Capitolo 7 - La scoperta
Mio padre fece la sua più grande sfuriata. Non solo dovetti sorbirmi la solita ramanzina riguardo alla mia salute, ma ebbi la punizione più dura degli ultimi anni.
Niente week end al mare, niente uscite serali, solo scuola e casa per un mese intero.
Quando si calmò ebbi il coraggio di sfogare tutta la mia rabbia “Preferisco morire” dissi “che vivere in questo modo.”
Le mie parole lo ferirono perché fece un gesto che non gli avevo mai visto fare prima.
Pianse.
“Papà” chiamai, lui mi guardò, i suoi occhi riflettevano il suo tormento, un tormento che nasceva dal profondo.
“Hai ragione Mia, su tutta la linea, ma non posso cambiare quello che sei” disse mesto.
“Cosa sono papà? Un caso senza speranza, una mina vagante che circola senza meta, pronta a scoppiare in qualsiasi momento. Lo capisci che non posso più vivere così? Ho vent’anni e non ho neanche una vita. Vorrei che questo sangue maledetto che mi scorre nelle vene fosse acqua, così potrei sciogliermi, sparire, morire per sempre” imprecai, mostrando tutta la mia disperazione.
“Tu non puoi capire, tesoro” disse mio padre, ad un tratto m’infuriai “Sì invece! Posso morire è vero, ma questo non significa che debba rinunciare a vivere, non sconterò la punizione papà, dovrai legarmi per costringermi a stare in casa!”
Lui mi guardò serio, si alzò e mi raggiunse, “Ascoltami Mia, facciamo una tregua va bene? Non ti punirò per questa volta, ma tu devi cambiare le tue abitudini” suggerì, lo guardai torva “Quali abitudini? Io non ne ho! Sono così ordinaria, così pianificata, così organizzata nella prevenzione, che non riesco minimamente a capire cosa cambiare, vuoi dirmelo tu forse?” chiesi fissandolo nelle iridi, “Evita le feste per un po’, cerca di trovare altri interessi meno impegnativi, e concentrati sugli studi” disse. Sbuffai arrendendomi, “Le solite cose” borbottai, lui cercò un contatto allargando le braccia “Ti voglio bene tesoro, odio queste scenate” esclamò, era sincero, lo sapevo che aveva una tremenda paura di perdermi, ma se la mia vita fosse andata avanti in questo modo, mi sarei perduta io.
Ricambiai il gesto abbracciandolo forte, chiusi gli occhi rilassandomi e fu in quel momento che mi ritornò in mente dove avevo visto quel simbolo celtico.
All’improvviso mi staccai, cercai il suo sguardo e chiesi “Papà, hai ancora quell’antico libro che hai preso all’asta?” lui corrugò la fronte “Si, perché?” rispose, “Ehm… mi sono ricordata solo ora che devo fare una ricerca sul simbolismo antico.” Finalmente sul suo volto comparve un sorriso beato, “Bene, vedo che hai preso i miei consigli alla lettera. È riposto in cassaforte, ora te lo consegno ma trattalo con cura, sai che è un libro di enorme valore per me” disse, “Lo so papà.”
“Bene” concluse, e si apprestò a fare quanto richiesto.
La copertina di quel libro mi aveva sempre affascinato.
Aveva una rilegatura d’altri tempi, curata e fatta a mano, ogniqualvolta che la toccavo risvegliava in me sogni antichi, epoche passate, mondi sconosciuti.
Trovai la sezione dei popoli Celtici, poi, in fondo, un’appendice catturò la mia attenzione. Non era una pagina del libro, era un foglio aggiuntivo ripiegato su sé stesso contenuto in una busta di plastica.
Corrugai la fronte cercando di capire cosa fosse. Non restava che scoprirlo. Tolsi quel foglio dalla busta e lo sciolsi dalla sua piegatura.
Lessi le prime parole poi fu il delirio.
Era una strana codifica legata a simboli che risalivano al Medioevo.
Il linguaggio era incomprensibile per me, ma le parole in latino riuscii a tradurle. Memorizzai la descrizione e il significato, ma lo feci come se avessi commesso un reato, non so perché pensai di aver violato qualche segreto, eppure la sensazione fu quella.
Nello stesso momento in cui quel pensiero s’insediò nella mia mente, vidi mio padre dirigersi verso di me a gran passo.
La reazione fu che ripiegai quel foglio e lo inserii esattamente dove stava.
“Quella Mia, non fa parte del testo, è una busta che avevo dimenticato e mi appartiene, ti chiedo di non aprirla” ordinò secco.
Deglutii, ormai era troppo tardi, ma riuscii a sviare il suo sguardo, mio padre si avvicinò, prese la busta e la ripose nella giacca.
“Ma…” balbettai, lui alzò il sopracciglio destro “Mi auguro che tu non l’abbia aperta, spero” disse con due occhi che parevano due tizzoni ardenti, “No! Certo che no, ma cosa c’è scritto, papà?” mentii spudorata “E’ solo lavoro tesoro, solo lavoro, ma è top secret” spiegò.
“Ah!” esclamai, rilassando il collo e le spalle.
Si allontanò a grandi passi lasciandomi senza parole.
Presi carta e penna e scrissi ciò che avevo memorizzato; quindi, nascosi il foglio nella tasca della felpa.
Talvolta odiavo il lavoro di mio padre.
In realtà non l’avevo mai capito fino in fondo. L’agenzia per la quale lavorava era innominabile, nel senso che commerciava formule chimiche top secret; pertanto, non si poteva pronunciare nulla che non fosse più che autorizzato, e la maggior parte delle volte non lo era.
Ero stata nel suo laboratorio bunker una sola volta, quando la mamma era morta, poi non ci avevo mai più messo piede.