai piuttosto sorpreso, “Sì, è un simbolo celtico vero?” ribatté, per poco non sbandai, solo i miei riflessi m’impedirono di perdere il controllo.
“Così mi hanno fatto credere” dissi, ma la mia risposta le fece corrugare la fronte.
“Ti fai un tatuaggio senza sapere il suo significato? È strano non credi?” chiese piuttosto contrariata, certo avrei dovuto inventarmi qualcosa, qualcosa di credibile per fornirle una spiegazione che fosse logica.
“In realtà è stato un regalo, e chi me l’ha fatto non ha voluto svelarmi nulla, sarebbe spettato a me scoprirlo” spiegai, piuttosto sorpreso dalla soluzione che avevo inventato.
“Capisco e…l’hai fatto?” rincalzò Mia, “No” risposi secco, “Perché?” continuò imperterrita, “Non ho mai trovato nulla che si avvicinasse a quel simbolo, nulla che ne spiegasse il significato” conclusi.
Il suo viso s’illuminò all’improvviso.
“Forse potrei aiutarti se… t’interessa” disse tutto d’un tratto, se avessi avuto il cuore di un tempo, sarebbe partito a razzo.
“Continua... ti prego” suggerii, “Ho già visto quel segno, devo solo ricordarmi dove” disse scuotendo il capo.
Quell’esclamazione m’incuriosì.
“E quanto ci vorrà perché la tua memoria torni?” domandai ammiccando, “Questa è una domanda difficile, di solito capita quando meno me lo aspetto” disse regalandomi un dolce sorriso.
“Capisco... comunque siamo arrivati, ti conviene scendere e recarti subito al pronto soccorso” ordinai, lei mi guardò perplessa, “Tu non vieni?” chiese, “No, gli ospedali mi provocano la nausea” mentii.
“Okay, allora vai pure, chiamerò mio padre quando avrò finito” aggiunse, in tono chiaramente deluso, “Sei sicura?” chiesi piuttosto frustato, “Sì, ti ho già disturbato abbastanza” aprì la portiera e fece per uscire, “Ciao e grazie molte” disse ancora.
“Di niente Mia, ma... se ti torna la memoria, fammi un fischio” dissi “Ci proverò” replicò, quindi chiuse la portiera e si diresse all’ingresso del pronto soccorso.
Restai qualche minuto in attesa, finché non la vidi entrare, poi cercai di capire il motivo per cui non avevo deciso di ucciderla all’istante, mettendo la parola fine alla mia missione.
In realtà i motivi erano due: il primo era dettato dal fatto che mi era piovuta addosso con troppa facilità, da che combattevo non mi era mai capitata una fortuna simile e io alla fortuna non avevo mai creduto; il secondo era la curiosità di scoprire qualcosa circa il segno che da tempo immemore era tatuato sulla mia pelle.
Se davvero avessi scoperto il significato del mio tatuaggio, forse avrei potuto recuperare qualche ricordo umano, in fondo non avevo nulla da perdere nell’aspettare qualche giorno in più, ormai era solo questione di tempo, conoscevo il suo segreto letale, e da come l’avevo domato, non avrebbe più rappresentato un pericolo per me.
L’aroma del suo sangue mi era entrato così dentro, che sarei riuscito a dominarlo ancora di più.