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4/155. Brividi

!! Attenzione: il presente capitolo potrebbe contenere descrizioni che il lettore potrebbe trovare disturbanti, come la violenza domestica e la violenza sessuale. Si consiglia cautela nella lettura. Il lettore è avvisato.

Violet aveva finito di sistemarmi i capelli ed il trucco.

Si era allontanata per prendere le sue cose, eravamo ormai pronte per avviarci verso la chiesa, ma io non riuscivo ad alzarmi dalla sedia e mi fissavo con terrore allo specchio.

Quei ricordi di quando eravamo bambine e di come ci eravamo incontrante e del nostro terribile passato che aveva contribuito ad unirci così tanto, avevano scatenato in me una serie di emozioni che non fecero altro che trascinarmi nel vortice dei ricordi.

Aveva ragione Violet. In quei sei mesi avevo sperimentato un sentimento nuovo, ma soprattutto brividi completamente diversi da quelli che si erano impossessati di me quella notte di più di dieci anni fa.

Mio padre era rientrato ubriaco fradicio quella notte, ma invece di andarsene a letto si diresse in camera mia.

- Hope? Dormi? Ma certo che dormi…che ne vuoi sapere tu dei tormenti che mi tengono sveglio. – disse sussurrando mentre si dirigeva verso di me e delicatamente si mise a sedere sul mio letto.

Aveva iniziato a fissarmi e non potei dire se fu premeditato il suo attacco o un istinto risvegliatosi in quel momento, fatto sta che una bestia malvagia che si nascondeva nelle pieghe della sua anima, disinibita dall’alcol, riuscì a prendere il sopravvento.

- Sei proprio uguale a tua madre! – mi sussurrò pieno di lussuria, mentre si sdraiava accanto a me iniziandomi ad accarezzare, prima il viso, poi i capelli, spostandosi pian piano sulla spalla.

La mia mente si destò in allarme: quelle non erano le carezze affettuose di un padre ma il palpeggio voglioso di un animale.

Tenne chiusi gli occhi, come se non guardare, potesse liberarmi da quell’incubo, come se non guardare non lo rendesse reale.

Ma lo era. Lui proseguì palpandomi i seni e scendendo più in basso, ansimando e mugugnando senza vergogna.

Ero terrorizzata e pietrificata, sentimenti contrastanti si stavano impossessando di me, sensazioni che non conoscevo e che non capivo, prendevano il sopravvento facendomi tremare, provavo brividi intensi ma non erano freddo, non erano paura, erano qualcosa di diverso che non potevo definire. Tutto il mio corpo si era irrigidito e strane sensazioni agitavano il mio essere e un senso di vergogna e pudore violato si impossessò di me, facendomi sentire sporca, inadeguata, indegna.

Lui non proseguì oltre. Gli bastò solo quello per soddisfare sé stesso. Si alzò e se ne andò come se nulla fosse, lasciandomi completamente a pezzi, devastata e privata della sua dignità. Non c’era più fiducia in me, la mia innocenza di non c’era più, tutto era sfumato in quei pochi ma infiniti minuti di sofferenza.

La mattina seguente, sgattaiolai fuori di casa, facendo attenzione a non incontrare il mostro che aveva definitivamente sostituito la visione di padre buono a nulla che mi ero costruita di lui negli anni.

Prima lo disprezzavo e talvolta lo compativo, adesso lo odiavo, lui era il diventato il mio peggior nemico, mi aveva fatto sentire sporca, in colpa e terrorizzata all’idea che le azioni di quella notte potessero accadere di nuovo, con la sensazione che avrebbe potuto spingersi oltre.

Anche se avevo perso completamente fiducia nel concetto di famiglia come rifugio e protezione dalle difficoltà della vita, visto che per me costituiva il luogo in cui prendevano vita, ancora ingenuamente credevo nella giustizia e nella capacità di giudizio degli adulti. Perciò, anche se non fu facile prendere la decisione di raccontare tutto al coordinatore di classe.

Esposta davanti a quella donna che per me non contava nulla, dovevo raccontare qualcosa di così umiliante e intimo, ma lo feci perché dovevo proteggermi, perché non volevo mai più sentirmi violata come quella notte.

Avevo bisogno di un adulto per sconfiggere un altro adulto.

- Sei davvero sicura di ciò che mi stai raccontando? Insomma queste sono accuse gravi Hope! – mi chiese sbalordita.

- Professoressa, io non so che dirle a parte che le ho raccontato la verità. Neanche io so come sia potuta accadere una cosa del genere, insomma… - e mi interruppi non sapendo neanche io bene cosa dire.

Ma l’insegnate non si dimostrò all’altezza del compito. Invece di allertare i servizi sociali o, meglio ancora, le autorità perché intervenissero a proteggermi, lei convocò mio padre.

Per me fu la fine.

Una volta a casa, lui sfogò la sua ira su di me, pestandomi come si fa con l’uva per la vendemmia, peggio di come avesse mai fatto con mia madre.

- Sei come tua madre! Vuoi rovinarmi! – urlava, mentre mi picchiava con tutta la forza che aveva – Lei non è riuscita a mandarmi in galera e ci vuoi provare tu? Ma io ti faccio fare la sua stessa fine! Ingrata! Ti ho dato la vita e così mi ripaghi? Tu mi appartieni!

Ma io non era mia madre, non sarei mai stata come lei, non volevo diventare come lei.

Piena di lividi, tra singhiozzi e lacrime, mi nascose sotto le coperte, cercando di sopravvivere alla mia disperazione, mentre, in salotto, il mostro affogava nell’alcol tutta la sua meschinità.

Fu in quel momento che compresi che non sarei dovuta rimanere lì. Tra poco la bestia che albergava in suo lui sarebbe riemersa e cosa ne sarebbe stato di me?

- Scappa Hope! Scappa! Lì fuori non può essere peggio di qui! – mi ripetevo – Fatti coraggio! Esci dalla finestra! Puoi farcela! Sei solo al primo piano!

Tremavo mentre silenziosamente mi vestivo, afferravo un cambio di vestiti, lo riponevo nello zaino e scavalcavo la finestra di casa, allontanandomi dal vialetto.

Il vero problema, quando si subisce una violenza non è avere il coraggio di scappare, ma trovare i mezzi per non finire di nuovo tra le grinfie dell’aggressore.

Non aveva amici, non avevo parenti che potevano proteggermi, ero una reietta, la causa del fallimento dei miei genitori, dove sarei potuta scappare? Chi l’avrebbe protetta?

- Sono un mostro! – pensò mentre guardavo la mia faccia tumefatta riflessa sulla vetrina di un negozio.

Lo ero davvero, sia fuori che dentro. Soprattutto dentro, perché avevo iniziato a pensare di essere sul serio una figlia ingrata, che forse le pretese di mio padre erano giuste, che essendo sua figlia, lui potesse fare di me ciò che voleva e quei pensieri mi portarono a fermarmi e ad accarezzare l’idea di ritornare a casa e accettare il mio destino, perché forse quello che mi era capitato era giusto, perché forse le cose dovevano andare così.

Poi una sensazione strana si impossessò di me, ero troppo giovane per comprenderla, ma da allora non mi abbandonò più. Viene definita in molti modi, ma per me ha un significato solo: istinto di sopravvivenza.

- NO! Non sono un mostro! Loro lo sono! Non farti ingannare Hope! Non permettere alla disperazione di offuscare il tuo giudizio! Hai 16 anni! Sai cosa è giusto e cosa è sbagliato! Lo hai sempre saputo! Va’, raccogli tutto il tuo coraggio e fai ciò che devi! – questo mi ripetei nella mente per tutto il tragitto, fino all’ospedale e poi alla stazione di polizia.

Coloro che mi avevano dato la vita stavano cercando di annientarmi, ebbene in nome di quello stesso dono, non glielo avrei permesso.

Con il referto dell’ospedale, mi recai alla polizia per denunciare mio padre per molestie. Certo non fu facile sopportare ciò che venne dopo, ma fui liberata da quell’incubo e fu in quel momento che incontrai Violet.

Fu solo grazie a quello che fino a questa mattina credevo sarebbe diventato mio marito che riuscii a trasformare quei brividi di disgusto in brividi di piacere. Un piacere intenso genuino e travolgente che non credevo potesse esistere.

E come per magia la sofferenza della mia fuga fu sostituita dal sapore di menta del mio primo, intenso bacio.

Ripensai alle sue mani calde che avevano accolto delicatamente il mio volto guidandolo verso di sé. Le sue labbra carnose che si erano appoggiate dolcemente sulle mie, mentre muovendosi delicatamente si aprivano un varco tra le mie, tremanti ed inesperte. Poi il primo brivido, diverso da quelli che avevo avuto quella notte terribile, profondo, puro, accogliente, rilassante che mi trasmetteva solo dolcezza, affetto e sicurezza. La mia mente iniziò a ricordare anche tutti i brividi che seguirono, quando la sua lingua iniziò a danzare insieme alla mia, insegnandogli passi mai osati prima, brividi così intensi e sconvolgenti ma sempre piacevoli, che mai mi fecero sentire sporca o inappropriata.

- Ehi piccola? Tutto bene? Sei diventata rossa come un peperone! – chiese Violet.

- Accidenti ho iniziato a far vagare la mia mente a destra e sinistra! Tutto per colpa tua e del tuo sentimentalismo fuori luogo. – risposi io, riportata alla realtà dal suono della sua voce.

Ero davvero un peperone e feci per toccarmi le guance cercando un po’ di sollievo dal gelo delle mie mani, ma uno schiaffo inaspettato, frenò il mio intento.

- Non ci provare nemmeno! Rovinerai tutto il trucco! Andiamo o farai tardi dal tuo principe azzurro! – e senza aspettare risposta, afferrò la sua borsa da lavori e mi guidò verso la porta di casa, mi voltai, rivolgendole un sorriso nostalgico, credendo stupidamente che per quel giorno non vi avrei messo più piede.

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