Capitolo 2
ANDREW
I corridoi della Columbia sono lunghi e silenziosi questa mattina. I mormorii degli studenti si perdono tra i soffitti alti e le pareti di marmo, mentre i miei passi riecheggiano ritmicamente sul pavimento lucido come uno specchio. Ma la mente è altrove, intrappolata in un’immagine che non riesco a scacciare.
Sono di umore nero.
Ho trascorso tutta la notte a girarmi e rigirarmi nel letto, senza riuscire a smettere di pensare alla ragazza della finestra.
Ormai la chiamo così: la ragazza della finestra.
Non so cosa cazzo mi stia succedendo, non ho mai avuto problemi a trovarmi una donna; di solito mi si gettano ai piedi e il problema se mai è evitarle.
Ma stavolta è diverso.
Quella ragazza ha qualcosa… non so cosa sia, ma è come una calamita che mi attrae fino a farmi perdere la ragione. Sono completamente soggiogato da lei.
Il suo viso è come un’ombra persistente nei miei pensieri: un volto angelico, quasi infantile, con quei capelli lunghi biondi, all’apparenza così setosi. E poi quegli occhi. Grandi, da bambola, che sembravano quasi persi, ma che mi hanno colpito dritto al petto come il proiettile di un bazooka.
C’era una dolcezza irreale in lei, qualcosa di etereo e al tempo stesso dannatamente materiale. Una sensualità mascherata da innocenza.
Mi viene quasi da ridere.
Se penso che non l’ho neppure toccata con un dito…
Eppure, avrei voluto farlo. Cazzo, sì. Il desiderio è arrivato all’improvviso, come una scossa elettrica, un impulso che mi ha sorpreso per la sua intensità, e che non ho potuto ignorare. Non sono solito farmi una sega, solo per aver visto un bel visino, ma in questo caso non ho potuto evitarlo. Il cazzo mi faceva talmente male che non ho saputo resistere.
E la cosa folle è che ancora adesso sento quel calore, la voglia pazzesca di afferrare quella ragazza per i fianchi e spingermi dentro di lei. Ancora e ancora. Non riesco a spiegarmelo. Ho visto migliaia di volti, frequentato donne conturbanti ed esperte, e soprattutto ho attraversato, innumerevoli volte, questi corridoi pieni di studentesse belle da togliere il fiato. Ma mai mi era capitato qualcosa di simile.
Devo essere impazzito.
Controllo l’orologio da polso e affretto il passo. La mia lezione sta per iniziare e io non arrivo mai in ritardo.
Mai.
Sto per svoltare l’angolo, ma qualcosa mi travolge facendomi cadere i libri dalle mani. Sollevo lo sguardo e i miei occhi incontrano quelli di lei. Perché è lei, non ho alcun dubbio.
La ragazza della finestra.
«Oh, mi scusi!». La sua voce è soave e delicata, quasi infantile; mi provoca un brivido lungo la schiena. A un tratto ha un sussulto. Mi ha riconosciuto, glielo leggo negli occhi. Per un attimo mi perdo nel suo sguardo.
«Dovrebbe fare più attenzione, signorina», le dico bruscamente per celare il mio sgomento. Poi mi chino a raccogliere i libri e i miei appunti sparpagliati sul pavimento.
«Sono rammaricata», risponde in un bisbiglio. La osservo di sbieco e mi accorgo che è arrossita; si sta mordendo il labbro inferiore in un modo talmente sensuale da togliermi il respiro.
Oh, cazzo!
Raccolgo in fretta le mie cose e mi allontano lungo il corridoio; sento il suo sguardo che mi pugnala la schiena, ma non mi volto.
Non posso.
Ho un’erezione in piena regola, proprio un attimo prima della mia lezione.
E non va bene.
Non va affatto bene, porco cazzo!
***
L’aula è piena di studenti del primo anno, sento le loro voci e le risate mentre entro senza guardare in faccia nessuno. Mi dirigo verso la cattedra e poso le mie cose, prima di voltarmi lentamente.
Intorno a me scende il silenzio.
«Buongiorno a tutti, sono il professor Barrett e sarò il vostro insegnante di letteratura inglese».
Tra gli studenti si diffonde un lieve brusio; volgo lo sguardo alla prima fila e resto raggelato. Seduta davanti a me, vicino a una brunetta con gli occhiali, c’è lei. La ragazza della finestra, la stessa che mi ha appena travolto in corridoio.
Avevo intuito che fosse una studentessa, ma non immaginavo che avrebbe frequentato proprio il mio corso. Evidentemente il destino ha uno spietato senso dell’umorismo.
Deglutisco.
Piccole gocce di sudore mi si formano sulla fronte e dietro la nuca, ma resto impassibile. Come una statua di marmo. Faccio segno a uno degli studenti di avvicinarsi e gli porgo una pila di fogli.
«Distribuiscili», ordino senza mostrare il minimo cedimento, anche se il cuore mi batte con furia contro lo sterno. Poi torno a sollevare lo sguardo abbracciando l’intera aula. «Questo è il mio programma. Leggetelo attentamente, se ci sono domande fatemele ora. Non ho intenzione di perdere tempo durante le prossime lezioni, sono stato chiaro?».
Il brusio intorno a me si accentua. Poi la ragazza della finestra solleva timidamente una mano. «Per quale motivo non è citato Shakespeare? Non ha intenzione di includerlo nel suo programma?». La sua voce è esitante. Internamente sta tremando, ne sono sicuro.
Un lento sorriso mi incurva le labbra mentre fisso gli occhi nei suoi. I miei restano gelidi, indecifrabili. «Con chi ho il piacere di parlare?», chiedo mellifluo.
La vedo deglutire e sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Sono Angel Mancini, professore».
«Italiana?». Inarco un sopracciglio protendendomi in avanti per sembrare più minaccioso. Ottengo il mio scopo: lei si irrigidisce e si inumidisce le labbra. La sensualità di questa ragazza mi aggredisce la bocca dello stomaco.
«Da parte di padre», risponde in un sussurro appena udibile.
«Bene, signorina Mancini, mi ascolti. A Shakespeare dedicherò un intero seminario il prossimo anno. Ne converrà che non si possa liquidare un autore della sua portata in poche lezioni, non è così?».
Lei arrossisce di nuovo e torna a tormentarsi il labbro. «Sì, certo», risponde con voce tremula. Poi abbassa lo sguardo come se non riuscisse a sostenere il mio.
La intimorisco.
Bene. Perché non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa da una ragazzina, anche se ho una voglia matta di scoparmela.
Senza contare il fatto che lei per me è off-limits.
È una mia allieva. Terreno proibito.
Ma allora perché non riesco a togliermela dalla mente?