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Capitolo 6

Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso (Gandhi)

Cosa è successo realmente?

Nathalie

Prima di riprendere il lavoro ed i matrimoni che mi attendevano, rispondendo alla chiamata di Kalhida mi ero recata a Dubai. Kalhida voleva propormi l'apertura di alhum anche ad Abu Dabhi. Il mio ingegno come pasticciera aveva fatto si che creassi dolci che ricordavano la Francia, l'America ma che avessero in se anche un pizzico di tradizione araba. Questo aveva fatto si che fosse un posto sempre frequentato e aveva dato a Kahida il desiderio di aprire un'altra pasticceria ad Abu Dabhi.

"Amir Amad Kelhan sta lavorando su un nuovo centro commerciale con suo socio, Malik, volta scorsa sono venuti qui tutti e due e hanno proposto a mio padre una pasticceria nel nuovo centro." Mi aveva detto nel suo inglese non proprio perfetto.

"Amad Al Saqui lo conosco, Malik no! Però anche se si fa la cosa Kalhida dobbiamo valutare. Chiamo Samuel e lo faccio parlare con tuo padre, sai che non posso intervenire nelle cose da uomini." Le spiegai.

Samuel era il mio avvocato, lo avevo conosciuto due mesi dopo essere arrivata a Dubai, grazie a Trevor. Mi serviva un avvocato e lui era il migliore aveva detto.

Non mi ero mai pentita di quell'incontro. Samuel era preciso in tutte le cose e mi chiamava ogni qual volta c'erano dei problemi o anche solo per sapere come stavo. Tecnicamente se mi chiamava io dovevo tornare a Dubai, aveva la delega della mia firma e la mia massima fiducia. Se l'affare fosse andato in porto sicuramente lui avrebbe dovuto gestire le trattative a modo mio durante la mia assenza.

Le giornate a Dubai stavano trascorrendo ormai tranquille. Avevo trovato una certa stabilità sopratutto mentale dopo la presenza costante di James nella mia vita. Parlai anche con Amad che non si fece alcun problema a trattare con una donna, a differenza del padre di Kalhida. La nuova attività nel nuovo locale e sopratutto le premesse di Amhad erano interessanti. Tutto stava facendo si che io come sempre mi sentissi a casa in quell'angolo del mondo. Al mattino ero sayidat alshita', letteralmente significava appunto signora Winter, indossavo il velo, lavoravo nella mia pasticceria e mi accingevo a vivere e comportarmi come le donne degli Emirati. La sera quando uscivo con Alysanne, letteralmente sayidati red, per il suo cognome Thunder, ero Nathalie la ragazza occidentale, che si concedeva uscite con i suoi amici e serate sempre allegre.

Era tutto perfetto o almeno lo credevo, fino a quando quel lunedì mattina non avevo ricevuto una telefonata che mi aveva riportato indietro nel tempo.

La telefonata arrivava dal distretto di polizia 27 di New York City. Non capivo il nesso di quella telefonata, l'uomo che mi aveva violentata era tornato alla carica con un'altra ragazza. Volevano che io testimoniassi, che riconoscessi il probabile colpevole poiché se quello era il secondo caso in successione Il presunto colpevole sarebbe finito in prigione e questa volta nessuno avrebbe potuto tirarlo fuori.

Non ci credevo o forse volevo credere a James Von König quando mi aveva detto che era pentito e che mi chiedeva scusa. Stavo pensando di dargli una seconda occasione, concedergli il beneficio del dubbio dopo il nostro ultimo incontro. Ma adesso che era arrivata quella telefonata, tutto era cambiato. James Von König aveva commesso un ennesimo stupro.

Ero andata da Samuel a confermare la mia adesione al nuovo progetto di Abu Dabhi, insieme avevamo contattato anche Amahd Kelhan ed avevamo preso appuntamento per firmare il contratto un'ora prima della mia partenza.

Firmato il contratto Amahd mi assicurò che mi avrebbe tenuta aggiornata tramite Samuel che era amico del suo socio Malik di tutti i progressi nella costruzione della nostra nuova.

"Sayidat alshita' non ti pentirai del lavoro che svolgeremo."

"Mi affido a voi Amahd." Dissi all'uomo con lo sguardo basso "Non conosco Malik quindi sarete solo voi il mio riferimento e mi aspetto il meglio dal nuovo locale."

Dopo essermi congedata salutai tutti ed accompagnata da Kalhida e suo padre ero andata spedita all'aeroporto.

"Mi mancherai Nathalie alshita'."

"Anche tu Kalhida. Ricorda, siamo sorelle! Ogni volta che serve tu chiamami ed io correrò shaqiqa."

L'abbracciai e poi ero partita.

Non avevo perso tempo, non me lo ero fatta ripetere due volte. Avevo prenotato un volo per New York ed avevo preso appuntamento al dipartimento di polizia per poter riconoscere l'uomo. Sapevo che avrei dovuto deporre di nuovo contro James ma ero preparata questa volta, delusa ma preparata.

Alle dieci di mattina del martedì ero finalmente arrivata a New York, mia sorella era venuta a prendermi. Non avevo avuto voglia di raccontarle altro, Kaylee sapeva dello stupro che avevo subito come anche dei miei incontri recenti con James, però non volevo spiegarle perché ero tornata.

Sicuramente sarei ritornata a Dubai, Leonard contava su di me per l'organizzazione di una festa ad al Quasim per Halloween era il mio migliore amico e non potevo deluderlo. Quindi si sarei tornata verso ottobre a Dubai.

Una volta a casa mi ero addormentata ed avevo cercato di riprendermi dal jet-lag e nel primo pomeriggio una volta sveglia mi ero recata al dipartimento, avevo appuntamento intorno alle 17.00 col detective Martinez, l'uomo che aveva in mano il mio caso e non volevo essere in ritardo.

Quando giunsi avevo ancora i segni della stanchezza dipinti sul volto abbronzato ma mi sentivo pronta.

"Buon pomeriggio- dissi ad un poliziotto.- il detective Martinez mi sta aspettando. Sono Nathalie Winter"

L'uomo annuì e mi indicò una scrivania ed un cubicolo dove due agenti stavano confrontandosi tra di loro. Sospirando mi diressi da loro.

"Salve, il detective Martinez è qualcuno di voi?"

Una donna minuta dai colori scuri, con molte probabilità mia coetanea mi sorrise allungandomi la mano. "Buon pomeriggio. Si sono io... lei è Nathalie Winter, giusto?"

Mi disse indicandomi una sedia vuota andando a sedersi lasciando il suo compagno.

La seguii e mi accomodai, come faceva a conoscermi?

"Ho il fascicolo con la denuncia di stupro qui avanti. Mi dispiace averla disturbata sinceramente Nathalie ma serve impellente il suo intervento. "

La guardai cercando di restare seduta composta e seguendo il discorso della donna, le mani erano chiuse a pugno, sentivo che erano fredde ed umide, sudavo freddo infatti. Annuii alla donna senza proferir parola invitandola a continuare e lei lo fece.

"Adrian Preston è uscito di prigione da poco e purtroppo sembra aver colpito di nuovo stuprando un'altra ragazza. Stessa tipologia di intervento, ha tolto la benzina dall'auto della ragazza ed ha aspettato che fosse sola per tenderle un agguato e abusare di lei. Le ricorda qualcosa questo?"

La ascoltai, gli occhi fuori dalle orbite mentre raccontava quanto era accaduto. Adrian Preston? Chi era? Cosa stava mai dicendo quella donna, la guardai e scossi la testa.

"James... James Von König." Dissi, era quello il nome esatto, non Adrian Preston.

"Il suo fidanzato? L'uomo che ha chiamato i soccorsi quella notte. Stiamo provando a rintracciare anche lui ma sembra che non sia rintracciabile al momento e comunque la deposizione importante è la sua signorina Winter. Può aiutarci?"

Annuii, cosa mi raccontava quella donna? Portai una mano alla fronte, sentivo un morso alla gola. James l'uomo che mi aveva prestato soccorso? James il mio fidanzato? Cosa mi ero persa di quella notte?

"Sono... sono disposta ad aiutarvi." Balbettai cercando di riprendermi, come li avrei aiutati? Riconoscendo un uomo che ero sicura non fosse il mio stupratore.

La donna mi sorrise e si alzò, io feci altrettanto e così facendo mi detersi i palmi delle mani sulla gonna in cotone.

"Bene mi segua. Stanno facendo preparare degli uomini. Noi andremo in una stanza con un vetro divisorio, potrà vedere ma potrà non essere vista. Potrà chiedere di far avvicinare i nostri sospetti se ha qualche dubbio e se non lo riconosce signorina Winter non fa nulla."

Disse la donna mentre ci incamminavano verso una stanza cupa, dove facevano mostra di se un piano con un microfono e pochi altri strumenti. Mi guardai intorno incerta e mi strinsi nelle braccia mentre mentre preparavano il tutto.

Vidi una fila di dieci uomini entrare al di là dello specchio. Ogni uomo aveva un numero erano misti, alti e bassi, bianchi, neri o asiatici, giovani e vecchi. Non c'era un solo tipo di uomo ma tanti e tutti lì.

"Siamo pronti. Li osservi pure e si prenda tutto il tempo Nathalie." Mi disse l'agente.

Sempre in silenzio guardai smarrita la fila di uomini. Uno, due, tre, quattro, cin... un attimo. Io conoscevo il numero quattro, spostai lo sguardo sull'uomo emaciato, aveva capelli lunghi unti e biondi. Bianco, ma pallido, le guance erano inforcate e i vestiti trascurati.

Chiesi di farlo venire più avanti e quando lo fece potei guardarlo meglio, con un sorriso fece il segno del dito medio allo specchio, gli occhi erano spenti, si passava la lingua sulla bocca con lussuria e quando lo fece rivissi dei flashback. Il viso cattivo del mio incubo!

L'alito che sapeva di alcol, le mani callose che mi toccavano, la voce che diceva di aver tolto la benzina e la costrizione a fare ciò che mi chiedeva.

Impulsivamente mi venne da vomitare, mi allontanai alla ricerca di un secchio e sconfortata e mortificata cercai di riprendermi.

"Lui... lo riconoscerei ovunque. È lui!" Ansimai... non James Von König, lui.

Sentii la presenza di Martinez al mio fianco, mi passava un fazzoletto di carta. Lo presi e cercai di pulire la bocca come meglio potevo visto la mancanza degli specchi.

"Si, era lui Nathalie. Ma avevamo bisogno che fosse lei a testimoniare, lo capisce vero?"

Ancora annuii, cercavo di rimettere insieme i pezzi del puzzle ma non riuscivo fin quando il nome di James non si frappose di nuovo tra me e la donna.

"James Von König voleva che la tenessimo lontana da questa storia. Si è premurato la notte della violenza che mantenessimo il massimo riserbo. È libera di non voler intervenire, ma sappia che la sua testimonianza..."

"Lo farò!" La interruppi secca! "Lo devo a me stessa, all'altra ragazza e a tutte le altre donne prima di noi. Testimonierò contro di lui, lo voglio dentro e non deve più uscire." Dissi orgogliosa e decisa al detective.

"Questa volta abbiamo più prove signorina Winter e lui non avrà modo di rigirare la denuncia per percosse, il signor Von König con lei lo aveva pestato di brutto. Venga devo farla firmare.

Ma si fidi, con la sua testimonianza Preston passerà in prigione gli anni migliori della sua vita."

"Bene... grazie agente Martinez e qualsiasi cosa mi chiami!" Le dissi ancora scossa.

...

Mi ero lasciata il distretto di polizia alle spalle dopo le rivelazioni che non mi aspettavo e che mi avevano turbato. Scoprire che c'era un vuoto nella mia mente della notte dello stupro mi aveva sconvolta. Cercavo di ricordare mentre camminavo cosa era accaduto, ma non riuscivo.

Alla mente mi passavano solo le braccia di James che mi stringevano poi si allontanavano, l'odore dell'alcol e un mostro... no, non era un mostro. Adesso che avevo rivisto il suo volto sapevo che si trattava di un uomo in carne ed ossa. Un uomo che non era James Von König.

Pensavo, anzi sapevo che c'era qualcosa che non tornava, il fatto che inconsciamente volevo perdonare James dopo averlo incontrato in crociera doveva avere delle basi, ed ora eccole lì più forti che mai.

Non sapevo cosa fare, ero solo evidentemente sconvolta. James era stato il mio capo espiatorio, qualcuno a cui dare la colpa per quanto mi era accaduto. Ma alla fine quanto era stata colpa sua? Non lo sapevo, solo una certezza. Dovevo scusarmi.

Ed ora dopo a camminare per le strade di New York eccomi lì. Sapevo perché ero arrivata a quell'indirizzo, però non sapevo se sarei riuscita ad oltrepassare i cancelli.

Non potevo neanche entrare lì vista la sorveglianza che c'era alla König Industries. Ero nel mondo dell'uomo che mi aveva fatto del male? No, non mi aveva fatto nulla e dovevo solo fargli capire che adesso sapevo. Tremavo ed avevo timore di affrontarlo adesso, eppure dovevo farlo.

Ecco preferivo che mi facesse del male come avevo pensato avesse fatto.

Per quanto quella situazione fosse stata assurda lui era sempre stato sincero su ciò che aveva voluto da me, mi aveva chiesto scusa e perseverato sul punto che quella notte eravamo stati noi, che lui era innocente.

Lo era, ed io avevo sbagliato, gli avevo dato colpe che non aveva ed era adesso il caso di rimediare.

Mi appiattii contro il muro dello stabile e restai così ferma ed immobile a fissare il cielo scuro e senza stelle. Ero stanca... stanca e distrutta. Senza rendermene conto iniziai a piangere, e le lacrime poco alla volta divennero sussulti. Mi appoggiai al muro e accovacciandomi a terra mi strinsi le ginocchia tra le braccia e continuai a piangere. Perché? Perché sentivo di essere sempre un gran disastro?

Restai lì a piangere, in silenzio mentre le macchine entravano ed uscivano dal cancello che recintavano il grattacielo.

Poi ad un certo punto qualcuno posò una sciarpa sulle mie spalle, sussultai e mi voltai verso il portinaio del grattacielo. Era anziano e molto probabilmente prossimo alla pensione, gli occhi azzurri chiaro mi guardavano preoccupati mentre un sorriso paterno albergava sul suo viso.

"Mr Von König vuole sapere se sta bene Miss Winter."

Lo guardai sorpresa, lui sapevo che ero lì?! Guardai verso la volta alta del grattacielo poi mi alzai e mi asciugai le lacrime stringendomi nella sciarpa che copriva le spalle scoperte.

Annuii da una parte rassicurata che non fossi sola, dall'altra timorosa perché anche se non lo avevo visto o incontrato lui sapeva che io ero lì.

Aveva detto che non mi avrebbe più fatto del male e che era pentito di quello che era avvenuto più di un anno prima eppure mi osservava.

E si era premurato di sapere come stessi... io non sapevo cosa fare e come comportarmi. Guardai il portinaio e gli sorrisi.

"Gli dica che sto bene adesso, anzi gli dica anche che mi scuso per tutto. Buonanotte." Affermai togliendo la sciarpa e recandomi sulla strada. Avevo deciso, avrei sciolto tutte le accuse, non volevo avere nulla di cattivo con nessuno. Ne con i miei amici e soprattutto non con i nemici. Avrei giocato a carte scoperte e con quello che avevo della mia vita, il passato era andato e dovevo pagare le conseguenze di tutto senza avere alcun avvocato di mezzo. James mi aveva chiesto scusa due mesi prima e nessun tribunale glielo aveva chiesto, era partito da lui ed alla luce dei fatti aveva ragione. Non era una decisione avventata la mia anzi era giusta, una altro era colpevole.

Mentre aspettavo un taxi mi sentii picchiettare la spalla, ancora quell'uomo, lo sguardo preoccupato.

"Miss Winter sarebbe opportuno che prenda una macchina se vuole andare via. Le strade di New York di notte non sono sicure." Mi disse.

Guardai l'uomo più sicura adesso.

"Prenderò un taxi grazie per la sua premura."

"Miss Winter, mr Von König le ha fatto preparare la sua auto un paio di minuti e la riaccompagnano a casa."

Ero sempre più sorpresa, non mi aspettavo quello, non mi aspettavo nulla da James. Guardai l'anziano uomo con sorpresa e quando apparve una Lamborghini blu notte al mio fianco, lui mi sorrise aprendo la portiera posteriore dell'auto.

"Prego Miss Winter! Adesso può andare."

Il capo si muoveva dalla macchina all'uomo, più di una volta. Poi con un sospiro annuii ed entrai in auto.

"Grazie di tutto. Ancora buonanotte."

Lo salutai, avevo le idee chiare e mentre l'auto scorreva sulle strade diretta a Broadway avenue pensai che dovevo assicurarmi che un vassoio dei miei dolci migliori il giorno dopo doveva essere in portineria da quell'uomo gentile

Tornata a casa la prima cosa che feci fu togliere le scarpe, ero stanca e spossata. Mi gettai sul letto e subito mi addormentai, era stata una giornata lunga.

La notte portava sempre con se riposo, sogni o incubi. Io quella notte non mi aspettavo che gli incubi sarebbero tornati. Era passato un anno dal giorno dell'abuso ed ero sicura che tutto fosse passato. Ma forse gli avvenimenti di quel giorno erano stati troppo forti, invano gli incubi vennero a cercarmi.

"Tu sei mia. Lo sei sempre stata e lo so, lo senti che mi desideri."

"No... non sono tua. Non toccarmi." Piangevo mentre le sue mani erano su di me. Lo sentii dentro di me e mi ribellai urlando. "lasciami, lasciami..."

Incontrai i suoi occhi feroci, voluttuosi e scuri. Mi raggelai e lo spintonai

La sua voce cambiò e con essa i suoi occhi, erano azzurri e chiari come ricordavo

"Scusami. Non so cosa mi sia preso! Non volevo farti del male."

Lo guardai sorpresa, cercai di riprendere in mano la situazione e lo allontanai.

Se ne andò "Scusami..."

Non sapevo se scusarlo o meno. Le sue mani presero a carezzarmi dolcemente ed io mi rilassai a quelle carezze gentili! Potevo perdonare? Lo abbracciai e lasciai che si prendesse cura di me, lenendo le mie ferite.

Poi mi svegliai affannata.

Arrossita in volto arrancai nel buio. Cosa era successo? Mi svegliai e scossa andai ad infilarmi sotto la doccia. Piansi... piansi perché mi sentivo follemente vulnerabile, più di prima.

Adesso il sogno che facevo sempre da un anno era più chiaro. Avevo dipinto James come un mostro ma la realtà era stata un'altra e ben diversa. Il mostro era stato Adrian Preston!

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