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Capitolo V

Annamaria, per niente scalfita da quanto accaduto, e come era solita fare il giovedì, percorse la strada a ritroso e si fermò davanti al cancello della casa canonica. In quell’abitazione viveva, oltre a don Nicola, sua cugina Immacolata, unica figlia del selvaggio.

Una persona che di candido aveva solo il nome ma verso la quale provava simpatia, ricambiata. La donna, di qualche anno più grande, aveva elevato, e di molto, il proprio status sociale.

Era diventata perpetua a pieno servizio da don Serpino, con immensa soddisfazione del padre che quel posto gliel’aveva trovato grazie alla conoscenza col parroco per il quale lavorava come mezzadro.

Mentre Annamaria attraversava il vialetto che portava all’ingresso posteriore del villino costruito dal sacerdote a sua immagine e somiglianza, zio Alfonso si tormentava solo in casa.

- Mi è entrata nel sangue, la desidero troppo. Quella stronza mi vuole fregare. Ma ancora deve nascere chi fotte il selvaggio. Se ne accorgerà la troia. -

Suo zio stava pensando alla punizione da infliggerle per averlo appassionato, frantumando, di fatto, i suoi propositi di vendetta. Lei, invece, allo stimolo che avvertiva nel ventre.

L’anale le favoriva il transito intestinale. Una manna dal cielo per lei che soffriva di stipsi da competizione. Se Fonsone avesse potuto leggere nei pensieri della nipote le avrebbe torto il collo, come faceva con la gallina vecchia quando doveva preparare il brodo per il pranzo natalizio.

Immacolata si affacciò alla porta e quando vide la cugina manifestò tutta la sua allegria attraverso un sorriso sincero e gradevole.

L’abbracciò e le diede un bacio sulla guancia. La pelle del loro viso si sfiorò e i due corpi mescolarono, per un istante, la loro sensualità. Ma delle due solo la cugina maggiore era consapevole del dono che le aveva riservato madre natura.

«Anna!» gridò Immacolata «come stai?»

«Tutt’apposto Tina. Tu?»

«Non mi lamento. Mio padre invece? Che dice il selvaggio?»

«Io parlo poco. Lui ancora meno, lo sai.»

«Vieni con me. Ti faccio un bel caffè. Il cavaliere Gragnaniello ci ha regalato un chilo della sua miscela migliore. Vedrai come è buono.»

«Don Nicola conosce il mio principale?»

«Sì. Suo fratello Ferdinando è stato professore di musica del figlio. Non mi ricordo come si chiama.»

«Emanuele.»

«Già. Dicono che sia uno sfaticato. Ti risulta Anna?»

«Lo conosco poco o niente.»

- A parte prenderglielo in mano ogni settimana non so niente di lui. - Rifletté Annamaria.

Immacolata caricò la caffettiera e si sedette di fronte alla cugina. Le due si somigliavano parecchio, ma Tina non era solo più grande d’età. Ogni parte del suo fisico superava per dimensioni quello di Annamaria.

Era più alta e formosa, aveva il viso slanciato e occhi grandi con una leggera venatura orientale. Le labbra, carnose e mai violate dal rossetto, erano molto più intriganti di quelle della cugina. Solo il posteriore era meno pronunciato rispetto a colei che sembrava sua sorella, ma Tina aveva sempre rimediato indossando gonne, o completi, aderenti.

Mentre gustavano la raffinata miscela di caffè il rumore di passi nel vialetto preannunciò il rientro del parroco.

Quando l’uomo fece il suo ingresso Annamaria salutò timida. A dispetto della bonomia insita nel personaggio ciò che la turbava era l’abito talare che ricordava a ognuno chi, e cosa, lui rappresentasse.

«Don Nicola, scusate il disturbo.»

«Anna, chi detiene la fiaccola della giovinezza è sempre ben accetto».

«Don Nico’» intervenne la perpetua «voi mica siete vecchio.»

«Vero, Tina. Ma quando raggiungerai i quaranta comprenderai meglio» poi si rivolse all’ospite «dimmi fanciulla, tutto bene a casa tua?»

«Sì, grazie don Nicola. I miei stanno preoccupati per la situazione. A proposito, scusate la sfacciataggine, ma chi è Aldo Moro? Perché l’hanno rapito?»

«Capisco. I tuoi fratelli sono tutti militari» l’uomo ponderò per un attimo, poi continuò «Moro è il presidente della Democrazia Cristiana» quindi si voltò e terminò la frase di spalle «faccio un salto in biblioteca, torno subito».

Quando l’uomo fu a distanza di sicurezza Tina commentò, comunque a bassa voce.

«Ha una stanza piena di libri. Sono più di diecimila.»

«Li ha letti tutti?» chiese Annamaria.

«E chi lo sa» fu la risposta, accompagnata dal tono di sufficienza che indica scarso interesse per la questione.

Don Nicola irruppe di nuovo in cucina, reggeva tra le mani qualcosa che sarebbe stata utile ad Annamaria per ottenere spiegazioni. Il prete, saggio, e intuitivo quanto la ragazza, aveva percepito in lei il desiderio di comprendere. Le porse un libro.

«Leggitelo con calma. Robin Hood ti piacerà. Te lo regalo.»

Annamaria divenne rossa per l’emozione. Ciò che reggeva tra le mani costituiva, ai suoi occhi, un tesoro. Per la prima volta qualcuno le aveva regalato qualcosa di tangibile, e da conservare.

«Don Nicola. Non so come ringraziarvi.»

«Leggendolo. Poi, se vorrai, raccontandomi le tue considerazioni.»

Non rispose e scappò via biascicando parole di scusa che non seppe se fossero uscite o avessero rifiutato di sgorgare dalla bocca. Agì in quel modo per non mostrare le lacrime che le avevano riempito gli occhi. Rendendoli più belli.

Quando uscì all’aria aperta sorrise. In pochi istanti aveva provato due sensazioni contrapposte, ma che avevano reso il suo volto molto più attraente di quanto potesse immaginare. La strada era deserta, però; e nessuno apprezzò l’effetto.

Scrutò la casa che aveva appena lasciato e si incamminò verso la sua. Valle, la piccola frazione che per lei rappresentava l’universo privato.

La costruzione che si lasciò alle spalle fatta ergere da don Nicola col preciso intento di ospitare tante persone e una caterva di libri divenne sempre più piccola mentre lei procedeva, spedita, verso il suo mondo.

Andava più veloce del solito poiché ansiosa di sperimentare come le sarebbe apparso nel momento in cui avrebbe iniziato a sfogliare il libro che le aveva donato il parroco.

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