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Capitolo 3

ANGEL

«Sei pazza?», bisbiglia la ragazza seduta accanto a me, fissandomi come se fossi un extraterrestre in visita sulla terra. Si sistema gli occhiali sul naso e mi fissa con disapprovazione. «Il professor Barrett è famoso per la sua intransigenza, riuscire a prendere una A con lui è un’impresa. Con quella domanda ti sei giocata l’intero semestre, fidati».

Cerco di controllare il tremore alle mani. Neppure io so spiegarmi perché ho fatto una cosa tanto stupida, quando in realtà avrei voluto soltanto venire inghiottita dal pavimento. Non appena l’ho riconosciuto il mio cuore si è messo a saltellare come impazzito, devo ancora riprendermi dallo shock.

Una compagna di corso nella seconda fila si protende in avanti. «Avete visto quanto è figo, però?», dice con un filo di voce. «A proposito, io sono Daisy».

Mi porge la mano e io la stringo.

«Angel», rispondo riluttante.

«Io sono Faith», si presenta la brunetta con gli occhiali. Ha i capelli tagliati in un caschetto corto e l’aria da intellettuale, però sembra simpatica. Daisy invece ha lunghi capelli rossi e ricci; sembra uscita da una rivista di moda.

«Avete finito di fare conversazione?», tuona la voce del professor Barrett all’improvviso.

Io sussulto sulla sedia.

Perché quell’uomo mi fa questo effetto?

Lo stomaco mi si contorce ogni volta che mi rivolge la parola, e non è un bene visto che sarà il mio insegnante per l’intero semestre. Sospiro affranta e apro il mio block-notes, pronta per la mia prima lezione alla Columbia.

Il tempo vola via che quasi manco me ne accorgo. Il professor Barrett fa un’introduzione sulla lingua inglese e le sue origini, fornendoci alcuni dati storici. Il suo modo di parlare mi incanta, ha un tono di voce basso, un po’ roco. Decisamente sexy.

Santo cielo, cosa mi viene in mente?

Sento una vampata di calore che mi avvolge e chino la testa sul blocco degli appunti, quasi a volermi nascondere. Scrivo parole senza senso, nell’inutile tentativo di non farmi notare. Quando finalmente la lezione termina sono un blocco di nervi.

Come farò ad arrivare illesa alla fine del semestre?

Mi alzo con la paura che le ginocchia mi cedano e saluto distrattamente Daisy e Faith che si avviano all’uscita. Sto sistemando le mie cose nello zaino, quando la voce di Barrett mi inchioda al suolo.

«Signorina Mancini, posso parlare un minuto con lei?».

L’aria mi viene risucchiata dai polmoni all’istante. «Certo, professore», rispondo boccheggiando.

Cosa vorrà dirmi? Sono riuscita davvero a contrariarlo con quella stupida domanda?

Accidenti a me e alla mia lingua lunga!

Mi avvio tremante verso di lui, che non smette un attimo di fissarmi con quei suoi occhi ipnotici. Non riesco a capire di che colore sono, se azzurri o grigi. Quello che so è che incutono timore. In effetti, sono terrorizzata.

«Mi spiace se le sono sembrata insolente, prima», balbetto senza nemmeno rendermi conto di quello che dico. Incespico nelle parole, sono una vera frana.

Lui incurva le labbra in un sorriso irritante. «Le piace così tanto Shakespeare?».

La sua domanda mi confonde. «Come?»

«Mi è sembrata dispiaciuta che non fosse incluso nel programma».

«Oh, sì». Spero che lui non noti le mie guance in fiamme. «A essere sinceri è il mio drammaturgo preferito».

«Bene, lo terrò a mente». Torna serio all’improvviso, il suo sguardo mi annoda lo stomaco. «Ma non è a causa del suo intervento di prima che le ho chiesto di restare».

«Ah, no?». Sgrano gli occhi, che ora sono pieni di confusione.

«No, desidero parlare con lei dell’altra sera».

«L’altra sera?»

«Non ricorda? La finestra, i nostri sguardi che si incontrano…».

Adesso vorrei sul serio sprofondare.

Lucifero, trascinami nel tuo inferno!

«Io, non…». Speravo che non mi avesse riconosciuta, che non ricordasse chi sono.

«Inutile che le dica che quello che è accaduto deve restare tra noi, non è vero?». I suoi occhi adesso sono due pozze scure. Penso che potrebbero inghiottirmi da un momento all’altro.

«Ce-certo», rispondo con voce stridula.

«Non una parola coi suoi compagni di corso, ha capito bene?»

«S-sì. Non aprirò bocca, lo giuro!».

«Bene». Si volta per raccogliere le sue cose senza badare più a me.

Capisco di essere stata congedata.

***

Seguo le altre lezioni della giornata senza riuscire a concentrarmi, i pensieri mi affollano la mente. Non so come uscire da questo casino.

Lui mi ha riconosciuta.

Sa che sono rimasta a guardarlo mentre… Dio mio, che vergogna! Non riesco nemmeno a pensarci.

Quando finalmente anche l’ultima lezione giunge al termine, corro fuori. Trascino i passi uno dopo l’altro, finché non mi ritrovo davanti alla palestra di danza.

La danza è la mia passione, insieme alla scrittura.

Ballo fin da quando ero piccola, mi aiuta a scaricare la tensione. Quando ballo il mondo mi sembra migliore e i problemi si dissolvono.

Non a caso i piedi mi hanno portato qui.

Sento il bisogno di lasciarmi andare, di ballare fino allo sfinimento.

Apro la porta e infilo dentro la testa. «È permesso?». Per fortuna non c’è nessuno. Ho tutta la palestra per me. Corro agli spogliatoi e apro il mio armadietto per cambiarmi, infilo un body attillato e le mie scarpette da ballo, poi lego i capelli in una coda alta sopra la testa.

Sono pronta.

Entro nella penombra della palestra e mi avvio verso la sbarra per fare un po’ di riscaldamento. Eseguo dei plié e dei ronde de jambe, poi mi avvicino allo stereo per selezionare la musica giusta, quella del balletto che sto provando da un mese a questa parte. Ha un ritmo veloce, coinvolgente. È la musica giusta per potermi scatenare e mettere a tacere il cervello.

Non appena le note si diffondono intorno a me, chiudo gli occhi e mi concentro. Allungo una gamba dietro al corpo mentre l’altra mi sostiene, poi mi inclino leggermente in avanti. Mi risollevo a tempo di musica e inizio una serie di pirouette. Le note mi trascinano, mi avvolgono, e io dimentico tutto. Eseguo un salto alla perfezione e dei rond del jambe en tournant.

Sono felice, mi sento leggera come l’aria. Ma a un tratto le luci si accendono e io mi blocco.

«Ah, sei tu?». La voce della mia insegnante mi fa voltare di scatto. «Ho sentito la musica, pensavo non ci fosse nessuno a quest’ora».

Mi asciugo la fronte sudata col dorso della mano, il cuore mi batte furiosamente nel petto. «Buonasera, madame Jeanne». Mi affretto a spegnere lo stereo sentendomi come se mi avessero sorpresa a rubare la marmellata. «Mi dispiace, volevo solo provare un passaggio che non mi riesce bene».

Madame Jeanne sorride, sembra aver capito tutto. «D’accordo. Fammi vedere».

«Come? Qui? Ora?».

Allarga le braccia e inarca un sopracciglio. «Ero qui di passaggio, ma ho un po’ di tempo da dedicarti. Quindi, perché no?».

Vorrei gridare di gioia, ma mi trattengo. Ammiro molto madame Jeanne, anche se è la mia insegnante da poco più di un mese. È stata prima ballerina al New York City Ballet, ma da qualche anno ha abbandonato le scene per dedicarsi all’insegnamento. So che da lei potrei imparare molto.

«Dài, mettiamoci al lavoro», mi esorta riaccendendo lo stereo. «Ricomincia dall’inizio».

Io annuisco mettendomi in posizione.

E per un po’ riesco a pensare solo alla danza.

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