7- BELLE
Lei era qui, proprio a un paio di metri da dov'eravamo seduti.
La sua camminata sicura, quei boccoli biondi che sembravano da soli rendere più luminoso l'ambiente. Il viso perfettamente truccato e quel corpo, fasciato nella divisa della scuola, che aveva fatto, e ci avrei scommesso sul fatto che ancora era così, girare la testa a molti, Peter ahimè incluso.
Provavo per Wendy una sincera antipatia fin dalla prima volta che la vidi alla mia festa di compleanno. E le cose non erano mai migliorate. Non per mancanza di occasioni ma perché tra di noi scorreva, da sempre, una sottile e pacifica indifferenza.
La odiavo perché la invidiavo. Questa era verità. Io non ero gelosa della sua bellezza, del modo che aveva di incantare tutti, ragazzi e ragazze, e portarli a prostrarsi ai suoi piedi. No, non era di quello che si trattava per me.
Io le avevo sempre invidiato e le continuavo ad invidiare una sola cosa. Una soltanto. Ed era Peter.
Odiavo il fatto che lei poteva godere della sua compagnia, delle sue attenzioni, e del suo cuore. Perché era chiaro persino a un cieco che lui non aveva occhi che per lei. Peter pendeva dalle sue labbra e si muoveva come una marionetta, a volte, attorno a lei.
Non mi aveva mai guardata così. Non mi aveva mai concesso libero accesso al suo cuore se non nel modo classico da fratello e sorella. E la cosa peggiore era che io desideravo tutte quelle cose da lui e da nessuna altro.
Vidi Wendy attaccarsi alla bocca di Peter e infilargli dentro la lingua. Osservai il modo in cui lui le strinse i fianchi con le mani, trascinandosela addosso.
E di colpo, smisi di esistere.
Faceva male. Faceva davvero male amare qualcuno in silenzio. Faceva male sapere che non ci sarebbe mai stata una sola possibilità per noi. Faceva male non essere ricambiati. Essere vista e considerata solo come una sorella.
Abbassai lo sguardo, sentendomi profondamente in imbarazzo.
Mi era passata persino la fame. Valutato di alzarmi e allontanarmi da lì, di lasciarli da soli ad amoreggiare. Poi, lo vidi.
Qualcosa, anzi qualcuno, attirò il mio sguardo e la mia attenzione virò in un secondo dalle due colombine in amore di fronte a me a...lui.
Era lo stesso ragazzo che avevo visto il giorno prima. E proprio come un dejavù lo trovai a fissarmi dritto negli occhi con una tale intensità che mi fece tremare le gambe.
Ringraziai di essere seduta altrimenti ero sicura che avrebbero ceduto.
Chi era questo ragazzo? E perché mi faceva sentire così?
«Belle?»
Sussultai quando la mano di Peter toccò la mia. Distolsi lo sguardo e lo puntai sulla coppia seduta di fronte a me.
«Stai bene? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.»
«No, no, mi ero... Solo distratta un attimo. Scusate.»
Incontrai il sorriso di Wendy, all'apparenza sincero ma qualcosa nel suo modo di fare mi trasmetteva la sensazione contraria. Non la reputavo una ragazza falsa, tutt'altro. Solo che non credevo possibile che una persona fosse sempre così perfetta e composta con tutti a ogni ora del giorno. Sembrava che non ci fosse niente che la scuotesse, che le desse noia, ed era quella la cosa che consideravo altamente improbabile.
«È bello vederti, Belle. Ti trovo molto bene.»
Fissai le sue dita afferrare con delicatezza estrema un riccio che le ricadeva sul viso e arrotolarlo.
«Anche per me.»
«Adesso che anche tu sei qui potremmo passare più tempo insieme e conoscerci meglio.»
Avrei voluto risponderle, farle anche solo notare, che avevamo avuto tempo e occasioni per familiarizzare ma che era un po' difficile farlo con chi ti mostrava indifferenza. E poi, parliamoci chiaro, passare del tempo con lei era proprio l'ultimo nella mia lista di desideri.
«Certo, perché no.»
Wendy mi sorrise di nuovo per poi concentrarsi ancora una volta a mangiare la bocca del suo ragazzo.
Avrei fatto volentieri a meno di quella scena. Ora e sempre.
Decisi di alzarmi, tanto ormai il mio tempo con Peter era finito e per l'ennesima volta non lo avevo nemmeno visto scocciato al pensiero che ci avessero interrotto. Per l'ennesima volta mi sentii di troppo.
Ero stata felice quando era venuto a chiedermi di fare colazione insieme. Mi ero pure sentita in colpa per via di tutto quello che avevo pensato su di lui. E invece, sono stata solo una cretina.
Stavo per porre fine al loro momento romantico quando mi accorsi che nessuno dei due si era reso conto che fossi in piedi, davanti a loro, pronta ad andare via. Allora optai per allontanarmi in assoluto silenzio, senza fare rumore, certa che nessuno ne avrebbe risentito.
***
Se mi aspettavo una prima giornata difficile alla Saint Jules dovetti ricredermi. Le lezioni che avevo seguito per tutta la mattina erano state a dir poco favolose e a dispetto di tutti quei libri poco innocenti che avevo letto in passato e che ancora mi piaceva leggere, non mi era nemmeno capitato di fare la conoscenza con qualche alunna snob e stronza o qualche pompato atleta. Tutti sembravano impeccabili e perfettamente in linea con il codice etico dell'università.
Ancora non sapevo che quella era solo una facciata. Ancora non avevo idea di che cosa avrei visto e vissuto sulla mia pelle.
Mancava ancora una lezione prima che la giornata finisse davvero ed era anche quella che avevo aspettato con più ansia. Forse, anzi senza dubbio, il motivo era da ricercare nel fatto che niente nel mio percorso di studi era stato scelto da me. Mio padre si era preso la briga e tutto l'interesse del caso senza nemmeno consultarmi. Senza nemmeno chiedermi se fossi o meno d'accordo. Legge. Questa era la facoltà che aveva scelto. Quello era il mio futuro. Sospettavo che dietro questa scelta ci fosse, in qualche modo, pure lo zampino di mia madre ma ormai era tardi per replicare qualcosa e a dover essere del tutto onesti io non ci avevo nemmeno provato.
Ero così felice, euforica e su di giri per la possibilità di uscire dalle mura dell'unica casa che avevo conosciuto che non me ne importava niente di quello che avrei studiato o del percorso di studi che i miei volevano e si aspettavano da me.
L'unica libertà, se così si poteva definire, era stata quella di concedermi di scegliere kn completa autonomia i corsi facoltativi, quelli meno importanti. E io non avevo avuto il minimo dubbio a riguardo e avevo scelto arte come corso del primo anno.
Arrivai di fronte all'aula del professor O'Brien e la trovai già affollata di studenti. Con lo sguardo andai alla ricerca di un posto libero, me ne andava bene uno qualunque, e quando ne notai uno in penultima fila mi ci fiondai.
Fui costretta a bloccarmi proprio un attimo prima di arrivare a destinazione.
Lui era lì.
Tra tutti i corsi che questa scuola offriva, il ragazzo misterioso e sconosciuto dagli occhi diversi e intensi in egual misura era proprio seduto a fianco del posto che avevo adocchiato.
Si accorse di me subito e restammo a fissarci per istanti interminabili poi quando sentii alle mie spalle la porta dell'aula chiudersi capii che non avevo alternative e nemmeno ne volevo una.
Presi posto, al suo fianco, e mi bastarono pochi secondi perché lo stomaco prendesse a farmi male e poco più che della durata di un battito di ciglia per permettere al suo profumo di penetrarmi le narici e stordirmi.
Deglutii.
La sua presenza mi agitava e rendeva inquieta.
Nessuno prima di lui mi aveva fatto questo effetto. Nessuno a eccezione di Peter naturalmente. E la cosa mi stupì e non poco.
«Ciao.»
Ed ecco arrivare anche il suono della sua voce. È basso, rude e sicuro. Non c'è delicatezza alcuna nella sua voce. E mi ha messo i brividi.
Mi voltai e incrociai i suoi occhi tanto belli quanto brutali. Era come se il bene e il male vivessero dentro di lui. Non avrei ancora saputo dire se si trattava di una convivenza pacifica.
«Ciao...» risposi con un tono molto meno sicuro del suo.
«Sono Hook.»
Hook.
Continuai a ripetermi quel nome della testa e fui presa dalla voglia irrefrenabile di dirlo ad alta voce solo per il gusto di sapere che cosa si provava.
«I-io Belle.»
«È un vero piacere conoscerti Belle, finalmente. Ho passato le ultime ventiquattro ore a pensarti e morivo dalla voglia di sapere il tuo nome.»
Mi lasciò senza fiato. E ancora di più lo fece quando mi mostrò la mostruosa perfezione del suo sorriso.
Denti bianchissimi e allineati e fossette ai lati della bocca.
Peter non ha le fossette...pensai. O meglio fu quello che mi imposi di fare dal momento che la mia mente cominciò a registrare immagini delle decine di modi in cui avrei potuto mordere e baciarle.
Il mio corpo andò in fiamme. Qualcosa non andava in me era ovvio.
«A quanto pare il destino, questa volta, è voluto venire dalla mia parte.»
Per tutta la lezione non riuscivo a staccare gli occhi da lui. Lo guardai di continuo e mi sentii una specie di stalker. Forse per questo, o forse anche per la vergogna di aver partorito pensieri indecenti su di lui, scattai come una a in piedi quando l'ora di arte giunse al termine. Mi fiondai fuori ignorando la voce di quello splendido ragazzo chiamarmi.
Decisi di confondermi in mezzo alla gente.
Volevo solo tornare in camera. Avevo bisogno di distrarmi.