Capitolo 2
Piansi, scossi la testa e una volta in camera mia piansi. Preparai la mia borsa con poche cose, tanto per la primavera sarei dovuta rientrare, e mi addormentai. Quanto avevo di libertà? Era inizio dicembre, sarei dovuta tornare per marzo. Per la prima volta aprii la busta che mi aveva lasciato Mrs Davis, al suo interno c'erano mille sterline. Avrei potuto farcela con un lavoro, perché effettivamente preferivo essere povera che farmi toccare da lui, il suo sguardo mi aveva già schifato abbastanza.
Il giorno dopo andai via al mattino presto, non ebbi il coraggio di guardare in viso mio padre. Non dopo avere scoperto ciò che egli aveva fatto alla nostra famiglia.
Sarebbe stato il caso di cercarmi un posto dove stare, sicuro non nei pressi della zona antica di Londra. Probabilmente se mi fossi inserita nella city avrei potuto trovare un lavoro.
Ci pensai fino a quando non arrivai, la metropolitana mi portò nel cuore pulsante dell'economia del nostro paese. Donne e uomini in completi firmati e valigette in pelle trafficavano sui marciapiedi.
In confronto, nonostante i miei abiti di buona fattura, ero un insetto. Non avrei trovato un lavoro lì, non senza una laurea. Sconsolata mi sedetti ad un tavolino del primo bar che adocchiai e poggiando la valigia ai miei piedi sbuffai.
"Nessuna bella ragazza che si siede qui può sbuffare." La voce di una ragazza attirò la mia attenzione. Era molto carina, il viso a cuore la rendeva adorabile, come i capelli rossi portati corri e gli occhi azzurri. Dovevamo avere la stessa età, indossava una camicia bianca, dei pantaloni a sigaretta neri e un grembiule nero appoggiato sui fianchi col logo del bar. "Cosa ti porto cara?"
Feci una smorfia. "Qualcosa di economico e un lavoro." Ironizzai divertita. "Scusa, un bicchiere d'acqua va bene."
La cameriere mi fissò. "L'acqua la offro io, prendi qualcosa da mangiare no? Per il lavoro invece so che al book and coffee più avanti cercano personale."
Ricambiai il suo sguardo. "Veramente?" Estasiata sospirai. "Prendo un panino al prosciutto e mi chiamo Sapphire." Le dissi presentandomi.
"Io sono Ebony piacere Saph. Se inizierai a lavorare qui ci incontreremo spesso. Vado a prendere il tuo panino."
"Grazie." Le dissi prendendo dalla borsa una banconota per pagare.
Quando Ebony ritornò col panino e l'acqua mi indicò il locale. "Il capo offre il panino, dice che sei carina e che puoi provare anche adesso a lavorare per loro. Tra un ora usciranno dagli uffici e come sempre ci sarà il pienone." Mi spiegò.
"Lavorare qui?" Chiesi sorpresa. Guardai lei e poi me. "Ho un jeans nero, può andare bene lo stesso?" Le chiesi indicandole la valigia.
Lei mi sorrise. "Mangia, avverto il capo nel frattempo e dopo ti faccio vedere il ripostiglio dove cambiarti."
Iniziai così. "Dopo il panino mi infilai i jeans, rimisi le mie scarpe da ginnastica e una camicia bianca e col grembiule datomi da Ebony iniziai a lavorare. Imparai presto, tutto stava nel prendere gli ordini e portali a tavola, sempre con un sorriso sulle labbra e una filosofia: il cliente ha sempre ragione. Il tempo di ridare e imparai subito e velocemente. Feci tutto il turno con Ebony e quando andò via chiesi al capo se potevo restare per il secondo turno. In realtà non sapevo dove andare e quello per ora era l'unico tetto che conoscevo.
Lui ovviamente non si fece pregare, così ripresi a lavorare.
Alle diciassette ci fu il secondo boom della giornata. I dipendenti degli uffici stavano lasciando le sedi e si riservavano per una cena veloce prima di tornare a casa. E fu così che conobbi Thomas.
Fu che lui ci provò con me spudoratamente. "La mia vita fa schifo, ma dopo aver trovato il mio angelo devo dire che è migliorata." Gli sorrisi accomodante, come con tutti i clienti.
Se non fosse stato per il suo sguardo scuro e magnetico che mi fece avvertire per la prima volta le farfalle nello stomaco.
"L'angelo è felice se gli lasci una bella mancia." Gli risposi.
"Questo è un problema. Sto cercando di avviare la mia società e non posso lasciare laute mance per il momento." Disse. "Si può dire società quando non si hanno soci?" Mi chiese.
"Decisamente no, anche se ne capisco proprio." Dissi posando sul tavolo il suo panino e il boccale di birra che mi aveva chiesto.
"Saph puoi staccare con lui." Mi disse il mio capo. "Domani vieni alle undici così potrai fare sempre doppio turno."
"Ok grazie Jack." Urlai lasciando anche il conto al bel tenebroso.
"Ehi! Se hai finito siediti con me. Ti offro la cena..." mi guardò supplichevole. "Ti prego ho bisogno di parlare con qualcuno."
Lo fissai. Va bene, aspettami qui. "Gli dissi andando nel ripostiglio. Sostituii la camicia e il jeans con i pantaloni in velluto e il maglione e uscii prendendo un panino e un the caldo. "Va sul conto del moro al tavolo 14." Dissi alla mia collega.
"Oh il bel tenebroso! Ti ha invitato a cena con lui? Io e un po' che ci provo ma niente." Disse Molly l'altra ragazza.
"Pensavo non gli piacessero le bionde, ignora anche me che ho un bel davanzale." Scherzò l'altra.
Io risi. "Io vado, lascio qui la mia borsa, dopo vengo a prenderla ragazze." Dissi loro e raggiunsi il bel tenebroso come lo chiamarono le altre. "Eccomi. Scusami se non faccio cerimonie ma ho fame." Dissi addentando il panino con la salsiccia, decisamente molto calorico e poco dagli standard della mia famiglia.
"Fai fai! Mi fa piacere che mangi, credevo fossi a dieta per il tuo fisico." Disse lui sorseggiando la birra.
"Metabolismo rapido." Risposi col morso in bocca, se mi avesse vista mamma sarebbe rimasta inorridita. Era anche vero che prima di allora non avevo mai lavorato e diamine, avevo una fame senza freni. "Non chiedermi di diventare tua socia, uno non ho soldi, due non saprei cosa fare con i numeri."
Lui rise. "Il mio unico socio potrebbe essere solo mio fratello." Rispose.
"Strano, non mi sembra di vederlo qui." Gli dissi bevendo il tè finché caldo.
"Non c'è! È rimasto in Germania con la sua ragazza." Disse.
Lo fissai. È rimasto, quindi veniva dalla Germania. "E perché non sei lì con lui?"
Lui sembrò arrossire. Abbassò lo sguardo e parlò velocemente. "Sono andato a letto con la ragazza che amava e abbiamo litigato."
Restai col panino all'altezza della bocca, che era spalancata dalla sorpresa.
"Cioè... hai tradito tuo fratello?"
Lui sospirò. "Non proprio. È che lui si è innamorato di lei, sembrava che fosse ricambiate e qualcosa è scattato... poverina Inga, l'ho ingannata dicendole che mio fratello è gay."
Gli lanciai il tovagliolo in viso. "Sei pessimo." Gli dissi. "Spero tu abbia chiesto scusa e entrambi."
"Mio fratello mi ha preso a pugni." Rispose lui.
"Spero anche questa Inga!"
"No lei si è fatta bastare uno schiaffo." Concluse lui.
Lo fissai e risi di gusto. "Ha fatto bene, anzi tutti e due. Comunque scappare non era la soluzione."
Lui scosse la testa incrociando le braccia al petto. Cavolo se era muscoloso al punto giusto. "Lui invece che fidanzarsi con lei sarebbe dovuto venire qui con me. Avremo aperto insieme la nostra società."
"Invece adesso sei solo, senza soci e senza ragazza." Riassunsi.
"No, senza soldi. La ragazza non ci tenevo tanto, era più una sfida..." mise le mani davanti vedendo che stavo prendendo un altro tovagliolo furente.
"Ma quanti anni hai? Dovresti crescere sai? Le donne non sono oggetti." Anche se i padri ancora ti vendevano come merce di scambio. Pensai.
"Hai ragione, soprattutto perché lui ci tiene. Avrei dovuto scusarmi." Capitolò lui.
"Sei ancora in tempo." Gli ricordai.
"Ma mi hanno picchiato... no, prima gli dimostro che valgo qualcosa. Avvio la società per bene poi lo chiamo e mi scuso." Mi disse. "Ti va di farmi da socia? Niente soldi, mi serve solo un secondo nome." Mi propose.
"Sei serio?" Chiesi accartocciando la carta del panino.
Lui annuì. "Mi chiamo Thomas e ho aperto la T- KCG. Qui nel palazzo Callaghan." Disse indicando oltre la vetrata del bar.
Assurdo! Scossi la testa e bevendo l'ultimo sorso di the mi alzai. "Non dovevi bere la birra Thomas. Grazie per la cena." Conclusi sparecchiando e portando i vassoi al bancone.
"Grazie Saph. Ma avremo fatto noi." Disse Molly.
"Tranquille. A domani." Le salutai prendendo la valigia e uscendo all'aperto.
La notte era fredda, nevicava e io indossavo solo un cappotto di lana, avrei dovuto prendere qualcosa di più pesante. Raggiunsi le panchine intorno alla fontana del centro finanziario, l'acqua era chiusa. Aprii la valigia e ne tirai fuori cappello e guanti. Poi me la misi sotto le gambe e mi stesi, assurdo. Mi ero ridotta ad essere una barbona. Pensai osservando i fiocchi di neve che cadevano.
"Ma cosa stai facendo qui?" Irruppe la voce di un uomo.
La riconobbi subito, la prova era lo sfarfallio allo stomaco. Mi sollevai e lo fissai. "Hai bisogno?" Gli chiesi scocciata, non eravamo più cliente e cameriera.
"Neanche i barboni dormono sulle panche con la neve." Mi ammonì.
"Non vedo ostelli o alberghi qui." Gli dissi.
"Senza offesa, ma sei a Londra e un albergo anche a due stelle ti succhierebbe lo stipendio." Mi disse sedendosi al mio fianco.
"Non per dirtelo, ma ci eri arrivata." Gli dissi con una smorfia.
Lui rise guardandomi. "Sei acida."
"Ma smettila." Gli risposi.
Al che Thomas si alzò e mi tese la mano. "Vieni con me."
Era serio, non sarei andata a casa sua. "Dove?"
"Nel mio ufficio. Così ti convinco a diventare socia." Mi disse.
"Tu sei fuori." Dissi ridendo mentre mi tiravo su e prendevo la valigia. "Andiamo." In fondo non c'era nulla da temere, semmai fosse accaduto qualcosa sapevo dove trovarlo.
Camminammo per un altro paio di metri fino a fermarci di fronte ad un palazzo alto venti piani circa. Entrammo in un ascensore e selezionò il terzo piano.
Arrivammo in un appartamento che sembrava abbastanza spazioso, dopo l'entrata trovammo una stanza con due scrivanie e un computer portatile, una lavagna e dei grafici sulle pareti, un paio di poltrone e un divano per gli ospiti. "Questo è il mio mondo." Disse orgoglioso.
Io mi guardai intorno. "Pensavo ci fossero più uffici."
"Ci... saranno." Ammise lui grattandosi la testa. "Per ora basta questo che sono solo, le altre stanze visto che ho chiesto un finanziamento per i locali, li sto usando personalmente. Tu se non vuoi dormire sotto la neve, puoi usare il divano che ha il letto dentro." Mi guardò facendo un colpo di tosse. "Anzi no! Ci dormo io, tu puoi andare dentro e dormi nel mio letto." Mi disse prendendo una chiave dal cassetto della scrivania. "Con questa si accede alle stanze."
"Quindi potrei restare qui e non temere che mi tocchi?" Chiesi sospetta.
"Se non vuoi, no." Rispose sincero.
"Come se non voglio!" Esclamai sorpresa.
"Beh io ci provo. Appena ti ho vista sono rimasto affascinato." Disse mettendo le mani davanti. "Però fidati, non ho mai obbligato nessuna a stare con me. Dammi il tempo..." Disse aprendo una delle due porte laterali. "Prendo il cambio per domani e ti lascio in pace. Puoi chiuderti dentro."
"Senza niente in cambio!" Gli urlai dietro.
"Una firma ... una società... siamo nella stessa barca no!" Rispose lui.
"Non direi."
Lui tornò con un paio di pantaloni puliti e una camicia grigia. Un sorriso spavaldo sul bel viso. "Hai ragione. Io ho un tetto." Concluse sornione.
Lo guardai minacciosa. "Dove trovo il bagno?" Gli chiesi.
"All'entrata, prima stanza a destra." Rispose.
Iniziò così la nostra strana convivenza. C'erano delle regole, al mattino alle sette e trenta le porte della camera dovevano essere chiuse.
Thomas scendeva a fare colazione al Library and snack, presi anch'io quell'abitudine poiché li avevo modo di leggere gratuitamente i quotidiani, lui leggeva la pagina economica e internazionale, io quella politica e locale.
Alle 8.00 in punto l'agenzia apriva e iniziavano ad arrivare i clienti.
Alcuni li intrattenevo io, nell'attesa che Thomas si liberasse. Alle undici salutavo il mio coinquilino e mi dirigevo al lavoro.
Ci trovavamo come sempre alle 18.30 al Times with friend, per cenare insieme alla fine del mio turno.
Come promesso Thomas non mi toccava, ma mi chiedeva sempre la firma come socia. Probabilmente era importante ai fini legali, le sue continue insistenze mi portavano a chiedergli perché io e perché fare una società. Mi spiegò subito che la società aveva più valore di una ditta agli occhi di una papabile clientela, mentre invece aveva scelto me perché ad istinto gli avevo subito ispirato fiducia.
"Non ti dirò mai il mio nome completo." Gli dissi.
"Nemmeno tu conosci il mio cognome, se ci tieni tanto possiamo vidimare il contratto separatamente. Ti farò parlare con lo studio legale e darai i tuoi estremi. Il capitale sarà fittizio, ripeto mi serve un nome non i soldi." Mi ripeteva e alla fine cedetti, prima di Natale divenni sua socia.
"Posso darti mille sterline. Se non le prendi non si fa nulla." Dissi quando capitolai. Erano i soldi di Elisabeth Davis, non li avevo usati alla fine. Thomas mi ospitava gratis, mentre per il cibo era tutto compreso nel lavoro, dove comunque guadagnavo 150 sterline a settimana senza contare le mance e tanto mi bastava a sopravvivere.L'unico vizio che ci eravamo concessi io e Thomas era infatti la lavanderia, o meglio lo era stata poiché Molly, la mia collega, quando glielo aveva detto si era offerta di fare lei per noi. A casa sua avevano la lavatrice, cosa che a noi due mancava, ma di cui non sentivamo la mancanza. Molly per incrementare le entrate in vista del secondo anno di università, faceva con piacere lavoro di lava e stira, così riusciva a conservare più soldi.
Alla fine io e Thomas avevamo un bel rapporto, eravamo amici e ci prendevamo in giro, ammetto che mi ero innamorata di lui, era la sensazione più bella che mi fosse mai capitata.