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Capitolo 7

ANDREW

Nei successivi due giorni non faccio altro che pensare alla bocca di Angel, alle sue labbra morbide e calde che si muovono sulle mie.

Mi sembra di impazzire.

Vederla a lezione e non poterla toccare è un tormento. Non riesco neppure a consolarmi con altre donne, perché nessuna accende in me un desiderio anche lontanamente paragonabile a quello che provo per quella ragazza.

Stamattina quando entro in aula vengo accerchiato da uno stuolo di studentesse, tutte desiderose di parlarmi e flirtare con me.

Ci sono abituato.

Eppure, mentre un tempo lo trovavo divertente, adesso mi irrita. Vorrei che tra loro ci fosse lei, invece la signorina Mancini si tiene prudentemente alla larga da me. Da quando l’ho baciata nel mio studio non mi rivolge la parola, ha smesso persino di formulare le sue domande irritanti.

La sento lontana mille miglia e questo mi disturba.

«Verrà al party studentesco prima delle vacanze natalizie?», mi chiede quella ragazza dai capelli rossi che spesso vedo chiacchierare con Angel. Non ricordo il suo nome, cosa che non mi stupisce affatto. Raramente ricordo i nomi, persino quelli delle donne con cui sono stato a letto. L’unico che sembra scolpito a lettere cubitali nella mia testa è quello di Angel Mancini.

Il che è abbastanza esplicativo dello stato confusionale in cui mi trovo.

La lezione prosegue senza forti scossoni: gli allievi prendono appunti, talvolta si scambiano sguardi d’intesa e ridacchiano. La mia attenzione è calamitata da Angel, ma lei non mi guarda. Tiene la testa china sul banco, i lunghi capelli biondi che le incorniciano il volto.

Quando finalmente termino la mia introduzione sul teatro medievale e ripongo gli appunti nella mia ventiquattrore, quasi tiro un respiro di sollievo per essere arrivato illeso all’ultima ora. Mi aspetta una serata con Malcom e chissà, forse dell’ottimo sesso occasionale con una ballerina in un night.

Queste per lo meno sono le mie intenzioni, ma appena mi siedo al bancone del bar e butto giù il mio primo bicchiere di vodka in compagnia del mio amico, capisco di essere di pessimo umore.

«Cos’è quest’aria da funerale? Credevo fossimo qui per divertirci», esordisce Malcom aggrottando la fronte.

«Non ho nessuna aria da funerale, ti stai sbagliando».

«Certo che sì, amico. Hai una cazzo di aria da funerale, te lo dico io». Mi studia e sogghigna. «Non dirmi che sospiri ancora per quella ragazzina!».

«Si chiama Angel e non è una ragazzina».

«Ok, sospiri ancora per lei. Dio mio, sei patetico!».

Vorrei mandarlo a fanculo, ma in fondo ha ragione. Se non riesco a rilassarmi e a godermi la serata è perché lei non è qui con me.

Più patetico di così.

Osservo distrattamente una ballerina di lap-dance che dimena le chiappe a mio beneficio, ma non mi sento affatto arrapato. Alla fine mi invento una scusa e mi allontano per fare una telefonata. Ho fatto una cosa che non avrei dovuto: sono andato a cercare il numero di telefono di Angel sui terminali della segreteria e l’ho memorizzato. So che non dovrei chiamarla, ma la ragione è messa K.O. dal desiderio di sentire la sua voce, anche solo per un istante.

Lei risponde quasi subito, il tono lievemente angosciato. «Pronto? Chi parla?». Sembra nervosa.

«Dove sei?», rispondo dando per scontato il fatto che riconosca la mia voce.

E la riconosce.

«Professor Barrett? Come ha avuto il mio numero?»

«Questo non ha importanza. Dove sei? Devo parlarti».

«Adesso non è proprio possibile», esclama con una punta di panico nella voce. «Sono a un saggio di danza, sto per entrare in scena».

Non sapevo ballasse e la cosa stranamente mi eccita; la immagino con un body attillato che si muove a tempo di musica.

L’uccello mi si rizza all’istante.

«Dimmi dove».

Mi segno l’indirizzo, poi invio un messaggio a Malcom per dirgli che ho dovuto assentarmi per una questione urgente. Del resto, niente è più urgente di questo.

***

Il teatro in cui si svolge il saggio di danza è affollatissimo. Mi faccio largo tra la gente e cerco un posto da cui si veda bene il palco, augurandomi che lei non si sia ancora esibita. A un tratto scorgo le sue amiche, quella con la lunga chioma rossa e la brunetta con gli occhiali. C’è una terza ragazza accanto a loro, credo sia del secondo anno e nel momento in cui posa lo sguardo su di me capisco che mi ha riconosciuto. La vedo trasalire e stringere gli occhi fino a farli diventare due fessure, quasi sia riuscita a leggermi in faccia il desiderio che provo per la sua amica.

Mi auguro che Angel non le abbia raccontato nulla.

Probabilmente è stata un’imprudenza venire qui, ma non ho potuto evitarlo.

Ho bisogno di vedere Angel, di parlarle.

Finalmente compare sul palco, accompagnata da numerosi applausi; fa un profondo inchino per salutare il pubblico, poi si mette in posizione. Il mio sguardo è calamitato da lei, dal suo corpo perfetto: le gambe lunghe, la vita stretta… è divina.

Quando comincia a ballare in sala scende un rigoroso silenzio, sembrano tutti incantati dai suoi movimenti aggraziati, dalla sua leggiadria.

Io stesso sono senza fiato.

Trovo molto più eccitante lei della ballerina di lap-dance di pocanzi.

L’esibizione termina con una standing ovation, anch’io mi alzo in piedi per applaudire. Non ho occhi che per lei. Poi mi allontano dalla sala e mi dirigo verso i camerini, aspetto con ansia che esca; sono certo di non essermi mai sentito così impaziente in vita mia.

Per fortuna non impiega molto. La vedo salutare le altre ballerine, è sorridente ed emana un fascino sorprendente, come se la danza l’avesse trasformata in una creatura più appassionata e sicura di sé. A un tratto si volta e si accorge della mia presenza, arrossisce all’istante strappandomi un sorrisino. Amo il colore acceso che assumono le sue guance quando si imbarazza o si emoziona, vorrei coprirle il volto di baci.

Invece resto a guardarla, immobile. Lei si sistema il borsone della palestra sulle spalle e si infila le mani nei jeans, prima di venire verso di me. Accenna un sorriso teso. «Perché è venuto?», chiede esitante.

«Perché non potevo farne a meno».

Le mie parole sembrano colpirla, distoglie lo sguardo passando il peso da un piede all’altro. Allora allungo una mano verso di lei, le afferro il mento con un dito e la costringo a guardarmi.

«Sei stata fantastica».

Arrossisce di nuovo. «Grazie».

«Ho bisogno di parlarti, possiamo andare in un posto più tranquillo?»

«D’accordo». Lancia un’occhiata alle sue spalle. «Prima però devo avvisare le mie amiche, avevo promesso di andare a bere qualcosa con loro dopo lo spettacolo. Dovrò inventarmi qualcosa».

Annuisco e le lascio il tempo di fare una telefonata. L’ascolto mentre racconta di aver avuto un contrattempo, la voce le trema impercettibilmente rivelando il fatto che non è abituata a mentire. L’apprezzo ancora di più per questo.

«Okay, andiamo», dice infine. Il suo sguardo è fiducioso e attento. Le porgo la mano e lei l’afferra, nel momento in cui le nostre dita si sfiorano sento una scossa elettrica percorrermi da capo a piedi.

È questo l’effetto che mi fa.

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