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Capitolo VI

Nella canonica, invece, la giornata proseguì senza scossoni. Che c’erano stati. Il mattino presto, però, ed erano eventi che avevano atteso molti anni prima di verificarsi, con precisione dal giorno in cui Immacolata Terracciano aveva iniziato, a tredici anni, a lavorare da don Nicola, e, a dispetto dell’età, aveva impressionato il padrone di casa per la sua sveltezza nel tenere ogni ambiente ordinato e pulito.

Impiegava tutto il giorno per renderla lucida per poi ricominciare da capo quello seguente. Domenica inclusa. Perché oltre al parroco doveva sistemare anche la camera del fratello Ferdinando, che viveva con lui.

Il professore Serpino, insegnante di musica alle medie, celibe, era uno squilibrato che aveva evitato di sposarsi per poter coltivare le sue passioni: l’oboe, il pastore tedesco e le Esportazioni senza filtro, da lui preferite perché più maleodoranti delle Nazionali.

Don Ferdinando, come lo chiamava lei, o si esercitava a suonare lo strumento o fumava. Nessuno, nemmeno lui, poteva quantificare il numero di cicche accese e consumate fino all’ultimo millimetro disponibile.

Quello che era certo che poche volte nel corso della giornata, e della nottata, si privava del gusto di stringere tra le labbra una sigaretta.

La sua presenza in casa era discontinua, però, perché spesso si dava malato e passava qualche giorno in ospedale. Grazie alla sua simpatica e coinvolgente vena di follia riusciva sempre a convincere i medici a rilasciare referti che prevedevano una lunga convalescenza, che, una volta dimesso, doveva poi completare nel suo domicilio.

Di fatto da anni saltava l’intero anno scolastico con somma gioia del docente al quale veniva affidata la supplenza e profondo dispiacere degli alunni che lo adoravano, nonostante lo conoscessero di sfuggita.

Anche Tina lo apprezzava ma lui, pur rispettandola, nemmeno la notava. A differenza del fratello che magnificava, tra sé e sé, le qualità della ragazzina. Non solo nello svolgere le mansioni domestiche.

L’uomo, non il prete, aveva sempre provato una fortissima attrazione per le donne. Ciò nonostante mai si era lasciato sopraffare dalle provocazioni che qualcuna di loro, per gioco o perfidia, gli aveva lanciato.

Almeno fino a quando non aveva iniziato a notarla china intenta a stringere lo straccio per lavare il pavimento.

Tina, che in ogni suo gesto prometteva di convertirsi in una donna piacente, già da adolescente era florida e in carne. Crescendo sarebbe diventata irresistibile, perché provocante per attitudine.

Il problema, per l’incauto parroco, era che, distratto dalle forme, gli sarebbe sfuggito quanto scaltra fosse la ragazza, la quale, una volta diventata donna avrebbe acquisito la consapevolezza del suo fascino, unendolo, però, alla sua smodata ambizione.

Compreso l’effetto che produceva al suo datore di lavoro aveva deciso di diventare la padrona incontrastata della casa, e, di conseguenza, della di lui esistenza.

Avevano dato inizio a un’attesa durata anni, durante i quali lei aveva imparato a conoscere, e impadronirsi, di ogni sfumatura del suo carattere. Lui a sognare di fare l’amore con lei, e ad avere orgasmi sotto forma di polluzioni che lasciavano tracce evidenti sulle lenzuola e nelle mutande.

Quando vedeva le impronte lasciate dal piacere non capiva cosa le avesse originate ma sapeva che l’uomo, non il sacerdote, apprezzava il sesso. Le bastava. I suoi propositi escludevano la curiosità fine a sé stessa.

Al compimento del ventunesimo anno di età Immacolata si era trasferita in pianta stabile nella canonica per assumere, in via ufficiale, la nomina a perpetua.

Aveva atteso il raggiungimento della maggiore età per volere del padre, che aveva ignorato il nuovo limite dei diciotto in quanto legge dello Stato. Non sua, quindi.

In realtà era cambiato poco. Lei quella carica l’aveva acquisita da subito. L’unico a non capirlo era stato don Nicola, uomo colto e saggio, ma poco pratico e per niente consigliato dal fratello, del tutto avulso dalle questioni terrene, o di casa.

Uno dei compiti assegnati alla governante consisteva nel portare il caffè nella stanza da letto dell’uomo, in modo da addolcirne il risveglio e trasformarlo nel buon pastore che di lì a poco avrebbe officiato in chiesa.

Ma quella mattina il maschio disteso sotto le coperte aveva deciso di rinviare di qualche istante il mutamento.

Mentre Tina appoggiava la tazza fumante sul comodino don Nicola sollevò il lenzuolo. La donna nel voltarsi per abbandonare la stanza vide, per la prima volta, qualcosa di cui, fino a quel momento, aveva solo immaginato l’esistenza. Sapeva che era ciò che differenziava i maschi dalle femmine, ma ignorava la possibilità che potesse essere tanto ammaliante.

Fissò lo sguardo tra le gambe dell’uomo e fermò nel cervello l’incanto dell’erezione in atto. Apprezzò il contrasto tra il colore della punta e la pelle che conteneva, a stento, il membro. Mantenne un aspetto impersonale, anche se il profumo del peccato la inebriò.

Non lasciò trasparire emozione alcuna. Nonostante la visione l’avesse stregata era riuscita a contenersi. Lasciò la stanza senza parlare, ma con tranquillità. Non desiderava che lui interpretasse il suo silenzio come a un rifiuto, ma, soprattutto, nemmeno come un’accettazione.

Quando uscì nel corridoio le sfuggì un leggero sorriso. Lo aveva lasciato nella vaghezza dell’indefinibile. Avrebbe fatto in modo che la permanenza di don Nicola tra le onde del dubbio durasse a lungo.

Il corso dei suoi pensieri risultò poco raffinato, ma molto essenziale.

- Hai capito zi’ parrocchiano. Lo farò stare sulle spine, parecchio. Gli farò diventare il culo rosso come la punta della sua bella mazza. -

Si incamminò sculettando, ma ignorò del tutto la piacevole sensazione che le pervase il basso ventre nel ricordare la spettacolare visione offertale dal suo principale.

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