2/155. Ad un passo dalla felicità
Al mio ingresso, il suono festoso della marcia nuziale mi accolse in quello che sarebbe stato il giorno in cui la mia ultima paura si sarebbe trasformata in realtà, lasciandomi una ferita nel profondo dell’anima che sapevo avrebbe sanguinato per sempre.
Mi bastò guardare a destra e a sinistra della navata per comprendere cosa stesse accadendo.
Intorno a me nessun invitato, neanche Violet al posto delle damigelle, nemmeno lo sposo ad attendermi all’altare, né il prete pronto ad unirmi per sempre nel vincolo del matrimonio, ma solo una tra le persone che odiavo di più al mondo, Brian Colton, che battendo le mani, lentamente, come se desiderasse andare a tempo con la marcia nuziale, mi rivolgeva quel suo ghigno malvagio e soddisfatto.
- “Congratulazioni, principessa! Evviva la sposa!” – blaterava sarcastico.
- “Dovevi vederti appena entrata! Eri uno spettacolo di felicità e gioia. Davvero convinta che oggi avresti coronato il tuo sogno d’amore! Mi hai sinceramente stupito e commosso! Tu, donna di ghiaccio, sempre tutta di un pezzo, finalmente innamorata.” – continuava a deridermi, riversando su di me quelle parole taglienti come rasoi.
- “Devi ammettere però che hai permesso alla tua presunzione di prendere il sopravvento, oppure semplicemente la tua ingenuità ti ha annebbiato la vista? Quale che sia delle due, davvero ti aspettavi che mio fratello ti avrebbe sposata? Una nullità come te?” – quelle furono le ultime frasi che ascoltai.
Non avevo la forza di rispondergli, probabilmente perché in fondo sapevo che tutto ciò che aveva detto, non era altro che la verità, feci per allontanarmi da quell’umiliazione, quando la sua mano mi afferrò il braccio.
- “Non sei curiosa di sapere perché si è spinto fino a tanto? Perché ti ha condotto fino a qui?” – mi chiese Brian, con uno sguardo di trionfo che lo rendeva raggiante.
- “Non so se ho la forza di sopportarlo, ma so che qualsiasi sia la mia opinione in merito, tu finirai comunque per rivelarmelo. Quindi sbrigati! Dì quello che devi dire e facciamola finita.” – pronunciai quelle parole con calma e freddezza, ma non a causa di una forza di spirito recuperata chissà dove, piuttosto per quel senso di rassegnazione e resa alle avversità della vita in cui stavo sprofondando.
Iniziò il suo racconto ed in un attimo tutti i bei momenti trascorsi con quello che sarebbe dovuto diventare mio marito andarono in frantumi.
Brian non mi lasciò più nulla, distrusse anche i ricordi di felicità dei trascorsi sei mesi.
- “Sei soddisfatto adesso? Ora puoi lasciarmi andare! Il tuo lavoro è concluso.” – dissi furiosa e liberandomi dalla presa mi precipitai fuori dalla chiesa, poi per strada e via…iniziai a scappare…di nuovo.
Adesso, avevo il trucco sfatto dal pianto che non mi aveva mai abbandonata da quando quel verme schifoso di Brian non mi raccontò lo stato delle cose, mi spiattellò in faccia la verità, quella verità che avevo temuto si realizzasse negli scorsi sei mesi, per cui ero stata sempre in allerta e che in quell’ultima settimana avevo stupidamente permesso che le mie insulse fantasie di felicità, mettessero a tacere.
Una verità terribile, che mi segnerà per tutta la vita cancellando definitivamente quel briciolo di fiducia che mi era rimasta nelle persone.
Finalmente, arrivai davanti al portone del palazzo in cui abitavo, chiesi al portiere di aprirmi e mi precipitai per le scale, liberandomi di quelle scarpe, un tempo bianche, che mi rendevano ancora più dolorosa e faticosa la salita.
Trafelata raggiunsi il terzo piano che ospitava il mio piccolo appartamento in affitto, aprii la porta con la mano tremante al punto che, inizialmente, non riuscì neanche a digitare il codice correttamente.
Chiusi la porta dietro di me e per la prima volta dopo quella che mi sembrò un’eternità fatta di angoscia, mi sentii di nuovo al sicuro, protetta dal mio nido, quelle quattro mura che speravo non mi avrebbero tradita.
Mi buttai sul letto, abbracciando il cuscino e affondandoci il volto tumefatto dal pianto, ero stremata a causa di quella giornata devastante.
Ma quella mattina era iniziata in un modo completamente diverso.
Da una favola, da un sogno che si realizzava si era trasformata nel mio peggior incubo dal quale non avrei potuto svegliarmi perché non era altro che la realtà, la realtà della mia triste esistenza che sembrava perseguitarmi senza pietà.
- “Come ti senti? Sei nervosa?” – mi chiese questa mattina, Violet, mentre terminava di ritoccarmi il trucco e sistemarmi l’acconciatura dei capelli.
- “Davvero tanto! Non riesco a crederci, sembra tutto così surreale!” – le risposi con gli occhi lucidi per l’emozione.
Io e Violet avevamo condiviso la nostra infanzia come se fossimo sorelle.
Eravamo state affidate entrambe alla stessa famiglia che ci fece da tutore fino alla maggiore età.
- “Ti ricordi il giorno che ci siamo incontrate per la prima volta, Hope?” – mi chiese mentre terminava di acconciarmi i capelli.
Certo che me lo ricordavo.
Violet era stata allontanata dai suoi genitori biologici perché, entrambi tossicodipendenti, non riuscivano a prendersi cura di lei.
- “Quando gli assistenti sociali mi portarono via da casa mia, mi sentii devastata. Ero così confusa, mi rendevo conto che non c’era molta scelta, anche se i miei genitori mi volevano bene, quel vizio li stava logorando e mi metteva in serio pericolo, questo lo percepivo, ma avevo solo cinque anni e quelle erano le uniche persone con cui avevo un legame e anche se la famiglia a cui mi affidarono non mi ha mai fatto mancare nulla, solo dopo averti incontrato ho ricominciato a sentirmi parte di una famiglia.” – mi disse con gli occhi arrossati e pieni di lacrime.
- “Dopo tutto quello che hai sopportato, finalmente raggiungi quella felicità che ti meriti!” – continuò con la voce piena di emozione.
- “Ehi! Smettila ok! Non è questo matrimonio che mi renderà felice! Averti incontrata è stata la fortuna più grande della mia vita. Siamo diventate una famiglia. Ci siamo protette e abbiamo raggiunto i nostri obiettivi, insieme, unite, senza farci scoraggiare dallo schifo che la vita ci aveva riversato addosso, questo mi ha reso felice!” – mi affrettai a correggerla.
Non volevo che pensasse che gli anni passati insieme per me non contassero nulla.
Grazie a lei ero riuscita ad andare avanti, insieme avevamo raggiunto le nostre mete.
Anche quella era felicità e non volevo essere così ingrata da dimenticarmene, anche se quello che provavo in quel momento era completamente diverso.
- “Lo so, lo so, cara la mia sorella di spirito! Ma essere amati ed iniziare a vivere insieme alla persona a cui hai dato il tuo cuore è una faccenda completamente diversa. Dopo tutto quello che hai sopportato e le cicatrici emotive che quel bastardo ti ha lasciato, finalmente trovare un uomo che è riuscito a fare breccia nel tuo cuore, è una felicità di un altro livello.” – constatò Violet.
E aveva ragione. Essere riuscita ad aprirmi ad un uomo, per me era stato un vero miracolo.
Lo sapeva lei e lo sapevo bene anch’io, perché anche se provenivamo da due realtà dolorose, io attraversai l’inferno e le ustioni provocate dalle sue fiamme sarebbero rimaste per sempre visibili sulle pareti della mia anima.