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La mia storia

La mia storia inizia come tutte le storie grandi con: tanto tempo fa. Ai miei tempi c’erano due dei. Questi dei, avevano nove figlie. Queste nove figlie vennero create con l’intento di togliere il male e la sofferenza del mondo. Intrattenevano gli altri dei con il loro canto e vennero chiamate muse. Io sono una di queste muse. Tutte noi, belle e intelligenti muse personifichiamo una determinata caratteristica.

Clio era addetta alla scrittura della storia. Melpomene era la musa delle tragedie. Tersicore venne affidata la lirica e il ballo. Talia era la musa della commedia. Inoltre Euterpe, cioè io, sono la musa della musica, della poesia lirica. Erato, musa del canto corale e della poesia amorosa. Urania, musa della astronomia e della geometria. Poliminia, musa della orchestrica, la pantomima e la danza quando associate al canto sacro ed erotico. La nona musa, Calliope era la musa della poesia epica, la retorica, la filosofia e la scienza.

Tutto andava a gonfie vele. Ballavamo cantavamo e raccontavamo storie. Qualcosa però mancava. Eravamo così occupate a fare festa con gli altri dei che avevamo incominciato a trascurare noi stesse. Non sapevamo più cosa ci piacesse o cosa non ci piacesse. Non sapevamo più neanche quale era il nostro colore preferito. Quindi decisi di andare da Apollo per pregarlo di liberarci da questa incombenza.

Lui è il dio dell’arte, soprattutto della musica e del canto, quindi il nostro maestro. Portai Calliope con me perché pensavo che con la sua arte oratrice sarebbe riuscita a convincerlo meglio. Quello che però non sapevo era, che quei due non avevano un buon rapporto. Questo perché una volta erano stati una coppia fino a che mia sorella lo beccò che si sbaciucchiava con Urania.

Va be questo non è poi così importante.

Una volta arrivati da Apollo, capì subito che non era tanto contento di vederci. Infatti i due iniziarono a litigare ferocemente. Non avevo mai sentito così tante maledizioni. Ero affascinata da quello che dicevano. Erano cose che ancora non avevo mai sentito.

Oh scusate mi sto perdendo. Dove ero rimasta? Ah già, la cosa si ritorse contro di noi.

Quando la lite divenne troppo focosa io mi ritirai. Visto che il mio piano non voleva funzionare come desiderato, dovetti ripiegare sul piano B.

Andai da Artemide, conosciuta per il suo odio verso gli uomini e perché era la protettrice delle donne nonché la gemella di Apollo. Le spiegai il mio problema. Non volevo passare la mia esistenza solo ballando e cantando. Volevo essere festeggiata per me stessa.

Lei mi rispose che per venir festeggiata per me stessa, avrei dovuto rendere in qualcosa. C’era da crederci? Per avere un po’ d’apprezzamento avrei dovuto sgobbare. Le chiesi come avrei potuto ottenere ciò nel modo più semplice possibile.

Lei rispose che la via più semplice sarebbe stata venir venerata dagli umani come una dea. E per far questo avrei dovuto scendere sulla terra, prendermi un pugno di umani e fargli capire che nove donne a loro sconosciute erano delle dee.

Raccontai tutto alle mie sorelle che non fecero altro che deridermi. Dissero che sarebbe comunque stato impossibile, visto che non eravamo conosciute neanche da tutti gli dei e blah blah blah. Spiegai loro, che avevo un piano. Questo piano si chiamava Dolos.

Dolos era lo spirito dell’inganno, dei trucchi, artefici e astuzie. Mi guardarono quasi con paura. Non vollero neanche sentire il resto del mio piano. Cercai di spiegarle che ero sicura che avremmo avuto successo. Invece di darmi una possibilità, mi mandarono via. Dissero che potevo tornare solo con un piano funzionante. Beh se non mi volevano aiutare avrei fatto da sola.

Con questi pensieri mi avviai per andare da Dolos.

Dolos non viveva nelle vicinanze di altri dei, anche perché in fin dei conti lui non era un dio. Lui effettivamente è un demone. Un essere che si colloca a metà strada fra ciò che è divino e ciò che è umano, per fungere da intermediario tra queste due dimensioni. Solo che, dopo che ebbe inventato le bugie, nessuno lo voleva più nelle sue vicinanze. Quindi lui si era ritirato in una piccola capanna.

A metà via, sentii dei passi veloci dietro di me. Mi girai e vidi Clio che mi correva dietro. Le sorrisi chiedendole come mai avesse cambiato idea. Lei mi rispose che ancora era convinta che non fosse una buona idea. Voleva esserci per poi poter riferire il mio fallimento, disse sghignazzando.

Arrivammo alla capanna, che trovammo vuota. Non c’era nessuno e Clio già se lo stava annotando in un piccolo quadernetto. Tutt’a un tratto sentimmo una voce che ci invitò a entrare in casa. Senza batter ciglia, Clio entrò. Dopo un minutino la seguii.

Una volta dentro ci accorgemmo che era molto più grande di quanto sembrasse da fuori. In quel momento mi ricordai a chi appartenesse quella casa.

Dolos, l’inventore delle bugie e dell’inganno.

La casetta aveva un camino con il fuoco acceso. Un tavolo appena apparecchiato con delle candele sopra. Tutto sembrava fatto di legno. Su un lato del tavolo stava seduta una figura. Un uomo giovane, pallido con capelli bianchi.

Quando mi guardò mi accorsi che i suoi occhi non avevano colore e neanche pupille. Nonostante ciò non dava l’impressione di essere cieco. Si alzò e venne verso di me. Beh non direttamente «venire» fluttuare sarebbe la parola più adatta.

Una volta arrivati da noi mi dette la mano e per mia meraviglia la sua mano era quasi trasparente. Mentre gliela stingevo si presentò.

La sua bocca si muoveva ma la voce non usciva dalla bocca. Sembrava che si muovesse come il vento, non si sapeva bene da che direzione venisse. Era da per tutto.

“Benvenuti nella mia umile dimora mie belle signore.”

La sua voce risuonò per tutta la capanna. Clio dette un piccolo gridolino di meraviglia che lui corrispose con una sonora risata. La risata non era una risata di gioia ma era abbastanza dispregiativa. La qual cosa mi fece un attimo innervosire. Gli spiegai brevemente chi eravamo e che volevamo il suo aiuto.

“E perché mai vi dovrei aiutare?”

I suoi occhi mi guardarono come se volessero guardare attraverso di me. Clio si intromise spiegandogli che volevamo ottenere lo status di dei per essere venerate anche noi. Per poter ottenere questo però dovevamo venire riconosciuti come tali, dagli umani. Mentre dava tutte queste spiegazioni notai che apparve uno sghignazzo sul suo viso.

“E voi credete che io, uno spiritello, che non è ne umano ne dio, dovrebbe aiutarvi in qualcosa che io stesso, sto provando a ottenere da secoli?”

Sapevo che non sarebbe stato facile. Ci stava guardando come se stesse aspettando una risposta. Gli dissi che naturalmente sarebbe stato pagato. Anche

Clio era d’accordo. Lui non sembrava convinto.

“Cosa potreste darmi voi, che non mi posso prendere quando voglio. Prendete questa casa per esempio, credete che sia vera? E tutta finzione, illusione, bugia.”

Schioccò con le dita e la capanna sparì. Io e Clio rimanemmo pietrificate. Lui invece si mise a ridere in modo beffardo.

“Vedete! Io posso avere tutto, voi non potete offrirmi un bel nulla!”

Clio mi guardò e nei suoi occhi vidi che aveva qualcosa in mente. Non sapevo cosa e questo mi metteva una certa agitazione addosso. Clio era brava nel raccontare storie. Queste storie però erano tutte vere e non erano fatte per convincere l’inventore delle balle. Con testa alta lo guardò dritto negli occhi e disse: “invece si, lo abbiamo.” La sua risatina beffarda sparì. La guardò con disprezzo. Tutta la sua eleganza si dissolse.

“Come, prego?”

Clio mi guardò e mi fece segni di supportarla. Dovevo riflettere in fretta. Cosa mai potevamo offrirgli? Poi mi venne la folgorazione. Aveva appena detto che erano secoli che cercava di diventare un dio, ma che non ci era mai riuscito. Quindi sapevo esattamente cosa potevo offrirgli. “Apprezzamento.” Si fermò. Per una frazione di secondo mi sembrò di intuire un sorriso. Ci guardò entrambe con fare di sfida.

“E come credete di poter ottenere questo?”

Eh, questa non se l’era aspettata. Sorrisi a Clio e le feci capire che da qui in poi avrei ripreso io le redini. “Siamo delle muse. Noi cantiamo gli dei e raccontiamo storie che arrivano fino alle orecchie degli umani. Dobbiamo solo cantare su di te e sentirai il tuo nome sulle bocche di chiunque.” I suoi occhi bianchi brillavano dall’eccitazione.

“Prima di accettare. Come posso essere sicuro che non mi state ingannando? Con voi muse non si è mai sicuri.”

Disse un po’ irritato. Gli detti la mia parola d’onore di dea. Il che stava a significare che se non avessi adempito alla mia promessa avrei pagato con la vita.

“Questo mi piace! Allora quando iniziamo? Cosa devo fare?”

Sembrava un bambino al quale era stato promesso un cioccolatino. “Semplice, fai credere agli umani che noi nove muse siamo delle dee.” Lui si fece una sonora risata.

“Ah tesorino! La cosa non funziona così. Se era così semplice lo avrei già fatto da tempo.”

A quanto sembrava lo trovava molto divertente perché si stava rotolando dal ridere. Ero allibita. Clio invece sembrava assorta nei suoi pensieri. Quando finalmente aveva finito di ridere, Clio cominciò a parlare.

“Allora crea qualcosa per noi che potrebbe facilitarci la soluzione del problema. Tu crei qualcosa che li potrebbe danneggiare, noi risolviamo il loro problema e, boom siamo dee.”

Silenzio.

Dolos la osservava. La osservò per un bel po’. Lei di rimando gli guardava fisso negli occhi. Penso che neanche batteva le palpebre.

Con un sospiro lui commentò: “per quanto distorto possa sembrare, potrebbe funzionare. Però appena gli umani scopriranno che è tutta finzione, la magia non funzionerà più.”

Eravamo d’accordo.

“Bene Signore, abbiamo un accordo.”

Ci stringemmo le mani e ce ne andammo. Dovevamo far sapere la novità alle nostre sorelle e convincerle a unirsi a noi. Clio non sembrava molto convinta.

Mentre andavamo tranquillamente verso casa non aprì bocca. Tutt’ a un tratto mi confessò con un’espressione preoccupata, che sentiva un po’ d’ansia a cantare su Dolos. Non dimentichiamoci che era la personificazione della frode e delle truffe.

Cercai di rassicurarla dicendole che avevo un asso nella manica. Gli avevamo detto che lo avremmo decantato e che avremmo raccontato storie su di lui, ma non avevamo detto che tipo di canzoni e storie.

Il mio piano era, di farci aiutare a diventare dee. Lo avremmo decantato ma avremmo cantato così male di lui, che anche le divinità superiori avrebbero sentito di lui e lo avrebbero rinchiuso.

Clio mi chiamò brutta strega, ma il mio piano funzionò. Salvammo l’umanità. Venimmo venerate come delle dee e per ringraziarci il dio degli dei ci fece un regalo. Ogni musa ottenne un reame da proteggere e accudire.

Così sorsero, Mousiki, Epos, Istoria, Tragodia, Agapi, Agios, Choros, Komodia e Plantis. Tutti vissero felici e contenti fino alla fine dei loro giorni. A meno Dolos naturalmente. Questi venne rinchiuso e ora sta marcendo da qualche parte.

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