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Capitolo 4 - Christian

Era strano che non ricordassi più quell’intenso aroma che gli umani si portavano dentro la pelle, eppure l’addestramento me lo aveva fatto quasi dimenticare.

Per un intero anno avevo bevuto solo sangue artificiale, talvolta animale, per prepararmi a ciò che avrei dovuto compiere.

Eravamo in tre ad essere stati scelti, ma io portavo il fardello più pesante, quello che avrebbe determinato o la buona riuscita della missione, o il devastante fallimento.

La nostra specie correva un serio pericolo, da sempre si era a conoscenza che avrebbe potuto essere annientata da un essere umano tramite un sangue molto raro, un sangue che ci avrebbe sterminato.

L’unica traccia conosciuta che ci avrebbe permesso d’iniziare la nostra caccia sarebbe stata la conferma di una segnalazione ricevuta, circa una remota località del Canada, ossia la piccola cittadina dove ci eravamo appena trasferiti.

Si raccontava che ci fosse qualcuno che portasse dentro di sé un sangue distruttore, noi avremmo dovuto stanarlo, e porre fine alla sua vita.

E allora ecco profilarsi la pianificazione della missione, io avrei frequentato l’Università, Jordan avrebbe occupato un impiego pubblico, mentre Daniel avrebbe cambiato sistemazione a seconda delle esigenze.

Finalmente stasera si sarebbe materializzata un’occasione stuzzicante e interessante, una festa che gli umani amavano fare nella notte di Halloween.

Se avessero saputo quali retroscena celava quella festa, avrebbero posto un veto perfino sulla parola da pronunciare.

Stamane mi ero iscritto all’Università scegliendo la facoltà che più mi appassionava: storia dell’arte.

Era affascinante rivivere la storia delle opere che avevo visto nascere all’epoca in cui erano state create. Questa parte della mia vita oscura era l’unica in grado di scatenarmi dentro deboli sussulti, somiglianti quasi ad una sorta d’emozione recondita, che probabilmente giaceva annidata chissà dove, nei meandri della mia vita umana.

Non avevo più ricordi che testimoniassero il mio passaggio da umano, tranne un segno, un marchio che avevo scoperto sulla mia pelle: un tatuaggio.

Raffigurava un simbolo di cui non conoscevo nulla, e al di sotto dello stesso, una parola in una lingua dimenticata, ne delimitava la fine. Avevo cercato in ogni angolo della terra il suo significato, ma non avevo scoperto nulla, se non il fatto che era di origine celtica.

Il mio creatore mi aveva abbandonato molto tempo fa, si era immolato per proteggere la Casata, lasciando un vuoto che non avevo ancora colmato. Eravamo rimasti in pochi, contavamo circa cinquanta vampiri nel mondo, di cui tre erano antichi, ed erano a capo delle ultime tre Casate rimaste.

Ed ora eravamo in pericolo di estinzione.

Se avessi fallito la caccia, avremmo dovuto ritornare nelle tenebre della terra e vivere come un tempo, quando potevamo emergere solo di notte.

Grazie al siero diurno, sintetizzato da Polack, il vampiro più antico della nostra Casata, potevamo vivere tra gli esseri umani senza correre il rischio di essere riconosciuti.

Ogni iniezione durava diciotto ore, durante le quali la nostra temperatura raggiungeva i trentasei gradi, come quella umana, rendendo la nostra pelle calda al tatto.

Il cuore, però, restava muto, pertanto avremmo dovuto evitare come la vera morte, tutti i medici in circolazione.

Ci nutrivamo di sacche artificiali, ma di tanto in tanto non disdegnavamo sangue animale che al gusto era decisamente più piacevole, nulla a che vedere col sangue umano ovviamente. Da quello avremmo dovuto stare alla larga il più possibile, solo evitandolo avremmo potuto condurre una vita quasi al pari degli umani, anche se il gusto dolce e caldo del sangue pulsante che scorreva nelle vene di ogni persona con cui venivamo in contatto, continuava a scatenarci dentro l’antica brama della nostra natura.

Una brama che annientava il cervello.

Ricordavo ancora la volta che avevo morso la mia ultima vittima, ne serbavo ancora il sapore nella mia mente, un sapore celestiale, divino, quasi paradisiaco, ma la scelta di non essere più un assassino era stata più forte.

Avevo deciso che non avrei più voluto essere un mostro.

“Sei pronto?” la voce di Daniel mi arrivò dalle spalle, “Sì” risposi, “Allora andiamo, Jordan ci sta aspettando fuori” disse.

Sistemai il mantello nero e mi guardai riflesso nel grande specchio a parete. Era così surreale indossare il costume da vampiro sapendo di esserlo, di mostrare così spudoratamente la mia natura, eppure mi sembrò la scelta più ovvia e divertente.

Daniel e Jordan, invece, vestivano i panni di due becchini che avrebbero trasportato la bara dalla quale sarei uscito al culmine della festa. Così facendo avremmo avuto la possibilità d’integrarci tra tutti i presenti, in modo da iniziare la nostra ricerca.

Pochi minuti e fui rinchiuso, giusto il tempo di focalizzare tutte le mosse che avrei dovuto fare dopo la mia ‘entrata in scena’.

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