1/155. L’inizio della fine
- Permesso…Scusi…Permesso…- così mi facevo largo tra la folla, immersa in una nuvola di taffetà bianca tenuta insieme da un corpetto di pizzo, con ai piedi scarpe che fino ad un’ora prima erano bianche, ma adesso si erano macchiate di grigio e striature nere, come la mia anima, e facevano male, una male tremendo, come il mio cuore.
Probabilmente i passanti che osservavano sconcertati la mia corsa su quel marciapiede affollato, si saranno chiesti cosa ci facessi in giro conciata così, come mai non avessi preso un taxi, un Uber o semplicemente un bus, per tornare a casa, ma quanti di loro, in effetti, sarebbero stati così previdenti da tenere in tasca dei soldi per sovvenzionare la loro fuga il giorno del loro matrimonio?
Perché questo è ciò che stavo facendo: stavo scappando.
Presto, però, mi sarei resa conto che, per l’ennesima volta, non avrei potuto seminare la sofferenza che mi perseguitava, spietata e feroce.
Nella mia testa in quel momento c’era solo un pensiero, anzi una meta: casa.
Ero quasi arrivata. Solo un centinaio di metri mi separavano dal mio appartamento e da quello che ormai sembrava essere rimasto l’unico luogo dove trovare protezione.
Vivo in un quartiere di periferia di una città metropolitana famosa in tutto il mondo per il commercio high-tech, le sue aziende internazionali, l’industria della moda, del cinema ma anche per il divario economico e sociale esistente tra i privilegiati e coloro che dovevano lottare con le unghie e con i denti per arrivare a fine giornata.
Questa mattina era iniziata alla grande. Ero rimasta con il fiato sospeso per sei lunghissimi mesi, ma in questo giorno di primavera mi sembrò di poter finalmente iniziare a respirare di nuovo.
Sarà stato per colpa del cielo azzurro, dei caldi abbracci che il sole frizzante riversava sulle mie spalle lasciate nude dal corpetto in pizzo del vestito da sposa, il canto degli uccelli che sembravano desiderosi di dedicarmi tutte le loro canzoni o le congratulazioni dei condomini e del portiere, del panettiere e del macellaio, della sarta, del calzolaio, insomma di tutti i negozianti del suo quartiere che si erano riversati davanti al mio portone per congratularsi con me ed augurarmi ogni bene. Forse erano tutte queste cose insieme, oppure, semplicemente, il fatto che adesso potevo permettermi di lasciare libero il mio cuore di farmi cullare da quel caloroso e vitale sentimento chiamato amore.
Quale che fosse stato il motivo, questa mattina pensai di stare finalmente vivendo il giorno più bello della mia vita.
Almeno ne fui veramente convinta fino al momento del mio ingresso in chiesa.
- Hope…Sei pronta? Vuoi che rimanga qui con te? Perché se preferisci coì, non me ne frega niente di quello che dice questo pinguino incravattato, rimango con te e ti accompagno fino all’altare! – mi aveva detto Violet, la mia migliore amica, praticamente una sorella, mentre uno steward, incaricato dalla famiglia del mio sposo di accogliere gli invitati, la implorava di accomodarsi in sala al posto di damigella, per darmi modo di fare il mio ingresso con tutti gli onori.
- Stai tranquilla! Riesco a controllare la mia emozione. Posso farcela! Avrò solo gli occhi puntati addosso di quasi cinquecento invitati provenienti da tutte le parti della terra, per assistere al matrimonio dello scapolo più ambito di tutto il palcoscenico economico internazionale… – a quel pensiero la voce mi si strozzò in gola e, come prevedibile, subito cambiai idea - …Oh no…nooo…nooo…non ce la posso fare! – e voltandomi feci per andarmene via, ma Violet mi afferrò per un braccio e mi costrinse a fermarmi e a guardarla negli occhi.
- Stammi bene a sentire! Tu sei Hope Smith! La ragazza più tosta che conosca! Quella che non si tira mai indietro davanti a nessuna sfida. La donna con il senso dell’umorismo più pungente che abbia mai conosciuto, l’intelligenza più acuta e il fisico più sexy che donna abbia mai posseduto, anche se adesso è seppellito sotto una montagna di taffetà…- disse, cercando di sdrammatizzare, ma poi riprese a parlarmi fissandomi intensamente e seriamente negli occhi: -…ma soprattutto sei colei che ha guardato in faccia un uragano e l’ha mandato all’inferno, tuffandocisi dentro ed uscendone a testa alta! – mi ricordò Violet e poi concluse: - Non saranno un paio di mummie inamidate a metterti paura. Perciò adesso fai un bel respiro…brava…e vai lì dentro a testa alta per afferrare la tua felicità!
- Wow! Mi sento già meglio! Hai mai provato a cambiare mestiere per diventare motivatrice? – le risposi sorridendo, sia perché le sue parole mi avevano fatto davvero recuperare fiducia in me stessa, sia perché sapevo che anche lei era preoccupata e non volevo torturarla oltre.
- Ehi tesoro lo sono già…sono un’estetista…fa parte del pacchetto! Credi che le persone vengano da me semplicemente per rifarsi le unghie, la ceretta e qualche massaggio? – mi chiese in modo retorico - No, no! – rispose ondeggiando l’indice della sua mano destra come un metronomo impazzito – Vengono per saziarsi della mia saggezza motivazionale! – ci guardammo negli occhi e non riuscimmo più a trattenerci, scoppiammo in una fragorosa risata, poi mi diede un bacio sulla guancia e mi lasciò davanti quella enorme porta a due battenti chiusa che mi separava da una marea di occhi, che presto sarebbero stati tutti puntati su di me, mentre dall’interno della sala cominciò a risuonare la marcia nuziale.
- ‘Uno…due…tre…un bel respiro e via!’ – pensai e poi, con coraggio e risolutezza, aprii la porta procedendo a passo sicuro e regale all’interno della chiesa.
Mi bastarono solo un paio di passi sopra il carpet rosso che conduceva all’altare per capire che quello non sarebbe stato il giorno più bello della mia vita, piuttosto la realizzazione di uno dei miei incubi peggiori.