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Capitolo 6

ANGEL

La mano del professore si posa sul mio ginocchio e io sento la pelle scottare in quel punto, come se mi fossi appena ustionata con un tizzone ardente. Sollevo di scatto lo sguardo perdendomi nei suoi occhi grigio-azzurri.

«Non la senti anche tu questa corrente elettrica che c’è tra noi?», mi chiede in un tono basso e roco.

Sono confusa, non riesco a pensare coerentemente. «I-io…», comincio a balbettare. Ma in realtà non so cosa dire; non ho mai provato qualcosa di simile per nessuno e mi sento disorientata. «No, non sento niente», mento alla fine. Non posso ammettere quello che provo. È qualcosa di sbagliato, di indecente.

Lui ride piano. «Bugiarda». La sua mano mi sfiora la coscia, si insinua sotto la gonna e gioca con l’elastico delle autoreggenti. Il mio cuore perde un battito e il calore si diffonde ovunque, lasciandomi stordita e senza fiato. Dovrei dirgli di smetterla, di fermarsi, ma non riesco ad articolare una sola parola. È come se le mie labbra non emettessero alcun suono, come se il mio corpo non rispondesse più agli ordini del cervello, ma seguisse unicamente l’istinto.

E l’istinto mi porta ad aprirmi a lui.

Chiudo gli occhi mentre il suo pollice mi accarezza l’interno coscia tratteggiando dei lenti cerchi. Il piacere è indescrivibile e sono costretta a mordermi il labbro per non urlare. Poi le sue dita si spostano al centro della mia femminilità, mi sfiorano attraverso il pizzo delle mutandine. Mi accorgo che sono bagnate e vorrei morire per la vergogna.

«Non senti niente, eh?». Il suo tono adesso è divertito, irriverente. «Be’, sembra che la tua fica non sia della stessa opinione. O sbaglio?».

Mi auguro che non si aspetti una risposta, perché non sarei in grado di aprire bocca. Il cuore mi batte con forza contro lo sterno, ho quasi l’impressione che possa schizzare via. Sto ancora cercando di controllare il respiro, quando lui mi afferra la mano e la posa sulla patta dei suoi pantaloni; avverto il suo pene turgido sotto la stoffa.

Oh, mio Dio!

«Guarda che effetto mi fai», esclama in un sussurro appassionato. «Mi succede di rado, sai? Di sentirmi così attratto da una donna. C’è una strana connessione tra noi. L’ho avvertita anche l’altra sera alla finestra».

Continuo a tenere gli occhi chiusi, non oso aprirli per la paura di leggere nel suo sguardo lo stesso sgomento che sto provando io.

«La prego», rispondo con un filo di voce, «non aggiunga altro».

Lui resta in silenzio per un attimo. Finalmente lo guardo e mi accorgo che ha la mascella tesa, come se stesse ingaggiando una lotta interiore. Una vena gli pulsa alla base del collo. «Scendi dalla macchina», mi dice brusco.

Continuo a guardarlo.

«Mi hai sentito?». Alza il tono di voce e colpisce il volante con un pugno. «Scendi subito o non rispondo di me».

Obbedisco all’istante, aprendo la portiera e precipitandomi fuori come se fossi inseguita da un pazzo assassino. Entro nel dormitorio senza voltarmi nemmeno una volta, salgo le scale di corsa finché non mi ritrovo al sicuro nella mia stanza.

Carol è in piedi davanti alla finestra, si volta e mi fissa con la fronte corrugata. «Quello non è il professor Barrett?», mi domanda con circospezione.

Deglutisco. «Sì, l’ho incontrato per caso ed è stato così gentile da volermi accompagnare a casa».

«Gentile? Il professor Barrett? Quando mai! Cosa c’è sotto, Angie?»

«Niente!». Fingo di essere scandalizzata. «Te l’ho detto, mi ha solo accompagnata. Non è successo nulla».

Carol si gratta la punta del naso, assorta. «Me lo diresti, vero? Se ci fosse qualcosa tra te e il professore?».

Sento un peso sul petto perché non ho mai mentito alla mia migliore amica. Eppure so di non potermi confidare con lei, l’ho promesso. «Certo che te lo direi, ma non c’è proprio niente».

«Okay». Carol torna la ragazza sorridente di sempre. «A proposito, è passato Cole. Voleva chiederti scusa per la sua reazione esagerata. Vuole che lo chiami». Mi strizza l’occhio e io distolgo lo sguardo.

L’ultima cosa che vorrei in questo momento è parlare con Cole, non con il ricordo delle carezze del professor Barrett ancora impresso nella mente. Allo stesso tempo ho paura che la mia compagna di stanza si insospettisca, quindi afferro il telefono e con dita tremanti compongo il numero.

«Ehi, piccola». Cole risponde al terzo squillo. «Mi spiace così tanto, mi perdoni?».

«Anche a me dispiace». Questo se non altro è vero, vorrei non aver litigato con lui. Vorrei poter dimenticare il mio insegnante di letteratura inglese e tornare quella di prima.

Ma temo non sia possibile.

***

I giorni si susseguono con una lentezza esasperante. Cerco di concentrarmi sullo studio e la danza, ma sono distratta, irritabile, niente mi riesce bene. Oggi il professor Barrett ha consegnato i nostri compiti su Chaucer; ho passato ore e ore a prepararmi per prendere una misera C.

Non riesco a crederci.

Fisso il foglio davanti a me come in trance e non riesco a evitare di chiedermi se il giudizio sia stato influenzato da tutto quello che è successo tra noi.

Il dubbio mi tormenta.

Il mio sconcerto deve essere evidente perché Faith mi posa una mano sulla spalla. «Non te la prendere, è solo il primo compito. Ti rifarai», esclama. Ma il suo sguardo sembra dirmi: “te lo avevo detto!”.

Daisy alle mie spalle si lascia sfuggire uno sbuffo. «Non ci posso credere, ho preso anch’io una C!». Sembra quasi scandalizzata, come se fosse un affronto alla sua persona ricevere un brutto voto in letteratura.

Faith fa una risatina. «Io ve lo avevo detto che Barrett è spietato».

Credo che la parola giusta sia stronzo, ma non lo dico. Mi limito ad aspettare che la lezione volga al termine e prima che il professore lasci l’aula mi alzo in piedi. «Posso parlare con lei del mio compito, professor Barrett?».

Lui si volta lentamente e stringe gli occhi. «Mi segua nel mio studio, signorina Mancini».

Faith e Daisy mi osservano incredule mentre mi avvio dietro di lui; so che muoiono dalla voglia di sapere cosa gli dirò, ma non ho intenzione di dar loro questa soddisfazione.

Si tratta di una cosa tra me e lui.

Nonostante la mia determinazione, lo stomaco mi si chiude dall’agitazione. I nostri passi risuonano nel corridoio ormai deserto, nessuno di noi dice una parola. Poi Barrett spalanca una porta e mi cede il passo. «Prego, si accomodi», esclama con un sorrisino.

Vorrei cancellargli quell’aria divertita dalla faccia, di certo non mi lascerò umiliare da lui stavolta.

Mi infilo dentro e aspetto che entri anche lui; lo osservo mentre si chiude la porta alle spalle e si appoggia allo stipite incrociando le braccia sul petto; ha la giacca sbottonata e la camicia si tende mettendo in evidenza i muscoli del torace.

Deglutisco dimenticando all’istante cosa volevo dirgli.

«Allora, qual è il problema? Vuoi contestare il tuo voto?».

Non mi sfugge il fatto che si è rivolto a me con una familiarità che non gli è dovuta, e questo mi rende nervosa.

Mi schiarisco la voce. «Non meritavo una C».

«Ah, no?». Inarca un sopracciglio senza distogliere lo sguardo da me un solo istante. «Sentiamo, quale voto pensi di meritare per quel compito?».

Il suo tono sarcastico mi irrita; stringo le mani a pugno. «Non trovo giusto che lei si vendichi in questo modo perché mi sono rifiutata di…», mi blocco all’istante e arrossisco. Non riesco neppure a dirlo ad alta voce.

«Di? Finisci la frase».

Decido di farmi coraggio. «Di venire a letto con lei. È questo che voleva l’altra sera, giusto? Portarmi a letto».

«Non necessariamente a letto, mi sarebbe andato bene scoparti anche in macchina». Ride piano e si avvicina di qualche passo. «Quindi pensi che la tua C in letteratura sia dovuta a questo?». Il suo sguardo è pericoloso, letale. Retrocedo, ma lui mi blocca contro la parete. Appoggia le mani sul muro, ai lati della mia testa.

«Non è così?», sussurro tremante. Ho le labbra secche. La mia salivazione si è azzerata, ma non intendo mostrargli la mia debolezza.

All’improvviso lui si china in avanti e mi cattura le labbra con le sue, le accarezza piano con la lingua, poi mi prende il labbro inferiore tra i denti e io sento le ginocchia cedere; sono costretta ad appoggiarmi a lui per non cadere. Chiudo gli occhi completamente avvinta, e Barrett ne approfitta per approfondire il bacio: la sua lingua è ovunque, mi invade la bocca impedendomi di respirare.

Sono annebbiata dal desiderio e dalla lussuria ed è la prima volta che mi succede, in vita mia non ho mai provato nulla di simile.

Quando si stacca, avverto come una sensazione di perdita; mi sfugge un gemito di protesta.

«Ti ho dato una C perché, nonostante fosse evidente la tua preparazione, ti sei limitata a scrivere le cose che hai studiato sui libri, niente di più», sussurra contro la mia bocca, poi strofina il naso sul mio collo e io avverto un brivido che mi fa tremare da capo a piedi. «Io voglio che ragioni con la tua testa. Desidero sapere cosa pensi, le emozioni che ti suscitano le parole dell’autore. Questa è la letteratura per me, non una serie di nozioni imparate a memoria».

Il mio cuore batte all’impazzata. Lo fisso e mi perdo nel suo sguardo, intenso e impenetrabile come sempre. Vorrei replicare, ma non posso. So che ha ragione.

All’improvviso si allontana da me, lasciandomi lì, appoggiata alla parete fredda del suo studio. «E per inciso, se volessi portarti a letto non dovrei faticare molto. È evidente che non vedi l’ora di essere scopata, me lo hai appena dimostrato ricambiando il mio bacio».

Inorridisco per la brutalità delle sue parole e per il fatto che sono vere: se un attimo fa mi avesse voluto, avrei ceduto. Gli avrei lasciato fare di me quello che voleva.

«E adesso fuori di qui». Mi indica la porta, l’espressione del volto ormai ostile, feroce.

Con le lacrime agli occhi fuggo via piena di vergogna.

Avevo giurato a me stessa che non mi sarei lasciata umiliare da quest’uomo, invece ancora una volta è riuscito a darmi una lezione.

Lo odio.

E lo desidero.

Dio, quanto lo desidero!

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