Capitolo IV
La sveglia iniziò a trillare, il suo becero fragore invase la testa di Annamaria e interruppe, con brusca perfidia, uno di quei sogni destinati a essere ricordati non per gli eventi ma per la sensazione di pace interiore che lasciano.
La ragazza, ignara di aver sognato di dormire nel suo letto dondolata dalle onde del mare, sorrise alla vita, come faceva ogni mattina quando nessuno la vedeva, e si alzò.
Indossò la divisa da lavoro, ovvero gli abiti del giorno precedente, pantalone marrone e maglia felpata più o meno della stessa tinta e consegnò alla visione altrui l’immagine di una donna insignificante vestita con indumenti traboccanti.
Uscì di casa senza fare colazione e si incamminò verso Cervinara. Era il giorno dedicato alla pulizia della casa dello zio Alfonso.
Era il luogo di lavoro più lontano di tutti da raggiungere. Il parente abitava a San Marciano e per arrivarci impiegava più di mezz’ora. Ma la cosa non la preoccupava, per lei camminare a piedi significava libertà, emozione che le attenuava la stanchezza.
Non prese le solite scorciatoie e percorse la strada principale. Passò davanti alla chiesa di Valle poi, adagio, camminò per qualche chilometro.
Quando raggiunse il centro abitato prese una stradina laterale e tagliò in direzione della casa del parroco di San Marciano, don Nicola Serpino. Suo zio abitava poco più avanti.
La casa del selvaggio dava sulla strada. Annamaria giunse davanti alla porta d’ingresso senza abbandonare il marciapiede. Bussò al campanello e attese che le venisse aperto.
Sentì i passi nel corridoio e poi una figura imponente e barbuta si impossessò dell’uscio. L’uomo, alto e robusto, occhi neri e capelli scuri vigorosi quanto il fisico la guardò e si voltò. Era il suo modo di accoglierla in casa.
La ragazza gli lanciò un buongiorno zio che si perse nella scia lasciata dal parente, che però rispose con un suono inintelligibile. Era la sua maniera di salutare. Lo faceva con tutti, amici e parenti compresi. Non amava perdersi in chiacchiere, tranne determinate occasioni.
L’uomo andò nella stanza matrimoniale e le lasciò l’appartamento libero dalla sua presenza, per non intralciare il lavoro. Annamaria iniziò l’opera con il solito zelo, ed entusiasmo.
Riportò la casa allo splendore originario in un paio d’ore, senza pause o interruzioni. Suo zio restò seduto per lo stesso periodo, con modalità identiche.
Quando ebbe terminato entrò nella stanza da letto, che sapeva dover depurare da ultima, con ardore questa volta condiviso col padrone di casa.
Si avvicinò alla sponda del letto e slacciò la cinta dei pantaloni, poi li sbottonò. L’indumento scivolò giù con rapidità, grazie alla sua eccedente, e inutile, larghezza.
Annamaria abbassò le mutandine e mostrò il sedere. Le natiche sembravano una scultura realizzata da un artista abilissimo nel raffigurare le forme.
Alfonso si alzò dalla poltrona e iniziò a camminare avanti e indietro, ammirando quello spettacolo senza produrre parola, né suoni.
Osservava ogni dettaglio. La pelle liscia, i glutei sporgenti. La carne chiara, e giovane. Il bordo della felpa copriva la parte superiore del fondoschiena della ragazza, lasciandolo scoperto a metà.
Quella visione lo provocò ancora più. Si spogliò, lanciò tutti gli indumenti sul letto, si avvicinò e le sibilò alle spalle.
«Mettiti in posizione.»
Lei ubbidì e si distese sul letto di traverso, con la faccia su una sponda e i piedi su quella opposta. L’uomo, ancora in piedi, iniziò a massaggiarle i glutei, con la sua smodata rozzezza, per dissimulare il piacere le mormorò una spiegazione non richiesta.
«Così ti allargo il buco e non ti farà male.»
Non era vero e Annamaria lo sapeva. Ignorava, però, che suo zio agiva in quel modo per assegnare brutalità ai preliminari e, quindi, evitare di consumare un rapporto che assomigliasse in maniera vaga a un atto amoroso.
Quando l’uomo decise che era giunto il momento, si distese su di lei ed entrò. Non si aiutò con la mano per orientare il membro, che scivolò fino in fondo con facilità.
Annamaria sussultò. Per la velocità della penetrazione e per la rapidità con la quale il foro anale si era dilatato per adattarsi alla circonferenza del membro che l’aveva oltrepassato.
Suo zio Alfonso invece di iniziare il movimento cominciò a parlare.
«Mi dovresti ringraziare. Se volevo ti avrei sverginata. Ti sarebbe piaciuto lo stesso, ma lo dovrà fare chi ti sposerà. Sono sicuro che rimarrai zitella, però mai dire mai.»
A quelle parole sferzanti seguì un’ulteriore pressione. Il selvaggio voleva penetrarla ancora di più, ma le leggi della materia si opposero. Allora continuò in quello che lui, a torto, riteneva un supplizio per la ragazza sulla quale riversare la sua vendetta trasversale, e postuma.
«Non dici mai niente, non parli. Ma so che ti piace.»
Sempre fermo dentro di lei proseguì nel suo delirio accompagnato dal silenzio assoluto della sua vittima.
«L’altro giorno ho pensato a come ti vesti. Sembri un sacco di patate.»
Le diceva quelle oscenità per impedirsi di accarezzarla, per evitare di provare anche un solo attimo di tenerezza. Negava a sé stesso quanto lei gli fosse entrata nei pensieri.
«Lo senti quanto è grande? Dimmi la verità.»
Annamaria non tradusse in parole il suo pensiero. Lo fece per privarlo della soddisfazione che gli avrebbe dato sapere che lei, sia pure in misura ridotta, provava piacere.
Negli ultimi mesi, a differenza degli incontri iniziali, aveva anche raggiunto una sorta di orgasmo. Ma lui non se n’era mai accorto.
«Come sempre non fiati e te lo godi. Brava. Così si fa. Una donna meno parla, meglio è. A proposito, tua madre sta bene?»
Annamaria mosse il capo con un cenno di assenso, mentre lui proseguiva nel discorso.
«L’ho vista qualche giorno fa. È invecchiata.»
All’improvviso, senza una ragione precisa, l’uomo sancì la fine della conversazione a una voce e ricordò alla nipote quello che stavano facendo.
Senza alcun preavviso cominciò ad andare avanti e indietro. Con lentezza perfino eccessiva, ma poi il movimento acquisì una velocità sensuale, quasi oscena.
Giunto alle soglie dell’orgasmo placò i bollori e ridiede una cadenza moderata alle sue spinte.
Annamaria sentiva il membro scorrere nel suo sedere in tutta la sua robustezza. Non fu in grado di resistere e venne. Ma lo fece senza alterare il respiro. Era in grado di vivere con tranquillità anche i momenti più frenetici.
Suo zio no, lui si lasciò travolgere dal calore che sentiva dentro e ricominciò a colpire duro.
«Mi piace mettertelo dietro» le sussurrò in un orecchio ciò che somigliava a un urlo.
«Molte donne non lo vogliono.»
Si riferiva alla moglie defunta, e Annamaria lo sapeva.
I movimenti divennero spasmodici, intervallati dalle frasi dell’uomo che sembravano sconnesse.
«Te lo sfondo.» E giù un colpo.
«Arrivo.» Altra spinta.
Alfonso avvertì l’imminenza dell’orgasmo e, di riflesso, cinse il ventre di Annamaria con le mani. Sentire i peli del pube sotto i polpastrelli lo esaltò.
Produsse una serie di suoni ininterrotti e profondi, poi scrosciò dentro di lei e il silenzio ritornò a impadronirsi della stanza.
L’uomo, quale ultimo oltraggio, tirò fuori il membro afflosciato e lo pulì dalle ultime gocce di sperma su una natica di quel sedere rimasto eccezionale nonostante i soprusi ricevuti.
Mentre si depurava le diede un pizzicotto sull’altra. Il gesto sembrò generato da un istintivo moto di affetto, ma Annamaria scartò l’ipotesi non prendendola nemmeno in considerazione.
La voce di suo zio legittimò la sua certezza.
«Tirati sopra i pantaloni e vattene da casa mia.»
La ragazza si alzò dal letto e andò via pensando a quanto lui diventasse ancora più intrattabile dopo il piacere. Dopo essere arrivato, come diceva lui.
Avrebbe scoperto, a distanza di molti anni, l’esistenza di un termine più delicato per definire l’orgasmo e, di conseguenza, che quell’uomo riusciva a essere brutale anche con il lessico.