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Le nove muse

“Wow” Fu l’unica cosa che disse il piccolo cavaliere. La musa aveva raccontato tutta orgogliosa la sua storia e aveva ottenuto che persino Xiphos rimanesse a bocca aperta.

“Vi è piaciuta la mia storia?” Chiese con un sorriso come se conoscesse già la risposta.

“Sta scherzando? Vorrei che tutte le storie fossero così.” Xiphos era fuori di se, solo Emil sembrava assorto nei suoi pensieri.

Dopo una discussione focosa con la musa, Xiphos si ritirò così silenziosamente come era venuto. Euterpe osservò il principino pensieroso. Sembrava avesse domande ma che non sapesse come porle.

“Chiedi quello che vuoi, cercherò di rispondere il meglio che posso,” gli disse con un dolce sorriso. Se quello che aveva detto era vero, voleva dire che ogni reame veniva governato da una delle muse. Allora i reggenti che ci stavano a fare? Venivano controllati dalle muse? Costa stava a significare questo per Emil? Quante domande. Tutto a un tratto bussò alla porta e si sentì la voce della regina.

“Emil sei ancora sveglio? Dobbiamo parlare.” La testa di Emil si girò di scatto verso Euterpe. Si accorse che la gioia irradiata fino a ora dalla musa era sparito insieme al suo sorriso. Euterpe guardava con gli occhi sgranati verso la porta. Come un assassino che aspetta la sua vittima.

Emil sentiva una paura che fino a ora non aveva mai sentito. Lei si girò lentamente verso Emil, senza perdere di vista la porta. Quando però finalmente guardò Emil, lui sentì l’impulso di correre via più veloce possibile.

Gli occhi della musa erano pieni d’odio. Con una voce che faceva sembrare quella di prima una sinfonia, disse a Emil: “Se apri la porta succede un pandemonio.”

Emil congelò. “Se le racconti di avermi incontrata non mi vedrai mai più, capito?” Gli dette giusto il tempo di annuire e già era sparita. Il bussare si fece più forte e insistente. Emil saltò giù dal letto e aprì la porta.

Sua madre entrò con fare impaziente. Era già in camicia da notte. Questo, ricordò a Emil che si era fatto davvero tardi.

“Sono venuta per scusarmi, per come mi sono comportata questa mattina.” Emil era indeciso se prendere le scuse sul serio. “È che mi preoccupo per te tesoro mio.” Lo accarezzò dolcemente.

Lui pensava ad Euterpe, come aveva guardato piena d’odio quella porta dietro la quale stava la regina. Perché aveva reagito in questo modo? Aveva bisogno di risposte. Sapeva anche come ottenerle. Anche se questo significava mentire. Perse per mano la madre e si sedette sul letto. Prese la sua lavagna.

Ho visto il quadro coperto. Aspettò un attimo poi continuò: Chi è quella signora?

La regina lo guardò allibita. Aprì la bocca ma non ne uscì niente. Pensava già di aver detto qualcosa di sbagliato. Poi la madre disse: “Questa signora è la cattiveria in persona.”

Emil non potette credere alle sue orecchie. Cattiva? Era sicura che parlassero della stessa persona?

“Se mai tu avessi la sfortuna di incontrarla, non credere neanche a una parola di quello che ti dirà. Hai capito?” Emil annuì.

La madre gli dette un bacio sulla fronte e aggiunse, chiudendo la porta dietro di se: “Ora però devi dormire. Domani è un grande giorno.”

Nella testolina di Emil ronzavano così tanti pensieri mentre stava lì sdraiato nel suo letto. Aveva così tante cose da scoprire. Forse sarebbe stato il caso di involvere anche il padre. Una cosa era certa, non poteva credere a nessuno fino a che non si era fatto un quadro della situazione.

La mattina dopo non venne svegliato dalla sua solita domestica Marie, ma da una voce irritante a lui conosciuta. “Giovane signore, si alzi per favore, ho altro da sbrigare, io.”

Voitos stava nel mezzo della porta, non si era neanche preso la briga di entrare nella stanza. “Oggi è una giornata speciale, spero che ve ne siate ricordato.” Il principino ancora tutto assonato si alzò. I suoi capelli erano un disastro. Guardò verso Voitos che batteva impazientemente con il piede per terra. Era così assonnato che allungò semplicemente le braccia e aspettò che qualcuno lo portasse in bagno per potersi lavare. Voitos lo guardò estraniato.

“Non è che veramente pretendete che vi porti in braccio fino in bagno?” Il piccolo principe rimase nella stessa posizione, poteva anche essere che si fosse riaddormentato. Con un sospiro l’uomo, palesemente irritato, prese in braccio Emil e lo trasportò in bagno.

Lo depositò su una sedia e, mentre Emil si lavava i denti, Voitos cercava di venir a capo dell’ammasso di capelli ribelli del principino. “Non riesco a credere a quello che sto facendo. Non sono mica una servetta.”

Emil era abituato al borbottio di Voitos. Non era la prima volte che Voitos doveva occuparsi del principe. Il motivo era, che il re si fidava ciecamente di lui, quindi era l’unico che poteva prendere momentaneamente il posto di Marie, la domestica di Emil. Oggi però Voitos sembrava particolarmente nervoso. Emil si ricordava vagamente che gli avevano menzionato una “giornata importante.”

Una volta che Emil era pronto, Voitos lo prese e lo rimise nella sua stanza, dicendo con voce irritata. “Non sono Marie, quindi, vestitevi da solo.” Detto fatto. Emil era vestito e in ordine. Voitos però aveva da ridire

“Signor principino, non avete scelto l’abito adatto. Avete dimenticato che oggi è il compleanno della principessa di Agapi e voi siete tra gli invitati.” Gli occhi di Emil divennero grandi. Come aveva fatto a dimenticarselo. Anche la madre glielo aveva accennato ieri sera. Si cambiò in fretta e furia mentre Voitos diventava sempre più nervoso borbottando qualcosa come “arriveremo in ritardo.”

Emil odiava andare in carrozza. Durava troppo e lui non aveva il permesso di affacciarsi al finestrino. Oltretutto oggi gli dava fastidio anche il vestito che si era messo e per mettere i puntini sulla I Voitos era di cattivo umore. Stava seduto davanti a lui con le braccia incrociate. Emil lo capiva in fin dei conti. Voitos era il braccio destro del re, e ora gli toccava fare da babysitter. Quindi Emil faceva del suo meglio per non stargli tra i piedi.

Invece Voitos gli chiese: “State bene?” il principe non capì il senso della domanda. Naturalmente stava bene. Era stato invitato a una festa di compleanno, a regola doveva essere contento. Voitos inclinò la testa da un lato.

“Sa, dopo il fatto del lago e tutto il resto….” Emil non credeva alle sue orecchie. Cuore di pietra Voitos si preoccupava per lui? Il ragazzino ne fu così felice che fece il suo più bel sorriso al giovane segretario. Voitos non seppe come reagire quindi annuì e guardò fuori dal finestrino immerso nei suoi pensieri.

Il viaggio fu tranquillo. L’interno della carrozza era immersa nel silenzio e Emil si addormentò. Venne svegliato nel momento del loro arrivo. Il ragazzino saltò giù dalla carrozza e corse verso l’entrata del castello.

“Se cade, suo padre mi manda al patibolo,” gridò Voitos mentre se la passeggiava tranquillamente dietro di lui. Si trovavano nel enorme giardino del castello che a Emil dava più l’impressione di un grande parco giochi, con un enorme fontana nella quale ci si poteva addirittura nuotare.

Il castello stesso sembrava appena uscito da un libro di favole. Aveva un grande portone di legno e intorno al muro del castello crescevano una marea di cespugli di rose. Le sporadiche crepe nelle mura ne aumentava il fascino. Il castello era l’esatto contrario del castello di Emil.

Non era tanto grande aveva delle torri e molte finestre. Arrivati al portone vi trovarono la coppia reale a riceverli. Emil e Voitos si inchinarono.

“Siano salutati vostre altezze.”

Alzarono di nuovo la testa guardando la regina che portava un bellissimo vestito rosso che favoreggiava i suoi occhi verdi. Il re invece portava un semplice vestito che però aveva lo stesso colore di quello della regina.

“Emil tesoro, come stai?” si conoscevano da sempre. Era una cara amica della mamma di Emil. Prima di diventare madre anche lei, veniva spesso a trovare Elvira. “Che peccato che Elvira e Pàgos non abbiano potuto venire. Avrei passato volentieri un po’ di tempo con loro.”

Voitos annuì comprensivo. “Infatti avevano intenzione di venire ma il destino ha altri piani.”

La regina sospirò. “Venite vi portò dagli altri ragazzini.”

Attraversarono un lungo corridoio con molte stanze le cui porte erano tutte aperte. La coppia reale li portarono in una grande stanza con delle enormi finestre che davano su un giardino di rose. La stanza era piena di bambini. Alcuni Emil li conosceva, altri li vedeva per la prima volta. Tutta la stanza era decorata a festa e nel bel mezzo c’era un enorme torta. La regina batté le mani per chiamare i bambini.

“È arrivato l’ultimo ospite, venite a salutarlo.” Tutti i bambini si girarono verso Emil e la prima, che disse qualcosa, fu la piccola Erastis.

“È arrivato Emil!”

La sorella maggiore della piccolina, Epithymia e suo fratello Ziliáris, il festeggiato, si avvicinarono per salutare al principino.

”È bello vederti qui Emil. È passato parecchio tempo da quando sei venuto a trovarci l’ultima volta. Pensavo già che ti fossimo diventati antipatici.”

Ziliáris oggi compiva diciassette anni e si notava subito, che era più grande degli altri ragazzini. Emil scosse la testa e gli dette delle pacche sulla schiena. “Beh, sono troppo vecchio per un abbraccio?” Allargò le braccia e abbracciò Emil.

A questo punto anche la piccola Erastis volle un abbraccio da parte di Emil. La sorella Epithymía, invece, era una ragazzina abbastanza riservata. Aveva solo quindici anni, ma già parlava come un’adulta. Forse dipendeva dal fatto che era stata eletta come successore al trono. Veramente sarebbe toccato a Ziliáris a diventare re, ma lui aveva deciso che preferiva una carriera come cavaliere. I genitori erano d’accordo, soprattutto il padre che amava l’arte della spada.

Emil si guardò intorno. Vide che c’erano anche bambini di altri reami. I gemelli del reame di Epos, Calix e Calista stavano lì seduti a fissare la torta. Emil non aveva mai parlato molto con loro. Più che altro perché loro stessi non volevano avere molto a che fare con altri bambini. Erano indivisibili, questo dipendeva dal fatto che la loro madre morì quando erano ancora molto piccoli e il loro padre si era completamente distanziato da loro.

Sul sofà era seduta l’unica figlia del reame di Istoria, la principessa Paramýthi. Aveva quindici anni, quindi apparteneva alla classe dei ragazzini più grandi. Era molto carina, ma anche molto strana. Una volta che venne a trovare a Emil, gli portò una piccola rana dalmatina. A Emil piacque un mondo, mentre Xiphos e i suoi genitori non lo trovarono così divertente.

Si accorse che mancavano alcuni dei successori al trono. Sapeva naturalmente che non tutti i reami avevano dei ragazzini, così come anche il reame di Agios. Da quando era morto il vecchio re, governava la figlia che si rifiutava di sposarsi. Stava portando alla pazzia tutta la sua corte.

“Allora bambini. Godetevi la festa. Noi adulti andremo a divertirci altrove.” La regina prese per mano il suo consorte e si girò verso Voitos. A questi l’idea non garbava molto.

“Con tutto il rispetto, maestà, non credo che si possano lasciare così tanti ragazzini da soli. Mi permetta di fare da sorv-“ il re alzò una mano.

”Non si preoccupi. Abbiamo chi li tiene d’occhio. Andiamo?”

Voitos guardò preoccupato verso Emil che lo salutava tutto contento. La porta si chiuse dietro di loro lasciando i bambini da soli. Si sentì un lungo sospiro di sollievo. Paramýthi, che all‘inizio era rimasta seduta in silenzio, si sdraiò sul sofà. “I tuoi genitori sono fantastici ma la loro presenza ci mette troppo sotto pressione.”

Epithymía fece solo spallucce. L’atmosfera in tutta la stanza ora sembrava diversa da quando se ne erano andati Voitos e la coppia reale. I gemelli cominciarono a passare le loro dita sulla panna della torta, mentre Ziliáris cercava di calmare Erasits che saltellava su e giù. “Quando viene? Quando viene?”

Paramýthi si girò verso Emil. „Hey, Alfonso,” salutò. Paramýthi era conosciuta per non ricordarsi alcun nome. Emil si era già sentito chiamare Alberto, Pietro, Ralf e ora toccava ad Alfonso. Gli altri ragazzini si girarono verso di lei e dissero all’unisono: “Emil.” Paramýthi fece spallucce, si scusò, e si concentrò di nuovo su uno dei palloni.

Tutto a un tratto caddero petali di rose dal soffitto. Tutti si fermarono. Nessuno si mosse. La piccola Erasits andò da Emil sussurrandogli nell’orecchio: “Eccola...”

Per tutto l’entusiasmo della piccola, Emil non aveva idea di cosa stesse succedendo. I petali caduti giù iniziarono a raccogliersi formando una sagoma. Emil non riusciva a distinguere esattamente cosa era. Sembrava una sagoma umana.

Ziliáris lo confermò quando gridò tutto contento: “Erato!” I petali esplosero e attraverso il fumo ne uscì una signora con le braccia allungate.

“Agapiménos!“ Erastis fu la prima che salutò la dama sconosciuta. „Erato, finalmente sei arrivata!” le si buttò al collo. Emil osservava tutto da lontano. La donna aveva capelli biondi che le arrivavano alle spalle, occhi blu e portava un vestito rosso sangue con una spaccatura al lato. Inoltre aveva su dei guanti che erano rossi come il vestito. Infine portava un diadema che quasi non si vedeva sotto la folta capigliatura.

Salutò ogni bambino singolarmente dandogli un bacio sulla fronte. Arrivata da Emil si fermò. “Beh…” Lo accarezzò delicatamente sulla fronte. “Perché cav…” gli passò un’altra volta la mano sulla fronte ma questa volta con un po’ più di enfasi. Aggrottò la fronte e continuò a ripetere il gesto fino a quando lasciò perdere mormorando: “Non hai il segno.”

Tutti i bambini si erano riuniti intorno a lei. “Che segno?” Ziliáris fu il primo che pose la domanda. Ultimamente Emil andava a sbattere sempre più spesso in gente che lo confondeva. C’era Euterpe e ora ci si metteva anche lei. Emil le stampò addosso uno sguardo in cagnesco che lei ricambiò con un sorrisino pietoso.

“Con segno intendevo questo.” Come aveva fatto con Emil, accarezzò delicatamente la fronte di Ziliáris. Sulla sua fronte apparve un simbolo. Era una piccola lira. “Questo è il mio segno.”

Si girò verso le sorelle di Ziliáris. „Alla loro nascita le feci questo segno. Noi dee lo facciamo a ogni nascita di un bambino con discendenza reale. Sta a significare la promessa e la benedizione che saranno sempre sotto la nostra protezione, succeda quel che succeda.”

Cosa intendeva con queste parole? Lui era senza questa benedizione? Tutto sembrava volesse fargli intendere che, a quanto sembrava, lui era stato respinto dalla dea del suo reame. Sicuramente voleva significare qualcosa. Il principino uscì infuriato dalla stanza pur con tutti i ragazzini che lo chiamavano.

Cercò Voitos per potersene tornare a casa. Ma di Voitos non c’era traccia. Continuò a camminare. Guardò in ogni singola stanza fino a che lo trovò. Stava seduto con la coppia reale a un tavolino sorseggiando te. Emil voleva entrare, prendere Voitos per un braccio e ordinargli di riportarlo a casa. Invece si mise ad ascoltare.

“Ma è terribile lasciare quel povero ragazzino solo il giorno del suo compleanno. Che tipo di dea farebbe mai una cosa del genere.” Si poteva sentire la voce della regina indignata in tutto il corridoio.

“Mi dispiace che ora ci vada di sotto il ragazzino.” Questa era la voce del re. Il discorso continuò ancora per un po’. Emil decise di tornarsene via. Quando si girò di scatto andò a finire contro qualcuno, e finì indelicatamente con il sedere per terra. Alzò lo sguardo e vide una faccia a lui sconosciuta.

L’uomo davanti a lui sembrava molto elegante, cosa che gli fece pensare che fosse uno studioso. Il tipo allungò la mano, che Emil prese con qualche esitazione, e lo tirò su. Ora che era in piedi Emil potette vedere meglio chi aveva di fronte.

Certo, sembrava elegante ma a parte quello, niente lo avrebbe distinto dagli altri. Aveva capelli marroni e occhi marroni. Non aveva segni particolari ed Emil era sicuro di non averlo mai viso prima. Oppure sì?

“Mi scusi, vostra altezza.” Fece un sorriso al principino che però non raggiunse gli occhi. Mentre succedeva tutto questo, si erano uniti a loro la coppia reale e Voitos.

“Bene, arriva proprio al momento giusto.” La regina dava l’impressione di essere contenta della sua apparizione. Poi si girò verso Emil. “Tua madre mi ha chiesto di trovarle un rimpiazzo per il signor Scholeío, visto che oramai sta entrando negli anni.” Facendo segno verso il signore, disse tutta contenta: “Saluta il signor Pséftis. Il tuo nuovo insegnante.”

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