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Capitolo 5

ANDREW

«Sono nei guai», confesso portandomi alla bocca la mia pinta di birra. Sono nel mio pub preferito, in compagnia del mio migliore amico, Malcom, ma non riesco a smettere di pensare ad Angel. Mi sto fottendo il cervello.

«Che genere di guai?». Malcom mi punta addosso uno sguardo curioso. So che posso contare su di lui e sulla sua discrezione, per questo mi sono deciso a vuotare il sacco.

Sospiro. «Mi sento terribilmente attratto da una delle mie allieve del primo anno». Lo dico tutto d’un fiato, quasi temessi di non trovare il coraggio.

«Ah, quel genere di guai». Ride piano e la cosa mi irrita. Non gliel’ho detto per sentirmi prendere per il culo.

«Non c’è niente da ridere».

Lui solleva entrambe le braccia e scuote la testa divertito. «Scusa, è solo che non ti smentisci mai. Cambi donna come se fossero fazzolettini di carta, quando ti deciderai a mettere la testa a posto?»

«Suppongo mai».

«Coraggio, quanti anni ha? È maggiorenne, almeno?»

«Certo che sì!». Mi ha preso per un pedofilo forse? «Ma non è questo il problema, il fatto è che non posso scoparmela, è contro ogni etica professionale».

Malcom continua a ridacchiare. «E da quando possiedi un’etica professionale?»

«Molto divertente». Malcom è il mio migliore amico, ma certe volte lo prenderei a calci. «Guarda che è un problema serio, non riesco a togliermela dalla mente».

Lui smette di ridere e mi guarda. All’improvviso sembra preoccupato. «Ehi, non ti ho mai visto in questo stato per una femmina». Butta giù un sorso di birra, ma non smette di fissarmi. Come se intendesse leggermi dentro l’anima.

«Probabilmente perché di solito risolvo il problema portandomele a letto», rispondo inarcando un sopracciglio. «Solo che stavolta non posso».

«Bel problema, in effetti».

«Eh, già».

«Sai che ti dico? Hai bisogno di una delle nostre serate da scapoli: alcol, buona musica e qualche bella donna disponibile. Ti hanno mai detto che chiodo scaccia chiodo?».

Forse Malcom ha ragione.

«Perché no? Che ne dici di venerdì sera?»

«Ci sto, amico». Malcom sorride e mi dà una pacca sulla spalla. Sembra soddisfatto del nostro programma. Io e lui ci somigliamo. Sesso senza impegni, è questo che cerchiamo. È sempre stato così per noi.

Be’, quasi sempre.

Mi incupisco per un istante, ma mi impongo di scacciare i tristi ricordi. Dopo aver finito le nostre birre paghiamo il conto e ce ne andiamo, lui si avvia verso la sua auto e io mi incammino a piedi.

Casa mia è a pochi isolati da qui.

Infilo le mani nelle tasche dei jeans e mi perdo nei miei pensieri finché non arrivo davanti a casa. Tiro fuori le chiavi e sto per inserirle nella serratura quando qualcosa mi blocca.

Uno strano brivido mi percorre la schiena.

Mi volto in preda a uno strano presentimento e la vedo: è Angel, sta uscendo dal palazzo di fronte, infagottata in un cappotto rosso. So che dovrei ignorarla e proseguire per la mia strada, ma è più forte di me: attraverso il marciapiede in un lampo e le corro dietro.

«Signorina Mancini». La trattengo per un braccio e non appena si volta noto il rossore che le colora le guance. Non ho mai trovato sensuali le donne che arrossiscono, ma mi sto ricredendo.

«Professor Barrett…». Non appena mi riconosce sgrana gli occhi confusa.

È bellissima.

«Abita in questo quartiere?», chiedo alquanto stupidamente. L’ho già vista affacciarsi alla finestra di fronte alla mia, è chiaro che vive qui. Invece lei mi sorprende scuotendo la testa.

«Oh, no. Divido una stanza con un’amica al campus». Si interrompe per prendere un gran respiro; sembra che sia a corto di ossigeno, proprio come me. «Però lavoro come baby-sitter in quel palazzo laggiù», lo indica come se ce ne fosse bisogno. Come se avesse scordato il nostro incontro alla finestra.

Ma so che non è così.

Ricorda eccome. Tutto quanto.

«Non dovrebbe andare in giro da sola di notte». Il mio tono si fa insinuante. «Potrebbe fare dei brutti incontri. Venga, l’accompagno al campus con la mia auto».

«Oh, no». Scuote di nuovo la testa, stavolta con più decisione. «Non è il caso».

Ma io non le permetto di fuggire. Intensifico la stretta sul suo polso e la trascino con me, verso il parcheggio. «Suvvia, non sia sciocca. Per me non è affatto un disturbo accompagnarla». Non appena pronuncio la frase, mi rendo conto che è la verità. Il solo pensiero che una ragazza incantevole e ingenua come lei possa finire vittima di uno scippatore o di un tossico mi fa ribollire il sangue nelle vene.

Non ho intenzione di lasciarmi dissuadere.

Apro la portiera della mia BMW e la invito a entrare. Si accomoda sul sedile del passeggero, e io mi siedo al posto di guida e avvio il motore. Lungo il tragitto restiamo in silenzio, lei imbarazzata e io perso nei miei pensieri. In realtà, sto cercando di trattenermi dalla voglia matta che ho di toccarla e saggiare la morbidezza della sua pelle. Il suo profumo invade l’abitacolo. Sa di talco e vaniglia, di purezza e semplicità.

Mi fa impazzire.

Quando arriviamo al campus Angel cerca di convincermi a lasciarla all’ingresso, ma io insisto per accompagnarla fino al dormitorio. Sono irremovibile. La sento sospirare piano e trattengo un sorrisino vittorioso.

Non appena fermo l’auto, lei si sporge in avanti per aprire la portiera e fuggire via da me; glielo leggo in faccia. Ma io la trattengo posandole una mano sul ginocchio.

«Aspetta», mormoro con voce roca.

Non voglio che vada, non ancora.

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