Capitolo 3
Vi sono due possibilità di far carriera. O ci si impegna veramente molto, oppure si afferma di lavorare molto. Io consiglio il primo metodo, poiché c'è molta meno concorrenza.
(Danny Kaye)
- James -
Nathalie Winter! Da quando l'avevo rivista alla serata di gala organizzata dalla principessa di Windsor quella donna era tornata nei miei pensieri. Pensavo di essermi gettato il passato e quello che era accaduto alle spalle ed invece no, il destino aveva mosso i suoi fili ed io l'avevo incontrata di nuovo sul mio cammino... ed i sensi di colpa erano tornati! Lasciai andare la rivista di Vogue sulla scrivania, il volto di lei era pulito e sorridente, anche dalla foto si notava la sua innata eleganza e la bellezza. L'articolo parlava del successo della serata che lei e le sue amiche, come agenzia di eventi, avevano ottenuto. Soprattutto di quanto fosse organizzato tutti in tema con la causa dell'associazione 'Donne forti dentro e fuori.'
Non sempre partecipavo a quegli eventi, non ero obbligato, ci andava mia madre, oppure mandavo la mia amica Laura. Non ci andavo da una vita agli eventi, la scusa era sempre la stessa, il mio lavoro. A trentasette anni avevo costruito un impero, ero stato fortunato sicuramente, avere una rendita che non mi facesse arrivare a dovermi sentire il fiato sul collo ai tempi dell'Università. Però mi ero tirato tutto da solo, senza l'aiuto di mio padre granduca di Oldenburg, ne di mia madre. Riuscivo comunque ad evitare ogni tipo di evento mettendo sempre davanti il mio lavoro, non quella volta però. Mio padre era stato chiaro, la principessa di Windsor voleva farsi largo a New York con le sue associazioni benefiche ed io dovevo andare. Sapevo dove mio padre voleva andare a parare, ero single e dopo la morte di mia moglie Margaret nessuno più si era avvicinato a me. Non volevo mogli e non volevo soprattutto altri matrimoni combinati, mi era bastato quello con Margaret, anche se aveva avuto una triste conclusione. Margaret, ricordare il suo nome mi portava indietro nel tempo, ancora di più di quanto fossi andato. Tornai ai miei diciottanni a quando decisi di mirare ad una grande Università e lasciare New York e la mamma.
Quando avevo scoperto che costruire cose e la meccanica erano ciò che mi attraevano puntare tutto su ciò e farne il mio mestiere era diventato il mio obiettivo. Superato l'ammissione all'università di Cambrige mi ero messo di sana pianta a studiare ingegneria meccanica e lavorare presso imprese nel settore, volevo imparare il mestiere, avevo studiato per dieci anni, mi ero specializzato ed ero diventato il migliore: ingegneria meccanica, scienza dei materiali e delle costruzioni, costruzioni di macchine e tecnologia meccanica. Mi ero fossilizzato sugli studi e sul lavoro, era stato proprio a Cambridge che avevo conosciuto Margaret contessina del Galles, avevo ventitrè anni all'epoca. La nostra era stata una relazione impetuosa ed a cui non avevamo dato un futuro, poi mio padre lo aveva scoperto ed apriti cielo. Wilhelm aveva subito contattato i suoi genitori ed organizzato il matrimonio. A ventiquattro anni mi ero chiuso in un matrimonio che nonostante l'ottima intesa sessuale con Margaret, non volevo. Lei al contrario sembrava starci benissimo. Non aveva però fatto i conti con il mio desiderio di innovarmi ed evolvermi, nonostante avessi soldi e successo volevo migliorarmi in ciò che sapevo sarebbe stato il mio futuro, non fermarmi ad una laurea di base. Avevo continuato a studiare a Cambrige mentre aprivo la mia prima società, e nel frattempo lei studiava anatomia altrove e su uomini veri. Così era morta Margaret, si era gettata sugli uomini sbagliati invece di venire a cercare me ed uno di quelli gli aveva trasmesso l'AIDS.
Il nostro era stato un matrimonio infelice, che non doveva neanche nascere ed era morto con lei quando avevamo poco meno di vent'otto anni entrambi. Non avevo voluto più donne e incentivato da un amico di università Ahmad Al Sharqi uno degli eredi dell'Emirato di Fujairah avevo lasciato Londra. Lo avevo seguito ed ero partito per gli Emirati e qui ancora mi ero tirato su da solo visto che mi ero infiltrato nei progetti di creazione di Nuova Dubai, come gli edifici crescevano, linee ferroviare li accompagnavano, mezzi di trasporto, avevo creato il mio impero basato sulla meccanica. Una sola certezza, negli Emirati, ad Abu Dabhi e poi Dubai e nessuno sapeva di me, dei miei natali e della mia importante famiglia, dovevo contare solo su me stesso. Ero allora partito ritornando a New York ed aprendo anche lì una sede della mia società, ed avevo continuato ciò che mi ero imposto, ero cresciuto. A trentasette potevo ritenermi fiero di me stesso, ero arrivato molto in alto, avevo creato una bella azienda che si estendeva su tutto il territorio americano, alcuni Stati europei ed ovviamente gli Emirati Arabi. Ma miravo sempre più in alto, stavo espandendomi, la prossima tappa era l'Oriente dove avevo vinto l'appalto anche a Shangai ero da poco riuscito a inserirmi e volevo continuare quell'ascesa. Volevo di più, forse ero capriccioso e viziato ma mi piaceva circondarmi di ciò che amavo, per questo avevo acquisito delle quote societarie della Sahara Force India, seguirne le corse e muovermi attraverso il mondo godendo poco alla volta della sua crescita mi piaceva
Tornai al presente...Mi alzai dalla scrivania ed andai ad affacciarmi alla grande finestra del grattacielo che troneggiava su New York. Sentii la porta aprirsi, nessuno si era presentato, segno che doveva essere l'uomo che realmente consideravo mio padre e non Wilhelm Von Kogin, bensì Richard Coleman. Restai quindi di spalle con le mani in tasca a pensare al da farsi, a studiare un modo per togliermi Nathalie Winter e tutto il mio passato dalla testa. La sedia si scostò, con molte probabilità papà si era seduto, lo sentii armeggiare poi la sua voce baritona finalmente parlò. Ero convinto che fosse lì per farmi una ramanzina, nonostante avessi trentasette anni lui non si creava problemi a dirmi ciò che pensava
"È molto bella! Quando tua madre mi ha detto che era all'evento mi sono rammaricato di non essere venuto. Avrei potuto conoscerla."
Feci scena muta, i miei genitori sapevano chi era Nathalie. Nonostante lui e la mamma fossero rimasti amici dopo il divorzio papà era come me, non gli piaceva apparire in pubblico. Agli occhi del mondo durante il loro breve matrimonio, lui era stato il marito povero di Helena Golberk, nessuno pensava che fosse un bravo archeologo, no. Tutti pensavano che si fosse gettato su Helena per i suoi soldi ed invece no, era stato lui a spronare mia madre a fare cose e creare un loro piccolo impero. Sbuffai, sinceramente non mi aspettavo che fosse venuto a parlarmi di Nathalie.
"Cosa ti ha detto la dottoressa Gale su di lei?" chiese ancora mio padre
Eccola la ramanzina. Scossi la testa e pensai a Gabriel Jordan sessuologo e mio migliore amico e Amira Gale sua socia e moglie, gli psicologi che mi seguivano da quando erano accaduti i fatti di Nathalie.
"Che dovrei confrontarmi con lei e raccontarle tutto." Ammisi a quel punto, pensavo non ce ne fosse bisogno. Non quando ormai entrambi eravamo andati avanti ed io pensavo che anche i miei sensi di colpa ormai erano passati.
Ma non era così, il peso di ciò che era accaduto quella notte ancora mi attanagliava. Dopo quella notte ero tornato negli Emirati dove avevo deciso di mettermi in società col mio amico Ahmal, l'imprenditoria edile non era il mio settore. Ma avevo bisogno di altro, andare avanti. Così gli avevo detto che accettavo la sua proposta e che sarei entrato in società con lui. In fondo a Dubai avevo iniziato a costruire il mio impero, dove tutto era iniziato, sempre in compagnia di Ahmal ma mai insieme. Era giunto il momento di arrivare a quell'insieme e lo feci. Dopo essermi focalizzato sulla mia carriera poi ero andato alla ricerca di Gabriel che mi aveva consigliato di farmi seguire da Gale, essendo esterna ai fatti e non avendo un rapporto di amicizia con me.
Non c'era nulla da fare, i l miei ricordi continuavano ad essere fossilizzati sul passato quando la voce di mio padre mi riscosse.
"James..." mi voltai verso di lui di scatto. Lo osservai, gli occhi scuri ed i lineamenti spigolosi! Le rughe sul viso denotavano la sua maturità come anche i capelli quasi del tutto grigi.
"Non voglio parlarne papà."
"La tua segretaria dice che sei assente in questi giorni. Che hai dimenticato addirittura riunioni ed appuntamenti importanti."
Mi avvicinai alla scrivania poggiando i palmi delle mani su di essa.
"Passerà anche questa, Tornerò dalla Dottoressa Gale appena rientro a Dubai o farò una teleconferenza."
Mio padre si alzò e mi sorrise estraendo dalla tasca della giacca un biglietto.
"Sarebbe opportuno... come anche una vacanza James. La royal cruise parte settimana prossima da New York. Credo che Cuba sia una splendida meta per un giovane uomo single quale tu sia."
Guardai mio padre e presi il biglietto. "Ho le società!"
"Che possono andare avanti senza di te. In questo stato potresti essere poco di aiuto figliolo ed ora che sono in pensione potrei tenere d'occhio io tutto qui."
Scossi la testa, mio padre non era un imprenditore, era stato un archeologo. Ma quando mia madre iniziò negli anni ad avere più pochi contratti da modella, lui le aveva ben propostodi non focalizzarsi sulla sua carriera. Aveva preso i suoi risparmi e li aveva offerti a mia madre proponendole una loro azienda. Così i miei genitori avevano aperto una società di prodotti di cosmesi, di cui mia madre era stato il volto da giovane ed anche ora che era ormai una donna adulta sponsorizzava alcuni prodotti. Tecnicamente da quell'anno mio padre era in pensione ed aveva lasciato a me e Jewel, la figlia avuta con mamma, la sua quota della società. Sapevamo entrambi che io ero troppo impegnato con la König Inc. per dedicarmi anche alla sua società, così come sapevamo che Jewel non ne avrebbe mai preso in mani le redini. La König Ins. era la mia perla, l'avevo tirata su con le mie mani, ma nel vero senso della parola.
In pratica ci tenevo alla mia società. Mio padre mi osservava, cercava di capire ed insinuarsi nei miei pensieri. Ma non riusciva, nessuno poteva. Avevo imparato negli anni a nascondere i miei pensieri agli occhi di tutti, a sette anni avevo imparato che per sopravvivere dovevo fare tutto da solo. Sempre
"Ok parto. Decisamente questo viaggio mi farà bene!" Dissi prendendo il biglietto.
Cazzo era Cuba ed io era tanto che non mi rilassavo. Anche una scopata, di quelle come Dio comanda, era una vita che non me la facevo. Da quando avevo conosciuto Nathalie, da quella maledetta notte che cazzo... non l'avevo toccata, non le avevo fatto nulla.
Ma mi sentivo sporco, come se fosse stata colpa mia la violenza da lei subita. Avrei voluto farmela, avrei potuto farmela. Ma avevo deciso di darle ciò che voleva, i suoi spazi. Così quando ero arrivato al Crowne quella notte, le sue urla erano ciò che mi avevano fatto rabbrividire. Ero arrivato tardi quella sera, sinceramente non volevo neanche andare, ma volevo vederla anche solo da lontano. Mi ero ripromesso di non tornare al Crowne, però che male c'era a sentirla un'ultima volta? Era tardi ormai per la sua esibizione? Anche solo rivederla di sfuggita mi sarebbe bastato, cazzo da quando l'avevo conosciuta sembravo un ragazzino alla sua prima cotta. Sapevo che anche lei mi voleva, quel brivido che avevo provato alla nostra prima stretta di mano, anche lei lo aveva sentito! Perché Nathalie mi voleva, ma ancora non si rendeva conto di ciò che ci portava l'uno verso l'altra? Ormai tardi arrivai al Crowne sovrappensiero le avrei chiesto di vederci, fuori dal contesto del Crowne un ultima volta, l'avrei riaccompagnata a casa chiedendole di ricominciare tutto da capo, di uscire e conoscersi come le stavo chiedendo da un mese, ultima volta e poi non più. Sarebbe andato tutto bene o almeno lo pensavo fino a quando le sue urla strazianti non pervasero la mia mente. Mi riservai verso un auto raggiungendo una donna che veniva posseduta sul cofano della auto. Gelai, gelai ed andai con rabbia a strattonare quell'uomo, iniziai a prenderlo a pugni, sapevo che lo stavo uccidendo ma era quello che volevo fare. Solo le urla ed i pianti di Nathalie mi distraevano. La sentivo gridarmi contro tutto l'odio che provava, poi il mio autista mi raggiunse e mi allontanò da quell'uomo. Allora lo lasciai per recarmi da lei, da Nathalie, per farla calmare, per far si che nessuno vedesse e si prendesse quella sua vergogna.
"SEI TU... SEI STATO TU! TI ODIO." Mi urlava contro, mi dava pugni sul petto finché stanca non perse i sensi.
Aveva ragione lei, ero stato io. Era colpa mia, se non l'avessi lasciata lì sola nessuno l'avrebbe toccata. Se fossi stato al Crowne come tutti i venerdì sera l'avrei trattenuta e poi seguita all'esterno, invece non lo avevo fatto
La deposi in auto e dopo averla coperta chiamai la polizia. Esigevo che quell'uomo venisse arrestato, lì seduta stante, colto sul fatto. Volevo che pagasse per ciò che aveva fatto subito.
"911 dica!"
"Buonasera. Volevo denunciare uno stupro, mi sono allontanato cinque minuti dalla mia ragazza ed un uomo ha abusato di lei."
"Dove vi trovate?"
"Crowne lounge & night... fate presto, la mia ragazza ha perso i sensi e voglio riportarla a casa."
E dopo un'ora, dopo averne raccolto prove e testimonianze l'avevo riportata a casa, dopo che i paramedici l'avevano visitata ed accertato lo stupro l'avevo riportata a casa sua.
Dormiva ancora quando ero arrivato sotto il suo portone ed ero stato un coglione ancora. Avevo chiuso la macchina e l'avevo lasciata di nuovo sola, le chiavi dell'auto serrate nel pugno della mano.
Quella notte era stata un incubo e tutto per colpa mia.